Il 7 Marzo del 1998, kalashnikov in pugno, Adem Jashari fu massacrato dalla polizia serba insieme alla maggior parte della sua numerosa famiglia.
Ogni albanese lo considera un martire. Insieme a Rugova, rappresentano i due simboli della lotta per l’indipendenza del Kosovo.
Oggi ricorre il 20esimo anniversario della sua morte, Albania News ha voluto commemorare la sua memoria attraverso lo speciale della BBC del 2015 a lui dedicato. Il servizio ripercorre quei tragici momenti per mezzo delle parole della nipote di Adem Jashari, Besarta.
Besarta, nipote di Adem Jashari – The Witness
Albania News ha voluto commemorare la memoria di Adem Jashari attraverso lo speciale della BBC del 2015 a lui dedicato. Il servizio ripercorre quei tragici momenti per mezzo delle parole della nipote Besarta.https://www.albanianews.al/notizie/kosovo/adem-jashari
Geplaatst door ALBANIA NEWS op Woensdag 7 maart 2018
Gli eventi
Il 5 marzo 1998 le forze serbe iniziarono a bombardare con carri armati la casa del comandante dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (in albanese Ushtria Çlirimtare e Kosovës, UCK) chiamato Adem Jashari, nella roccaforte di Prekaz. I serbi gestirono la situazione come un’azione legittima di polizia antiterroristica. Un momento brutale, dettagliatamente descritto nelle parole della nipote di Jashari:
“Avevo solamente dieci anni quando successe tutto. Mi ricordo sempre quel momento…
Ricordo mia mamma mentre ci abbracciava stretti a sé, cercando di non lasciarci spaventare e dandoci pane ed acqua.
Questa è la camera in cui l’intera famiglia si stava rifugiando.
Questo è il posto dove stavamo io, con la mia mamma e le mie sorelle, le mie zie, i miei cugini e la nonna.
Dopo che i serbi si avvicinarono andai in questa direzione, in questa stanza qui.
Questa è la stanza dove mio zio Adem fu ucciso, il suo corpo era qui.
Io venni qui e mi nascosi, nel posto in cui impastavamo il pane. Loro stavano sparando, gettando granate e bombe dentro la stanza dove morirono tutti. Però io non fui ferita. Non avevo nemmeno un graffio dalle granate e dalle bombe.
Mi ricordo mia zia, la moglie di Adem, morta al mio fianco. Io feci finta di essere morta. Poi entrarono i serbi e iniziarono a toccare le persone per vedere se qualcuno fosse ancora vivo. E lì notarono che io ero ancora in vita e mi fecero uscire fuori nei campi sopra la casa.
Mentre andavamo lì vidi mia sorella, che era l’ultima rimasta in vita con me. Io dicevo a loro che lei era mia sorella e che era ancora in vita. Pregai loro di fermarci e di aiutarla. Però non me lo permisero e mi portarono via in una macchina.
Pensare a quello che è successo alla mia famiglia e al Kosovo mi fa andare avanti con la mia vita, cercando di rendere mio padre e mio fratello orgogliosi di me. Ci sono notti in cui vado a letto, molto spesso, quando chiudo gli occhi, e mi ricordo tutto quello che è successo. Non lo so perché non fui uccisa. Posso solo dire che fu opera di Dio.”
Nel 1999 le forze serbe lasciarono il Kosovo dopo una campagna militare aerea condotta dalla Nato. L’ELK si sciolse. I ribelli serbi fuggirono da attacchi di vendetta.
Nel 2008 il Kosovo dichiarò l’indipendenza.
BAC, U KRY