L’itinerario albanese, data l’esiguità del tempo a disposizione, è conseguentemente limitato. Un giro circolare che cerca di salvare capra e cavoli, la rinomata costa e le città storiche, con una buttata di occhio su due parchi naturali.
La distanza tra Durazzo e Tirana è più o meno la stessa che intercorre tra Caserta e Napoli, e più o meno lo stesso è il paesaggio.
Mi è sembrato di arrivare a Caserta passando per Lusciano e Marcianise. Stessa bruttura, con capannoni industriali e accumuli di ruggini e lamiere; campagne disordinate e sciatte, faraoniche e iperkitsch costruzioni stile hollywoodiano – colonne e statue e dorature, cavoli a merenda – che si palesano come epifanie.
[Tutto il mondo è paese, le periferie delle grandi città sono sempre squallide, grrrr.
Però in Bretagna, o in Baveria…
Le periferie delle grandi città sono quasi sempre squallide. Doppio grrrr.]
Ma a differenza, un’infinità di distributori di carburante.
Ce ne sono tantissimi (anche lungo la strada tra Tirana e Berat), sempre corredati di punto ristoro, bar, albergo (mi chiedo come possano sopravvivere tutti con tale concorrenza)
L’Albania è contemporaneamente un paese arcaico e nuovo.
E’ ammirevole quanto sia riuscita a fare in poco più di venti di anni, dalla caduta del regime.
Le statistiche la incasellano tra i paesi più poveri d’Europa (secondo il reddito pro-capite a parità di potere di acquisto – PIL PPA 2015 del Fondo Monetario Internazionale ) , ma l’ambizione alla ricchezza e alla modernità, se fuori da un progetto e fuori da ogni controllo, non sempre porta buone cose.
Le considerazioni su Durazzo e Tirana non possono che essere epidermiche, dato che nella prima città ho trascorso una manciata di ore prima dell’ attesa dell’imbarco per Bari, e nella seconda un solo giorno.
A Durazzo c’è un lungo boulevard, con le palme, i palazzotti buoni (sul terrazzino di uno dei quali, richiamata dal versi, ho scorto una grande gabbia stracolma di piccioni, un piccolo allevamento) e i baretti fichetti.
Anche la piazza su cui si affacciano la grande Moschea e vari edifici pubblici e dove zampillano le fontane è molto bella.
Sul lungomare, tra Ventus (che è un albergo ristorante costruito sul mare, Dubai style) e Sfinksi, o capo square, una struttura pubblica in cemento, una piazza/terrazza a gradoni ‘n punt’o mar, che da un lato ricorda la sfinge e dall’altro una sorta di stratificazione geologica (se fosse meno trascurata, se intorno non ci fosse lo sgarrupo…) e oltre, file di palazzoni sembrano voler fagocitare le onde.
Nei pressi della torre veneziana, dove lo skyline della merlatura è sovrastata dagli ombrelloni del bar, c’è un grande edificio che è stato costruito inglobando le mura dell’antico castello bizantino.
Fa strano.
Ho avuto la sensazione che in Albania ci sia un cortocircuito tra il proprio passato (radici che non si possono – e non si devono – tagliare, ma anche la povertà, le limitazioni imposte dalla dittatura) e l’idea di futuro.
Ciò talora produce situazioni stridenti (e abbandoni, prima ancora del portare a termine).
Penso alla Piramide di Tirana, costruita come monumento-museo celebrativo di Enver Hoxha.
Con la caduta del regime, venne adibita ad altri scopi: base Nato, centro eventi. Ora è in uno stato di abbandono e di degrado sconcertante. Una vera damnatio memoriae.*
Ho visto però anche realtà di segno opposto.
Interessantissimi sono i Bunk’art, due dei bunker, tra le centinaia di migliaia costruiti durante il regime di Hoxha (i dittatori sono tutti paranoici), convertiti in un luogo dove la memoria diventa riflessione e monito.
Il Bunk’art 2 fu costruito tra il 1981 e il 1986, destinato ad ospitare la polizia d’elite e il personale del Ministero dell’Interno in caso di un eventuale attacco nucleare.
Ora è un museo.
Nelle stanze che si aprono sul lato dei lunghi corridoi si racconta la storia “poliziesca” dell’Albania dall’indipendenza fino alla caduta del regime.
I pannelli esplicativi sono in albanese e in inglese, ma anche senza soffermarsi troppo sulle parole, le immagini (foto, filmati) gli oggetti, ma soprattutto lo spazio stesso [claustofobico, opprimente, labirintico, disorientante] dicono tanto.
[Ho provato disagio e imbarazzo nelle stanze relative all’occupazione fascista, come se fosse stata colpa mia.]
Bunk’art 2 è situato a due passi dalla piazza Scanderberg, una piazza gigantesca, così enorme che mi sono sentita una formichina.
Ho immaginato come ci si potesse sentire in mezzo ad una folla oceanica radunata lì per un comizio, ad esempio.
Un granello di sabbia.
[non so perché. anche piazza del Plebiscito a Napoli è vasta – per non dire di Piazza di Spagna a Siviglia – , ma lì non ho provato la sensazione di minuscolità che mi ha pervaso in piazza Scanderbeg].
Tranne che sotto il sole delle tre del pomeriggio, e girovagando ai bordi, è però un luogo accogliente: ai margini, tra il Museo nazionale e il teatro dell’Opera e la torre dell’Orologio, tra la Moschea e la Chiesa
Ortodossa, vi sono spazi verdi e panchine, installazioni artistiche e fontane.
Di sera, ad intermittenza, luci rosse, blu, viola verdi e gialle illuminano le aiuole.
Lampioni a forma di giganteschi paralumi fanno luce sulle strade che convergono nella piazza.
Bellissimo, molto curato e davvero rilassante è il grande parco pubblico sul lago artificiale, il Parku i Madh i Tiranës.
Si può correre (non solo atleti, ma intere squadre, con divisa regolamentare e fisicacci, ho visto battere ritmicamente i viali), passeggiare, sedersi a guardare le anatrelle, fare yoga o altri sport più dinamici. C’è anche un teatro all’aperto.
[e le toilette pubbliche sono pulitissime].
Dal tramonto si riempie di gggente. Un vero polmone verde – e un cuore pulsante – nel centro della città.
Ho trovato bella la ristrutturazione dell’area dell’antico mercato di Tirana, Pazari i ri.
I banchi della frutta, delle cianfrusaglie, delle spezie, sono sovrastate da una struttura vetrata, a forma di tenda, nella quale si riflettono i vivaci colori, giallo, viola, rosso nero della tinteggiatura geometrica delle superfici dei moderni palazzi che attorniano la piazza.
(mi hanno ricordato i motivi dei tappeti tradizionali)
Un tripudio di colori e odori.
Tirana è una città a vocazione cromatica. Persino i semafori.
Sono montati su dei pali che riproducono in modo stilizzato un albero. Non si illumina di verde o di rosso o di arancione solo il faro, ma tutto l’ambaradan. Sfiziosi assai.
E il caffè a Tirana (ma in tutta l’Albania) è davvero buono.
*C’è un progetto che la renderebbe centro di creatività giovanile, pure discoteca [altro che damnatio memoriae, vera nemesi]. Bisogna far presto.
Viaggio in Albania
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