Oggi Adem Jashari, simbolo della resistenza contro la Serbia, avrebbe compiuto 63 anni. Ogni albanese lo considera simbolo della lotta per l’indipendenza del Kosovo e un martire, soprattutto perché – il 7 Marzo del 1998 – Adem Jashari fu massacrato dalla polizia serba insieme alla maggior parte della sua numerosa famiglia.
Gli eventi
Nelle prime ore del mattino del 5 marzo 1998, il villaggio di Donji Prekaz fu nuovamente attaccato da ingenti forze dell’esercito serbo e della polizia. Gli assedianti formarono un secondo cerchio di truppe per prevenire ogni possibile fuga.
La forza d’attacco era composta da circa 7 mila militari con veicoli corazzati e armati di artiglieria proveniente da una vicina fabbrica di munizioni. Molti abitanti del villaggio furono uccisi, per alcuni si trattò di vere e proprie esecuzioni.
Gli attaccanti intimarono a Jashari di uscire ed arrendersi, e gli concessero un ultimatum di due ore per prendere in considerazione l’offerta. Allo scadere dell’ultimatum iniziò la sparatoria. Su una delle case la polizia esplose colpi di mortaio seguiti da lanci di gas lacrimogeno.
La maggior parte della numerosa famiglia di Jashari si era raccolta in una casa singola. Il bombardamento continuò per altre 36 ore prima che l’esercito serbo e la polizia potessero finalmente entrare. Adem Jashari insieme a 52 membri della sua famiglia furono uccisi, alcuni dei quali bruciati ed irriconoscibili.
L’eredità di Adem Jashari
Le gesta di Adem Jashari sono state celebrate e trasformate in leggende da ex membri dell’UCK, alcuni membri del governo e dalla società albanese del Kosovo, i quali hanno prodotto canzoni, letteratura, monumenti e edifici che portano il suo nome in tutto il Kosovo.
Soprannominato ‘Komandati Legjendar’ dagli albanesi, Jashari è considerato da molti in Kosovo come il padre dell’UCK e un simbolo d’indipendenza degli albanesi del Kosovo; non a caso, ogni anno in Kosovo viene commemorato l’anniversario della sua morte, con la casa di Jashari che nel corso degli anni si è trasformata in un vero e proprio santuario.
Il campo in cui sono stati sepolti lui e la sua famiglia è diventato un luogo di pellegrinaggio per gli albanesi del Kosovo, mentre lo stadio di calcio a Mitrovica, il teatro nazionale di Prishtina e l’aeroporto internazionale della stessa capitale, portano il suo nome.
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