Da mesi ormai il giornalista Michele Santoro si palesa in tv a sostegno di non si è capito bene quale teoria o attore di questa guerra che ha scosso il Mondo intero.
Video del giornalista intento a raccontare la storia a modo suo, girano ormai senza sosta sui social network dando una lettura spesso distorta della storia.
Michele Santoro, orfano ormai di programmi tv e povero di riflettori accesi, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina si è lasciato andare a dei parallelismi citando il conflitto serbo – kosovaro, dimostrando tra l’altro di non conoscere la storia e di interpretarla a suo piacimento, come fece nel 1999 in tv, nell’allora suo programma “Moby Dick”, Mediaset.
Secondo Santoro l’operazione Allied Force della NATO (alla quale Santoro pare essere un po’ allergico) in risposta ai continui appelli non ascoltati da Milosevic di cessare il fuoco, di fermare il massacro albanese e ritirare le truppe serbe dal Kosovo, ecco quell’intervento è tale e quale a quanto sta facendo la Russia di Putin in Donbass.
Certo, è lo stesso Santoro che nei suoi video virali critica e punta il dito contro esponenti politici kosovari, ma non cita mai l’artefice dei più grandi mali dei Balcani, ovvero Slobodan Milosevic.
Ed è lo stesso Santoro che non giustifica Putin direttamente, ma racconta come Putin si giustifica puntando il dito verso “gli altri”.
“Nel 1999 Moby Dick si dedicò molto al racconto della guerra del Kosovo e molta eco ebbe una puntata condotta da Santoro in diretta dal ponte Brankov di Belgrado, nella quale intervistava gli operai serbi delle fabbriche bombardate dalla NATO e i civili che presidiavano i ponti con i bersagli al collo. Le critiche furono aspre: Marco Pannella ribattezzò la trasmissione come TeleMilosevic…”
Non voglio parlare di Santoro giornalista o dei suoi programmi tv, critico però la sua superficialità nel parlare del caso Kosovo e della pulizia etnica messa in atto da Slobodan Milosevic, il cancro della Serbia e dei Balcani degli anni Novanta.
Ridurre la questione kosovara affermando che: “gli albanesi, nessuno lo sa, sono entrati in Kosovo perché Tito ha teso la mano ad un popolo che era afflitto dalla carestia. Ed hanno occupato (gli albanesi) un territorio che per i serbi era sacro, perché era in territorio dove avevano combattuto contro i turchi” è estremamente banale, nonché assurdo.
Non sono qua per giudicare il popolo serbo, i serbi continueranno a rivendicare i loro territori, come d’altronde fanno gli albanesi kosovari.
Se da una parte i serbi ricordano la battaglia della Piana dei Merli dove hanno combattuto contro i turchi nel 1389 (battaglia citata da Santoro), tra l’altro serbi spalleggiati anche dagli albanesi, quest’ultimi dal canto loro rivendicano le stesse terre della Dardania, abitate da albanesi prima dell’invasione dei serbi Nemanjić.
Sa di cosa parlo quando cito la Dardania signor Santoro? O la storia per lei si ferma a Tito?
Sia dopo le guerre balcaniche e sia dopo la Prima e la Seconda guerra Mondiale, alla Serbia le fu concesso di mantenere il Kosovo, già all’epoca abitato in gran maggioranza da comunità albanesi. Questo andava assolutamente contro uno dei principi fondamentali di Wilson, normato dal diritto internazionale, ovvero quello dell’autodeterminazione dei popoli, il diritto di ogni etnia ad avere il suo stato nazionale.
Nonostante tutto, la storia ci insegna che il Kosovo con i suoi albanesi esiste da molto prima del periodo titista al quale fa riferimento il signor Santoro, al quale vorrei ricordare come il Kosovo fosse una provincia autonoma all’interno della Repubblica Socialista Serba, quindi all’interno della Repubblica Socialista Federale Jugoslava.
Già dagli anni ‘60 e soprattutto negli anni ’70, il Kosovo aveva un’autonomia tale da essere considerata, de facto ma non de jure, come le sei repubbliche che costituivano la Federazione di Jugoslavia.
Con l’ascesa in campo del nazionalista Slobodan Milosevic nel 1986, l’autonomia del Kosovo venne messa a rischio. Il rischio divenne realtà il 23 marzo 1989, quando Milosevic abolì l’autonomia del Kosovo e nel giugno dello stesso anno, precisamente per il 600º anniversario della battaglia della Piana dei Merli, Slobodan Milosevic accese la miccia dichiarando “guerra” al popolo albanese, etichettandolo come invasore.
In Kosovo gli albanesi si videro così cancellare la loro identità da un giorno all’altro.
La lingua albanese non era più riconosciuta e non era più permessa, le scuole in lingua albanese vennero chiuse.
Cominciò così una “serbizzazione forzata” dell’intera regione, che una volta godeva di una sua autonomia.
Venne messo in atto un processo di assimilazione culturale, una discriminazione sistematica e una violenza inaudita contro la parte albanese, che stravolse le relazioni politiche e diplomatiche della regione.
Caro Santoro, se questo è il riassunto in breve della storia del Kosovo che tanto citi, beh, nulla a che vedere con la questione del Donbass e della Crimea in Ucraina.
Vedi Michele, se da una parte il Kosovo aveva il diritto di ristabilire una propria autonomia perché toltagli, nel caso dell’Ucraina e della Crimea e del Donbass non è proprio la stessa cosa.
A differenza del Kosovo, l’autonomia delle regioni russofone in Ucraina non è mai stata minacciata da Kiev, tanto che la lingua delle regioni interessate è ritenuta ufficiale in quelle zone quanto l’ucraino.
Mentre tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 l’Ucraina si trovava nella morsa delle manifestazioni di piazza Maidan, nel mese di marzo 2014, la Duma era impegnata a discutere un disegno di legge per l’adesione della Crimea alla Federazione russa e preparava l’invio dei “soldatini verdi” a sostegno dei separatisti.
Nel 2014, spinti dalla Russia, in Crimea e nel Donbass sono stati indetti referendum per l’indipendenza, referendum tra l’altro non riconosciuti dagli organi internazionali, ma soltanto da Mosca.
Nelle regioni russofone non si viveva in un regime di apartheid, come hanno scritto altri colleghi, o di soppressione da parte del governo centrale ucraino, mai è stata minacciata o abolita l’autonomia e mai è stata negata la lingua o la fede.
Il parallelismo non solo non ci sta caro signor Santoro, ma lei usa una narrazione volutamente distorta della storia e di quello che successe in Kosovo.