Una critica casalinga povera, il desiderio palesato della necessaria divulgazione di tematiche potenti, anche se già oltremodo trattate, gli interessi dell’editoria spesso discutibili e il parziale disinteresse delle istituzioni presenti sul territorio, ormai costituiscono un connubio pericoloso a danno della diffusione della letteratura albanese in Italia.
Parlerò della media, mi riferirò esclusivamente al mondo italiano, (tranne che per la critica letteraria), non farò di tutta l’erba un fascio, non mi interessa colpevolizzare nessuno e nemmeno salvare qualcuno.
Il libro e la pseudo – critica
Il libro nasce nella lingua del padre, vede la luce grazie alla casa editrice che decide di prendersene carico, viene presentato dall’autore con il supporto di persone competenti, (non sempre succede), riceve le critiche sotto forma di recensioni e articoli, passando così al lettore. La letteratura è libertà e spesso varca i confini grazie alle traduzioni e la storia si ripete allo stesso modo, in un altro mondo.
La produzione letteraria proveniente dall’Albania per me non ha eguali; ogni pezzetto letterario dei Balcani ritengo che non abbia nulla di simile, ma il mio interesse maggiore, quello più appassionato, un pezzo del mio cuore letterario e non, va all’Albania e questo è indiscutibile.
Quello che è un vero peccato, il primo autentico danno è l’assenza ingiustificata di una critica letteraria che in Albania possa definirsi tale. Naturalmente, parlo della media, non metto in dubbio che possa esserci qualcuno che esca fuori dal coro.
Effettivamente, si leggono pensieri e articoli che narrano di libri, in cui lo scrivano di turno stende qualche idea su quel volume o quell’altro testo, che mi sento di suddividere in due gruppi, anzi no, in due parole: orribile e magistrale.
Orribile
È il termine che identifica quel nutrito gruppo di articoli che massacrano il volume in oggetto e con esso l’autore (o forse l’autore e basta), prendendolo di mira, senza cognizione di causa, senza sviluppare le argomentazioni, senza giustificare la palese emergente frustrazione di chi, in quell’istante, ha pensato bene di prendersi il suo momento di gloria che altrimenti non avrebbe mai, affondando quello scrittore e quel testo che tanto sta sullo stomaco, in maniera diretta o per riflesso o per invidia, per un non identificato motivo. Scritti inutili, mossi da sentimenti nefasti, leggibili palesemente tra le parole ignoranti utilizzate per mascherarli. Verrebbe da dire “lavati l’invidia e impara a scrivere!”, ma è meglio di no, quando si è senza né arte né parte, tutto risulta un complimento.
Magistrale
Quasi a voler bilanciare le cose, abbiamo quelli del “volemese bene”, dove pure il più insignificante dei libri e la più povera delle penne possono diventare “magistrali”, “fantastici”, “con doti eccellenti”, “una storia unica”. E vai con il disegno aulico di un quadro inesistente, alla ricerca di quella innovazione fantasma di un volume che potrebbe addirittura faticare a essere definito tale. E vai con le simpatie, dove i versi inadatti anche a ricoprire i cioccolatini si trasformano in componimenti pari a quelli del grande autore e storie senza alcun valore vengono elette a capolavori.
Come facciamo?
In base a cosa, quindi, si può valutare un testo scritto in un’altra lingua, così poco conosciuta, per permettergli di varcare i confini? La critica dovrebbe essere il primo supporto, la prima spinta verso nuovi mondi, l’unica vera voce affidabile, ma non lo è.
Aggiungo che “i signor nessuno” della critica si palesano sovente anche nel nostro Bel Paese e su testate di una certa rilevanza, a volte. È altrettanto vero che l’Italia vanta una buona rosa di critici validi e preparati, che vanno a equilibrare i piatti della bilancia. Uno a zero, palla al centro.
Gli scrittori e le tematiche
Veniamo agli scrittori. Molta della letteratura scritta in Albania, la cui traduzione viene proposta in Italia, riguarda tematiche legate alla dittatura e al fenomeno migratorio. Un ruolo rilevante lo si deve riconoscere alla letteratura carceraria, nata da chi ha sofferto le pene della prigione durante il regime di Enver Hoxha. Argomentazioni queste, che personalmente apprezzo molto, delle quali, nei miei articoli, nelle mie interviste e nelle presentazioni, spesso, mi sono fatta paladina.
L’Albania, però, è tanto altro: è tradizioni, storia, cultura, paesaggi, famiglia, meraviglia, l’Albania è meraviglia, è società, è individualità eccetera, eccetera, eccetera. Certamente, narrare della dittatura è storia, infondo, il lettore ha sempre fame di conoscenza di quello che è stato, di come è stato, di quello che si è patito, di come lo si è patito, durante uno dei regimi più feroci, se non la più sanguinaria dittatura dei Balcani, in un Paese all’epoca sconosciuto, oggi un po’ meno. I critici hanno sempre fame di queste tematiche, specialmente se visitate con un’ottica innovativa.
Nonostante tutto, mi chiedo se questo “dare in pasto” argomentazioni appartenenti a un’Albania chiusa al mondo, non alimenti, ancora oggi e quotidianamente, la visione “esotica” del Paese e di conseguenza della sua cultura/letteratura. Mi domando se tenere ben saldo e rendere indelebile il filo che lega a un certo tipo di passato, non sia un modo per non uscire mai da una percezione che ha l’urgenza di essere superata.
Desidero sottolineare, che non intendo sminuire nulla: non intendo sottovalutare chi sente il bisogno di narrare della propria dolorosa esperienza carceraria, chi intende lasciare al lettore un approfondimento sul regime dittatoriale o chi, ancora e ancora, abbia voglia di narrare del suo arrivo in Italia o del sogno italiano realizzato o infranto. Tra l’altro, ribadisco, che sono tematiche che mi stanno a cuore e che in un’epoca come la nostra, con quanto la situazione attuale ci propone, rimangono di forte interesse.
Mi chiedo, però, ogni giorno, se il lettore italiano non abbia bisogno di altro, mi domando se questo non costituisca uno degli elementi fulcro del pregiudizio che accompagna la diffusione della letteratura albanese (a meno che non sei un cantante famoso e in quanto tale il libro è necessariamente bello, o un autore promosso da una grande casa editrice e vuoi che il suo libro non sia di spessore? beati luoghi comuni). Mi chiedo, ancora, se il lettore non senta la necessità di conoscere l’Albania da altre prospettive, se non ci sia l’urgenza di concedere alla sua curiosità qualcosa in più, oltre il 1991.
Le case editrici
Circa le case editrici mi esprimerò brevemente: i tempi in cui si pubblicava la letteratura albanese perché interessati realmente alla sua diffusione, a mio avviso, sono terminati. A tal proposito, vorrei spezzare una lancia a favore delle stesse, che non hanno, forse, mai visto validi riconoscimenti dall’Albania per il loro impegno. Come è giusto che sia, gli editori guardano alle vendite pretendendo spesso, (come non è giusto che sia), con la minima spesa la massima resa; un comportamento non adeguato alle esigenze del mercato quest’ultimo, a prescindere, che ha come conseguenza un’inadeguata promozione.
Poi, ci sono quelli che desiderano solo arricchire il catalogo, considerandolo una vetrina della propria vanità. A quest’ultima categoria appartengono, spesso, quegli editori che considerano la letteratura albanese interessante ma “non vendibile”. Non intendo commentare questo punto di vista, che per la loro esperienza potrebbe anche trovare una giustificazione: aggiungo solo, che risulta alquanto colpevole e ingiurioso produrre qualcosa senza crederci fino in fondo e anche in questo caso, a prescindere. La conseguenza: un’inesistente promozione.
Sono in diversi gli editori che decidono di pubblicare una produzione albanese, a volte non sapendo nemmeno di cosa si stia parlando. Probabilmente è un atto di leggerezza non voluto, ma sarebbe opportuno valutare quello che si conosce o non si conosce dell’Albania, prima di accettare un solo e dico un solo autore proveniente da questa terra. Per quel che mi riguarda, ritengo che per svariate motivazioni, a volte, la letteratura albanese venga maltrattata dagli stessi editori.
Il disinteresse delle istituzioni
Un ultimo pensiero, ma non ultimo per importanza, lo riservo alla scarsa attenzione riservata alla diffusione della letteratura (e della cultura) di alcune istituzioni albanesi attualmente presenti sul territorio italiano (non tutte, naturalmente), che dovrebbero essere le prime paladine della causa. Trovo questo atteggiamento profondamente triste; sarebbe il caso di riservargli una riflessione a parte, ma ne varrebbe la pena? No. Da questo punto di vista, attendiamo con fiducia un mondo migliore, che ci porti gente più motivata, più attenta, meno stancante.
Conclusioni prive di conclusione
Questa breve analisi, puramente artigianale, che non contiene numeri, statistiche, paroloni, menzioni e riferimenti, nasce dal mio tentativo quotidiano e di chi come me (e non siamo in pochi, per fortuna) si adopera con gli scarsi mezzi a disposizione per la diffusione della letteratura albanese in Italia, di comprendere come impegnarsi al meglio e quali siano gli ostacoli maggiori da abbattere, oltre il pregiudizio che aleggia ancora oggi tra i lettori.
Sono riflessioni che nascono dalla mia personale esperienza, dagli innumerevoli contatti, dai tanti confronti, dagli scambi di idee, dai silenzi, da quello che vedi, che non vedi e che fai finta di non vedere. Un caos sistemabile? Non lo so.