Se la manifestazione del Primo Marzo in Piazza Saffi è stata poco partecipata anche per via della pioggia, il dibattito pubblico che è seguito è stato un momento di confronto sulle problematiche e di proposte concrete sul da farsi. Per chi vorrebbe partecipare, il Comitato Primo Marzo di Forlì-Cesena si vede il 9 marzo prossimo.
Un primo marzo segnato dal maltempo quello di Forlì. Come l’anno scorso, il Comitato Primo Marzo di Forlì-Cesena aveva previsto a partire dalle sedici una manifestazione in Piazza Saffi, fatta di animazione interculturale per bambini, banchetti informativi e musiche dal mondo. Un modo diverso per stare in piazza e manifestare il proprio dissenso sulla normativa discriminatoria in materia di immigrazione a partire dalla Legge Bossi-Fini e il Pacchetto Sicurezza. Ma anche per rivendicare i diritti di cittadinanza e di voto per i cittadini migranti. La pioggia incessante da più di 48 ore, non ha fermato i pochi cittadini italiani e stranieri e attivisti di varie associazioni di unirsi sotto i due gazebo in Piazza Saffi per circa un’ora e mezzo e poi dividersi per distribuire volantino e invitare i cittadini a partecipare nel dibattito pubblico in programma per le venti. Come sostiene Valentina Fabbri del Comitato Primo Marzo, durante gli incontri del Comitato, i suoi membri hanno condiviso l’idea che il dibattito rispetto a quello del 2010 in cui c’era una platea di invitati, fosse interamente uno spazio dedicato ai cittadini migranti per parlare delle loro problematiche. È cosi è stato.
Nell’introdurre la serata, Terina Gjoni dell’Associazione “L’Altra Città” di Cesena, si è soffermata sull’importanza del Primo Marzo, come “data simbolo per rivendicare quello che gli stranieri significano per l’Italia”. Di fatto, i temi dei diritti parte della piattaforma del Movimento Primo Marzo “sono sacrosanti” e per Irida “bisogna costruire un’asse trasversale in cui italiani e stranieri lavorano insieme su questi temi”. Parole condivise anche da Saimir Cela, attivista della stessa associazione che nel suo intervento ha sottolineato come continuino a persistere “pratiche vessatorie portate avanti da varie istituzioni nella consapevolezza che le persone non si ribellano per tanti motivi a partire dalla paura delle conseguenze che ne derivano o dai costi che dovrebbero sostenere per i ricorsi”. Anche se non menziona casi specifici, il suo potrebbe essere un chiaro riferimento soprattutto alle pratiche delle questure che da anni hanno mano libera nell’interpretare la normativa a loro piacimento. Pertanto, Saimir propone ai presenti di “costituire un fondo per tutelare e far valere i nostri diritti”. Una proposta da prendere seriamente in considerazione dalle città di Forlì e Cesena, perché permetterebbe di seguire diversi casi a livello legale, prassi a cui la maggior parte dei cittadini stranieri non ricorrerà mai individualmente. Insomma, da una parte far rispettare la legge, dall’altra consapevolizzare i cittadini migranti delle opportunità di farla rispettare.
Invece Davide Drei, Assessore al Welfare del Comune di Forlì ha voluto parlare della Consulta dei cittadini stranieri quale strumento di partecipazione e dialogo a disposizione dei cittadini migranti. Il Consiglio Comunale di Forlì, ha varato a fine gennaio il nuovo regolamento della Consulta, e in vista delle sue elezioni che potrebbero essere il 29 maggio oppure il 12 giugno prossimo, Drei sottolinea come la fase pre-elettorale sia fondamentale per coinvolgere più cittadini possibile. “Il movimento di partecipazione non può essere governato da un’amministrazione ma dalla società civile”. Per di più nel caso della Consulta, si tratta di “elezioni che non vengono sbandierate dalle tv”. “Cittadini e associazioni devono lavorare tanto con le campagne di informazione e sensibilizzazione per portare i cittadini al voto”.
Soufiane Radouane dell’Associazione Giovanile Islamica della Romagna, ha riportato all’attenzione del pubblico la questione del razzismo. “Si sente ancora di più se uno ha un colore diverso. Un malessere che si porta fino alla tomba e offende chi lo subisce più dei problemi di lavoro”. Che tuttavia, sono molto presenti e condizionano pesantemente la vita dei cittadini migranti. Soffiane fa l’esempio di un cittadini che dopo dieci di permanenza, con una famiglia e figli nati in Italia, dopo aver perso il lavoro si è trovato con un foglio di via. “Ma dove potrà andare se i figli sono nati qui?”.
Quella delle seconde generazioni è un’altra problematica su cui bisogna lavorare. Come sostiene José Molina, “i nostri figli non crescono alla pari dei loro coetanei italiani”. “i nostri ragazzi crescono con grossi traumi. Vivono in Italia ed è l’unico paese che riconoscono come loro, quindi riconoscerli la cittadinanza e creare le stesse opportunità degli altri cittadini è doveroso”. Dall’altra parte, gli autoctoni si devono rendere conto che “l’Italia non appartiene più solo al popolo italiano ma anche un piccolo popolo che sta crescendo gradualmente ed oggi si attesta al 10%”. Una consapevolizzazione essenziale, perché i cittadini migranti “sono radicati profondamente sia nel territorio forlivese che in tutta Italia, paese che amano e al cui benessere contribuiscono alla pari dei cittadini italiani”.
Il primo marzo è sostanzialmente una giornata di sciopero. Difficile stabilire quanti cittadini stranieri si siano astenuti dal lavoro, ma quest’anno dei sindacati maggiori, la Cgil ha aderito in modo più convincente allo sciopero, garantendo questo diritto a tutti i lavoratori migranti il Primo Marzo e facendo volantinaggio nei luoghi di lavoro. “Tutti i migranti che volevano scioperare potevano farlo” dice Michele Bulgarelli, sindacalista della Fiom-Cgil di Forlì. “Anche se c’è un problema per rendere effettiva la partecipazione in quanto molti migranti lavorano in piccole aziende del territorio” che spesso sono fuori dall’influenza dei sindacati. Però grazie al lavoro continuo, “abbiamo costruito delle relazioni importanti che ci devono portare a denunciare le violazioni dei diritti, ma anche contrastare un governo fondato sul razzismo”. Complessivamente il Primo Marzo è una giornata di conflitto perché i migranti si trovano davanti a un “doppio ricatta: se perdi il lavoro perdi anche il permesso di soggiorno”. E per Bulgarelli, “lo sciopero è uno degli strumenti ma rimane quello principale”. “Come ci insegna la storia, i lavoratori ottengono qualcosa solo con il conflitto”.
Sulla stessa linea anche Mamadou Wagne del Coordinamento immigrati della Cgil che ribadisce l’importanza di un cambiamento radicale nella società italiana. “Non c’è un ‘noi’ e un ‘loro’ ma un ‘nuovo noi’. La società deve aprirsi alla diversità per raggiungere la completa integrazione”. Che significa anche un riconoscimento dell’appartenenza delle seconde generazioni: “questi giovani si rendono conto di essere guardati come persone diverse quanto in verità si sentono italiani a tutti gli effetti e non conoscono un altro paese”. Ana Laura Cisneros, impegnata con la Filcam-Cgil, vuole “raccontare un pezzo della sua storia, collegandola a quelle di tanti altri”. Soprattutto donne che lavorano il più delle volte “in maniera invisibile”. Come nel caso di una badante “abbandonata in un parcheggio di Imola come un cane randaggio e segregata per tanto tempo in una casa a prendersi cura degli anziani”. E nella sua esperienza quotidiana, le badanti, poco tutelate e con contratti deboli, vengono licenziate perché spesso e volentieri le viene chiesto di fare lavori che non rientrano tra le loro mansioni. Quindi come dice anche Chiara Trozzo, responsabile organizzativa dell’Unione degli Universitari, bisogna “battersi per l’affermazione dei diritti e per promuovere l’integrazione e il riconoscimento delle diversità”.
Parlare di integrazione significa anche progettare e finanziare politiche. E come mette in risalto Massimo Tesei dei 146 milioni di euro spesi nel 2006, 117 sono stati dedicati alla sicurezza e solo 26 alle politiche di integrazione. Per di più, in questo periodo il governo sta sventolando un grande pericolo di esodo di cittadini libici che starebbero per vers
arsi sulle coste italiane. Ma non ci sta Tesei. “È un tentativo di avere una rendita elettorale”. E considerato che i mezzi di fortuna con cui arriverebbero in Italia, verranno subito confiscati, “non basterebbero tutti i pescherecci del Mediterraneo per portare le 300.000 persone” stimate. Inoltre Tesei propone la costituzione di un’associazione di italiani e stranieri “che tenga tutti insieme per superare questo momento di crisi, di mancanza di integrazione, lavoro, casa e accoglienza”. Rimanendo divisi è controproducente, ma bisogna impegnarsi per conoscersi e superare i pregiudizi molto presenti anche tra i migranti e unirsi in un’associazione “che abbia la forza di proporre nel dibattito pubblico le esigenze dei cittadini migranti”.
Invece Endri Xhaferaj, Presidente dell’Associazione Juvenilja, ritorna sulle problematiche quotidiane dei migranti, partendo dalla sua esperienza personale. Denuncia una pratica ricorrente delle Questure che non riconoscono ai cittadini stranieri che fanno richiesta di carta di soggiorno gli anni maturati in Italia durante i loro studi. In altre parole, nel caso più estremo, se uno deve frequentare tutto il ciclo di studi universitari potrà ottenerla solo dopo 14 anni di permanenza invece dei 5 richiesti dalla normativa. Un altro caso anomalo è il modo in cui vengono calcolati i 10 anni di residenza imposti per poter richiedere la cittadinanza italiana. È fuori discussione che 10 anni sono troppi, ma anche in questo caso possono diventare molti di più perché la residenza deve essere ininterrotta. E quando un cittadino straniero residente da 10 o più anni, scopre che per motivi a lui non adducibili è stato cancellato dall’anagrafe, il conteggio dovrà ricominciare dall’ultimo reinserimento nell’anagrafe. Per Xhaferaj “bisogna unirsi e contrastare trasversalmente tutte queste pratiche che condizionano la vita dei migranti”.Una testimonianza importante è stata quella dell’Avvocato Antonio Mumolo , Presidente dell’Associazione di volontariato “Avvocati di strada” che raggruppa 650 legali in 19 città italiane tra cui Roma, Milano, Bari, Bologna, Modena, Ferrara. Non usa mezzi termini Mumolo. “Viviamo in un momento in cui c’è una deriva culturale che ci porta a pensare che le persone straniere e povere e i senza dimora sono nemici”, e come tali da tenere alla larga. Ma il fatto più grave è “che questo stereotipo culturale produce delle legge che a loro volta producono dei danni a tutti noi”. Per Mumolo, gli effetti della Bossi-Fini sono devastanti. Doveva ridurre la clandestinità, invece lo aumenta perché ha legato il soggiorno al lavoro e quando perdi il lavoro, diventi clandestino ossia uno schiavo obbligato a lavorare in nero. Buone notizie invece sul piano del reato di clandestinità introdotto con il pacchetto sicurezza nel 2009. Man mano sparirà perché l’Italia è dovuta a rispettare la direttiva europea sui rimpatri, già in vigore dal 1 gennaio di quest’anno. Grazie alla legge Brunetta, gli avvocati di strada insieme alla Cgil e al Federconsumatori, porteranno avanti una class action pubblica contro il Ministero dell’Interno che non rispetta i diritti per quanto riguarda il rilascio dei permessi, delle carte di soggiorno e la concessione della cittadinanza. E “otterremmo la condanna del Ministero”, dice Mumolo. Dall’altra parte, vanno potenziati i centri stranieri e i ricorsi al TAR perché “le sentenze fanno giurisprudenza”. “Ci sono delle leggi e spetta a noi farle rispettare”, anche perché “tutelare i diritti dei più deboli significa tutelare i diritti di tutti noi”. E per chi vuole partecipare al Comitato Primo Marzo e dare il suo contributo in prima persona, Valentina rinnova l’invito di partecipare alla prossima riunione in programma il 9 marzo alle 20.30 presso il Centro per la Pace Annalena Tonelli di Forlì in via Andrelini 59.