Questo mio articolo, come altri del resto, vorrebbe avviare una discussione in merito a una questione che trovo molto identificativa delle differenze culturali nelle quali negli anni di frequentazione dell’Albania mi sono imbattuta.
Vuole forse anche essere un modo per esprimere il mio pensiero, costellato da rammarico a volte, da incomprensione, poiché penso sempre che non ci sia metodo migliore per aprirsi e raccontarsi se non quello della scrittura.
Avrete già compreso dal titolo quale sia il tema dello scritto. Ospitare: la prima parola che definisce questo verbo è proprio accogliere, continua poi aggiungendo “nella propria casa con riferimento sia a persone amiche che conoscenti…”
Accogliere: ricevere, ammettere, offrire. Tutte parole che richiamano un grande senso di altruismo e di attenzione verso l’altro.
Ebbene devo aver già espresso quanto in Albania io mi sia sempre sentita accolta e quanto abbia appreso negli anni che l’ospitalità e l’ospite per gli albanesi siano sacri, a volte anche ai limiti dell’assurdo.
Ricordo racconti di persone che durante la dittatura, quindi in situazioni di estrema difficoltà, acquistassero della frutta che nemmeno i bambini potevano toccare, perché doveva essere dedicata agli ospiti. Ospiti che poi rifiutavano di mangiarla per lasciarla ai bambini e nel frattempo la stessa frutta avvizziva.
Esempio forse un po’estremo, ma che credo renda l’idea.
E non solo vieni accolta nelle case albanesi, ma anche rifocillata, nutrita, messa a tuo agio.
Bergamo: mia amata città
Luogo dove sono nata e cresciuta.
Quando sento parlare di mentalità bergamasca mi si drizzano le orecchie. Perché è vero, esiste la mentalità bergamasca, come il bergamasco tipo. E non è uno stereotipo, ma un dato di fatto. Ci dicono che siamo chiusi, diffidenti, ma che se si riesce a far aprire il nostro cuore, questo resterà aperto per sempre. E qui entra in gioco il particolare, perché io provengo da una famiglia che di chiuso ha ben poco.
Casa mia, o meglio dei miei genitori, è sempre stata aperta. Da che ricordo, vuoi per via dello spazio, ma è semplicemente una scusa, vuoi per il carattere, i miei hanno sempre avuto il piacere di invitare e condividere. E lo stesso ho sempre fatto io, con gli amici di scuola prima, con gli amici della vita poi. È parte di me, del mio modo di relazionarmi. Credo che rendere le persone partecipi della propria vita voglia anche dire, a un certo punto, farle entrare in casa propria, accoglierle.
Tuttavia, e qui arriviamo al punto di svolta, il mio non essere una bergamasca tipica, così mi sono sempre sentita dire, mi ha portato invece a raffrontarmi con amici e parenti che agiscono invece secondo i dogmi dello stereotipo. Morale della favola io in alcune case nemmeno ci ho mai messo piede. E non perché lo voglia fare, ma perché mi hanno insegnato che l’amicizia dovrebbe essere dare e avere, e contraccambiare è un gesto importante. Nei limiti del possibile, del concesso e del piacere di farlo. Vale anche per i miei ovviamente, che non hanno nemmeno idea di dove vivano alcuni loro nipoti.
E quando diventi grande, con una famiglia tua, con ritagli di tempo sempre più piccoli questo pensiero ti sfiora sempre di più. Pensiero che svanisce in Albania, dove addirittura accade l’opposto.
Ho sempre pensato e lo penso tuttora fermamente che non ci debbano essere obblighi sui rapporti umani: la libertà di sentire o meno di fare qualcosa verso gli altri è fondamentale per costruire relazioni sane. È anche vero però che i legami, lo dice la parola, creano anche degli impegni, dei vincoli reciproci e dove questa reciprocità viene a mancare si innesta il dubbio o il distacco.
Non vuole essere un appello ad aprire le proprie case e ad apprendere da una cultura diversa, ma un discorso che sottolinea atteggiamenti e modi di vivere diversi. Non so se sia il luogo a condizionare, lo stile di vita, il fatto che essere presi e stressati diventi una scusa per limitare i rapporti più intimi, ma se si ha piacere ad andare in casa d’altri e lo si fa spesso e volentieri, sentendosi come a casa propria, bisognerebbe anche considerare la grande ospitalità che ci viene rivolta, chiedendoci il perché e in che modo noi contraccambiamo.
In questo sì, sono molto bergamasca e reputo la riconoscenza un valore: il riconoscersi anche attraverso il rapporto con l’altro. Mi hanno cresciuta così.
Chissà che qualcuno che legga non ci si ritrovi, da una parte o dall’altra.
Da una sponda dell’Adriatico o da quella opposta.