Il TG2 dossier di domenica 6 dicembre è stato dedicato all’Albania con un documentario di Dario Laruffa. La didascalia che accompagna il video è emblematica, fa: Questa settimana un reportage sull’Albania, un paese che deve ancora vincere la sfida della modernità.
( documentario che si può guardare qui in streaming )Adesso, mi tolgo subito il dente dolente: più volte ( ma diciamo quasi sempre ) le tv italiani, Rai compreso, hanno contribuito a creare quell’immagine negativa della quale poi si scagliano contro in questo stesso documentario, mandato in onda sempre sulla Rai ( e i nomi non sono un caso di omomia, si tratta della stessa tivù ). Detto ciò, bisogna anche dire che in fatto di documentari sanno il fatto loro. Anche se il doc non aggiunge quasi niente di nuovo agli albanofoni, si tratta comunque di un documento prezioso per chiunque volesse aggiornarsi o informarsi sul paese di fronte, cosi vicino e cosi lontano. Ed è definitivamente questo il problema del reportage, oltre ad essere il suo punto di forza. In appena 49 minuti il doc spazia da Gjergj Kastrioti a Taçi, dai tanti Mercedes in strada fino alla domanda retorica ed inutile se gli italiani sono razzisti, dal Kanun fino all’industria del turismo, dai arberesh alla corruzione dilagante, racconta come gli albanesi vedono oggi gli italiani – un po’ hanno cambiato idea – e come gli italiani vedono gli albanesi – hanno cambiato idea, ma solo un po’ – e cosi via. Prende in prestito alcune immagine del Paese di Fronte di Sejko/Brescia e anche alla tivù albanese Top-Channel. Un documentario che nulla aggiunge all’italiano poco informato, e che serve solo a quella fetta consistente di pubblico che gli ultimi dieci anni ha tenuta spenta la tivù. Racconta del lusso cosi come della misera ( impressionanti, specie a livello visivo, i primi 5 minuti dove Laruffa gioca con gli estremi albanesi ) ma senza mai andare a scavare. Scelta comprensibile quando si tratta di spalmare tutto in 50 minuti, ed è comprensibile anche la scelta di TG2 dossier di fare un lavoro generale – di prendere tutto dall’alto come dalle finestrine di un aereo – e di sacrificare la ricerca della verità, l’indagine giornalistica.
Anche se non in ordine cronologico, il documentario ripercorre brevemente, la storia dell’Albania dalla nascita del nostro stato moderno con Gjergj Kastrioti, passando al fascismo – impreziosita da una testimonianza del senatore Carlo d’Azeglio Ciampi, ufficiale durante i giorni dell’invasione fascista – fino ai giorni d’oggi.
Le interviste sono probabilmente la vera perla di questo documentario. Che sia l’ex presidente Ciampi, che sia un immigrato clandestino come Taulant, ladro occasionale ed oggi barista, un imprenditrice di successo a Tirana, Zhani Ciku oppure Rezart Taçi, ciascuna ha il merito di offrire un’altra visione, seppur parziale, che contribuisce a creare un common sense generale. ( ma perché gli albanesi insistono ad infierire quando non rinunciano a rispondere in italiano anche quando vengono intervistati a Tirana? Credono di dover dimostrare che conoscono bene la lingua? Vogliono far sentire i giornalisti a casa loro, il che sarebbe molto stupido visto che i giornalisti viaggiano proprio per raccontare una storia che non sia la loro? O forse (credono che ) la Rai non può permettersi di pagare un traduttore? )Un documentario dunque che cerca di mostrare più di quello che sarebbe lecito supporre, e non sempre ci riesce. Eppure, in giorni come questi, anche un lavoro del genere diventa prezioso, non tanto per le sue qualità giornalistiche, quanto per il solo fatto di esistere e di essere andato in onda. Un documento comunque da vedere – anche perché gratis sul sito della Rai – e da giudicare come un resoconto fedele ed imparziale, seppur superficiale, dell’odierna Albania.