I centri storici delle città di Berat e Argirocastro sono patrimonio Unesco dal 2005. Due castelli – in cima, marò e che scarpinetto! -, architetture civili molto particolari. [di usi e costumi non posso dire].
Berat
A Berat, racchiuso nella cinta di quello che era il castello, c’è un piccolo agglomerato di case ancora abitate. Alcune sono diventate b&b e ristoranti, qualcuna è in ristrutturazione o deliziosamente ristrutturata, altre sono abbandonate da poco – ne dicono vasi con i fiori secchi e tende sbiadite alle finestre – , altre ancora sopravvivono alla meno peggio allo scorrere del tempo.
Sulle cinta muraria, all’esterno e qua e là tra le viuzze, in esposizione, centrini e babbucce lavorate ai ferri, coperte e tovagliette ricamate.
Un artigiano, nella penombra della stanza di ingresso di una casa in rovina, scolpisce in bassorilievo, su tavolette di legno, scorci del quartiere dalle finestre sovrapposte ai piedi del castello.
L’hand made del tricot non mi attrae per niente, invece il colpo di scalpello che trasforma un pezzo di legno nella riproduzione stilizzata di un paesaggio…
Compro alcuni scorci di Berat. Li porto con me avvolti in carta di giornale.
Oltre alle case, tra le mura del castello ci sono i resti della moschea, delle cisterne, di chiesette e il bel museo iconografico Onufri. E’ ospitato nella chiesa ortodossa della dormizione di Maria. La “dormizione” di Maria è il corrispettivo ortodosso dell’assunzione cattolica di Maria. Nelle icone, la scena rappresenta nella parte bassa Maria distesa sul letto di morte, al centro Gesù che la tiene in braccio bambina, simbolo dell’anima pronta ad essere accolta in cielo. Le icone, grazie all’audioguida (anche in italiano, alè!) forniscono informazioni non solo religiose, ma anche relative alla storia politica, civile e culturale dell’Albania, e di Berat in particolare.
Il borgo del castello è affascinante soprattutto di sera, quando il via via di turisti finisce e restano il silenzio e le ombre delle mura proiettate dalle luci sulle torri. Di sera tutto il centro storico di Berat è spettacolare.
Al di sotto del castello – parecchio al di sotto, e che salita ripida! – si stende il quartiere di Mangalem, separato dal fiume Osum da quello di Gorica.
E’ soprattutto il quartiere di Mangalem ad aver dato a Berat l’epiteto di Città dalle finestre sovrapposte.
Non è passeggiando tra le sue stradine che si riesce ad averne piena percezione.
Bisogna attraversare il ponte e godere dello sguardo d’insieme, dall’una e dall’altra parte.
Le due zone del centro antico, l’una musulmana e l’altra cristiana, sono divise dal fiume ma collegate da due ponti.
E così come nel castello ci sono moschee e chiese, nei due quartieri la divisione religiosa non era categorica.
Berat era emblema della convivenza e tolleranza religiosa, prima che il regime facesse diventare l’Albania, per Costituzione, il primo Stato ateo della Storia.
Non sono credente, ma la tolleranza religiosa è per me un valore imprescindibile.
Tuttavia non ho potuto fare a meno di notare quante moschee di nuovissima costruzione, o in costruzione o in ristrutturazione punteggino adesso i paesini dell’Albania. Imponenti, coi minareti altissimi. Non so, davvero non so, se sia un bene.
Argirocastro
Anche Argirocastro ha degli epiteti: città d’argento, città di pietra.
I tetti delle case antiche sono in ardesia; la modalità di costruzione mi ha ricordato quella dei trulli di Alberobello; piccole lastre di pietra incastrate a sbalzo l’una sull’altra.
La parte inferiore delle abitazioni non ha aperture oltre alla porta d’ingresso: le finestre, decorate, sono al piano superiore, sporgente rispetto alla base.
Si può avere un’idea dell’interno visitando sia il Museo etnografico, collocato nella casa natale di Hoxha (ma è una ricostruzione, in quanto l’edificio originario fu devastato da un incendio), che nella casa Skënduli. (vi sono anche altre case/fortezza/monumento visitabili, ma io non vi sono entrata).
Il museo in verità è muto. Non ci sono pannelli esplicativi, né una guida. Un deposito di materiali in una abitazione parzialmente arredata.
(il senso di mitragliatori e cannoni nello spazio destinato a dispensa, tra otri e giare, non sono proprio riuscita a comprenderlo)
Nella casa Skënduli è un membro della famiglia ad accompagnare i visitatori. Il membro che ha accompagnato il gruppo del quale facevo parte – un gruppo che si è trovato per caso nello stesso momento nel cortile della casa – e pare una barzelletta, costituito da due spagnoli, due francesi e due napoletani – è un personaggio bizzarro e affascinante.
Lo chiamerò signor Sk. Magro, quasi allampanato, capelli più bianchi che grigi. Il signor Sk è seduto sulla sedia intento a leggere un giornale. Si alza, ripone gli occhiali nel taschino della camicia, e s’informa sulla provenienza dei visitatori.
Poi con nonchalance comincia a snocciolare frasi esplicative in traduzione simultanea italiano-spagnolo-francese sulla storia dell’edificio in cui ha abitato fino all’esproprio – due stanze e cucinino mi hanno dato – , sui 46 camini ad ostentazione della ricchezza della sua progenie, e ci conduce nelle stanze mostrandoci le porte e botole “segrete”, l’uso di alcuni strumenti da lavoro, fino al salone principale, con il camino finemente affrescato e il soffitto intagliato.
Un’esperienza, nel vero senso della parola.
Il cuore di Argirocastro è il bazar.
(convertito ora in bazar di souvenir, a uso e consumo turistico)
Sulla piccola piazzetta convergono tre strade principali, segnate dalle facciate di altrettanti edifici.
Ma la piazza è un cantiere aperto. Che disdetta essere qui nel fervore di lavori pubblici per il rifacimento delle strade! (e della moschea!)
Transenne, betoniere, rotoli di cavi e sacchi di materiale da costruzione depotenziano il fascino del luogo.
Il castello è invece una vera e propria fortezza posta in cima alla montagna – naturalmente, che straccquo! – e conserva integra la cinta muraria.
All’interno c’è il museo delle armi (mi sono rifiutata di vederlo).
La torre con l’orologio non è visitabile, come un’ala del castello.
Ma lo sguardo sui tetti d’ardesia, sulle montagne all’orizzonte, sul baratro nel quale si sarebbe gettata, secondo la leggenda, la principessa Argiro con in braccio il suo bambino per non consegnarlo agli invasori, vale interamente la sfacchinata per arrivare e la visita.
Conclusione
L’Albania è un paese di piccole dimensioni, ma una settimana è davvero un tempo troppo ridotto per visitarla. Ho dovuto rinunciare a molto.
[ Ksamil deve essere un incanto.
– Ma ad agosto? meglio di no.
E il nord e il lago di Ohrida?
– O quello o le città storiche, la giratempo non è ancora nella nostra dotazione.]
Come ogni volta che torno da un viaggio, mi dico che è stato breve, che ho visto troppo poco.
Ogni volta penso chissà, forse un domani.
L’Albania è vicina, economica, e assai ospitale. E poi ho fatto una promessa. Tornerò, prima o poi.
Viaggio in Albania
- Paese di aquile e colombe. Parte 1
- Imbarchi e sbarchi. Parte 2
- Durazzo Tirana Durazzo. Parte 3
- Zvërnec, LLogara, il mare e Syri i Kaltër. Parte 4
Vi invitiamo a seguire Mariateresa nel suo blog , con altri frammenti di viaggio dall’Albania e non solo.