L’Italia ai tempi del coronavirus si scopre #unitamadistante. Proviamo a reagire, ognuno come può, eseguiamo flash mob sui balconi e proviamo a instaurare un rapporto con i vicini completamente sconosciuti fino al giorno prima. Rapporto a distanza, s’intende, spesso da una finestra all’altra.
Telefoniamo a parenti e conoscenti anziani, abbiamo compreso la loro vulnerabilità in questo momento.
Cerchiamo anche qualche amico che non sentivamo da troppo tempo, chissà poi perché, e ci ripromettiamo di incontrarlo appena tutto sarà finito. Ci muoviamo – o è meglio dire #restiamoacasa – come dentro a un caleidoscopio dalle molte sfaccettature, spesso in contraddizione tra loro.
Quante volte in poche settimane abbiamo cambiato atteggiamento nei confronti del virus! Ora l’abbiamo capito che la cosa da fare è una soltanto. E dal nostro isolamento ci piace ascoltare il canto degli uccellini e guardare le foto dei cigni che solcano le acque di Venezia, come in un sogno o nella pubblicità di un profumo. Ma l’anima è in lutto , porta su di sé il velo nero di Bergamo, città diventata simbolo della perdita di vite umane in questi giorni in cui i bollettini della morte incollano davanti ai Tg sei milioni di italiani in più del solito.
L’Italia è unita nel dolore, nella paura del virus e in un’altra paura legata alla storia di ciascuno: quella di perdere il lavoro, di fallire, di vedere interrotto bruscamente un cammino di sacrifici per costruire un futuro migliore. Il Governo ha risposto a queste ansie più che giustificate con il Disegno di Legge Cura Italia , che stanzia 25 miliardi di euro per dare tranquillità al più ampio numero di persone possibili.
È compresa anche una categoria trasversale alle altre: quella degli immigrati. Ancora troppo pochi lo sanno, ma nel Disegno di Legge è contenuta una norma che estende fino al 15 giugno la validità dei permessi di soggiorno in scadenza tra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020. Non è quindi necessario recarsi nelle Questure e anche le domande di rilascio dei permessi sono congelate.
E alla fine dell’emergenza cosa accadrà?
Alla paura di rimanere senza lavoro, che accomuna tutti, per gli immigrati si aggiunge quella di trovarsi a non poter rinnovare il permesso di soggiorno proprio per la perdita del lavoro. Questo farebbe sprofondare nell’irregolarità molte persone che vivono qui da anni ma che non hanno il permesso di lunga durata a causa del precariato di massa dell’Italia di oggi.
Il Governo deve quindi tenerne conto, prevedendo una sorta di semestre bianco durante il quale vengano sospese le regole relative al rinnovo dei permessi. Dobbiamo dare ai cittadini immigrati il tempo di trovare un nuovo lavoro nel caso lo perdano a causa del coronavirus.
E poi bisognerà affrontare la questione delle cittadinanze. Quanti immigrati come dei novelli Sisifo – a un passo dalla vetta, dal richiedere la cittadinanza italiana dopo dieci anni di residenza e tre anni consecutivi di lavoro – vedranno la palla rotolare nuovamente fino ai piedi della montagna? Difficile calcolarlo oggi. D’altro canto rappresentanti del Governo hanno affermato ripetutamente che nessun posto di lavoro salterà a causa dell’emergenza COVID-19 .

Ma scorrendo il DL Cura Italia vediamo che la coperta è troppo corta e bisogna scegliere quali parti del corpo sociale coprire e quali sacrificare. Così è esplicitamente previsto che i datori di lavoro domestico – quello di colf, badanti e babysitter – non possono accedere alla cassa integrazione in deroga concessa agli altri datori di lavoro del settore privato. Una mancanza grave che secondo il sindacato della categoria mette a rischio licenziamento circa due milioni di persone, per lo più immigrate, lasciando altrettante famiglie italiane senza la cura necessaria dei propri anziani, malati, dei più piccoli e delle persone con disabilità. Ci si aspetta ora un’integrazione nel passaggio in Parlamento del DL, previsto entro fine marzo, ma è bene tenere l’attenzione alta per non lasciare che siano gli ultimi tra gli ultimi a pagare il prezzo più alto di questa emergenza.
Per fare questo bisogna guardare anche al settore agricolo, quello che subito dopo la Sanità, deve lavorare a pieno regime per garantirci il cibo e non può assolutamente chiudere. Serve serietà e rigore nella tutela della salute dei lavoratori. Quasi un terzo delle giornate lavorative necessarie per produrre il cibo che viene consumato in Italia è a carico di cittadini immigrati – 107591 lavoratori rumeni, 35013 marocchini, 34043 indiani, 32264 albanesi e così via – e in questo periodo è richiesto uno sforzo maggiore per sopperire a quei lavoratori stagionali di paesi come la Polonia ed altri che sono stati bloccati o hanno rinunciato a venire in Italia.
Questo carico in più di lavoro non deve però esporli al rischio di contagio e pregiudicare la tutela della loro salute, priorità riconosciuta dalla Costituzione italiana, come giustamente si fa notare da più parti in questi giorni.
Infine sarebbe auspicabile che le condizioni eccezionali in cui si trova il settore agricolo – con fortissima carenza di manodopera e raccolti in pericolo – spingano il Governo a decisioni coraggiose sui braccianti agricoli sfruttati e sugli irregolari in generale, favorendo l’emersione del lavoro senza contratto e senza tutele e garantendo un contratto regolare ai sans papier a fronte del loro impiego in agricoltura. Una proposta in tal senso è stata avanzata oggi da Radicali e +Europa, che rilanciano la campagna per le regolarizzazioni ‘Ero straniero’ . L’augurio è che venga accolta.