Da un sondaggio fatto ultimamente nei Balcani per misurare il sostegno delle società balcaniche all’integrazione nelle strutture dell’Unione europea, quella albanese si è posizionata al primo posto.
L’entusiasmo è così alto che per l’Albania non si tratta più di un semplice sostegno, fatto che implicherebbe una certa razionalità logica. Sostegno, vuol dire, che il progetto è chiaro. Si è al corrente dei vantaggi e svantaggi che ne derivano, decidendo poi di appoggiare oppure no questo progetto, che nel nostro caso è quello dell’Unione Europea.Nel caso albanese si tratta di un amore incondizionato verso il progetto europeo, un vero e proprio incantesimo che se si potesse spiegare in termini socio-economici svanirebbe nel nulla. Ciò nonostante, ormai da 20 anni, gli albanesi hanno deciso di amare l’Unione europea senza condizioni anche se non sempre sono stati ricambiati con lo stesso amore.
Questo atteggiamento politico non è una novità nella realtà albanese. Agli inizi amavamo gli jugoslavi. Anche se oggipuò sembrare impossibile, in un intervista del 1945 per il New York Times, Enver Hoxha definiva gli jugoslavi fratelli dello stesso sangue. Poi c’è stato l’amore incondizionato per la grande Unione Sovietica e, per chiudere la bella romance maoista, durante la quale dominavano gli slogan della fraternità tra il popolo albanese e quello cinese.
La piazza “Scanderbeg” nel centro di Tirana ha accolto ed accompagnato grandi folle di cittadini e leader di altri popoli. Quest’ultimi sono stati adorati con lo stesso amore e aborriti con lo stesso odio. Tutto ciò è successo nell’arco degli ultimi 60 anni. In altre parole, un albanese di media longevità si è posizionato in quella piazza sistematicamente per odiare o amare popoli, culture e politiche rappresentate da stati diversi, senza capire realmente il motivo per cui amava o odiava.Dopo gli anni 90, l’unico sole che avrebbe illuminato i volti e le menti degli albanesi è stato l’Occidente. E come negli anni precedenti, la discussione politica si è colmata di espressioni d’amore verso l’Occidente, riconoscendo gli europei di Bruxelles come gli amici secolari dell’Albania!!!Nel discorso politico dei ultimi 20 anni di pluralismo, non solo non esiste una corrente euroscettica e non c’è effettivamente un dibattito tecnico sulle condizioni dell’integrazione nell’UE, ma la situazione oramai è fuori controllo che si è addirittura spostata dallo stadio logico a quello metafisico.
Oggigiorno, i leader albanesi accusano l’un l’altro di una certa mancanza d’affetto nei confronti dell’America e dell’Europa. I socialisti dichiarano che sono stati loro ad iniziare il processo dell’Associazione e Stabilizzazione con l’UE. Pertanto, sono loro l’amore ontologico dell’Occidente. Invece, i democratici sostengono che sono loro i più amati dall’Occidente, perché durante il loro mandato di governo sta per realizzarsi la liberalizzazione dei visti.
La situazione è precipitata così tanto che è stata accolta con festeggiamenti anche l’adesione dell’Albania alla Nato, organismo sovrastatale di un imbarazzo indispensabile anche per gli europei che nella sostanza promuovono i valori della pace e dell’umanità. Quindi, ci siamo entusiasmati anche quando siamo diventati parte della più paradossale istituzione occidentale. Tirana è diventata il fulcro dei festeggiamenti e sono stati organizzati concerti in tutta l’Albania. Cerimonie fastose per l’ingresso in una coalizione militare che, probabilmente, farà guerre. In altre parole, noi albanesi, non solo amiamo senza condizioni l’Occidente e i valori che propaganda, ma anche i suoi paradossi.
Questa situazione di orgia esaltante e di amore pro-occidentale serve molto all’attuale leadership politica che attraverso la carta dell’Unione Europea impone l’egemonia necessaria per opprimere qualsiasi tipo di dibattito o discussione per le politiche intraprese da essa: di solito, le politiche che mettono in strada migliaia di persone o addirittura la distruzione della proprietà pubblica vengono propinate come condizioni poste dall’UE. Per di più, questa “eurofilia” è usata come copertura per gli affari non legittimi sviluppati e intrapresi dalla classe politica al potere che non si fa problemi nel strumentalizzare a proprio favore le direttive europee.Un classico esempio di questo è Gërdec. In una delle direttive della Nato veniva richiesto all’Albania di distruggere i suoi vecchi armamenti. Immediatamente il Ministro della Difesa diede questo diritto ad una compagnia albanese con collaboratori americani. Nel marzo del 2008, una delle fabbriche dello smontaggio è esplosa, uccidendo 26 persone e ferendo altri centinaia a solo pochi chilometri da Tirana. La fabbrica era sta costruita in un luogo abitato senza nessuna condizione di sicurezza, mentre lo smontaggio veniva fatto da persone inesperte come i contadini della zona. Da questo affare traevano profitti i politici in Albania ed i loro collaboratori americani. Il Ministro della Difesa ha giustificato la fretta con la quale aveva deciso di dare questa licenza, con le condizioni poste dalla Nato, dando così uno schiaffo “occidentale” a tutti quelli che avevano osato mettere in discussione una simile iniziativa.
Oggigiorno, le zone rurali, sono in totale degrado. In Albania, i prodotti agricoli non possono competere con il mercato. In seguito all’accordo sull’abolizione dei dazi doganali i nostri vicini, come gli altri paesi dell’UE, hanno in pugno qualsiasi mercato. All’Albania viene impedito di sovvenzionare o aiutare i contadini, cosa che non succede negli altri paesi. In queste condizioni l’agricoltura albanese, ancora una delle poche colonne funzionali della nostra economia, si trova in un totale collasso e questa situazione sta spingendo l’agricoltore verso un estrema povertà.
Malgrado tutto, ciò che fa diventare la situazione ancora più pesante, è la perversità di imporre questa ideologia con delle condizioni quasi utopiche. Le regole dell’UE non si discutono, l’Europa ha voluto così e noi non possiamo fare altro che obbedire. In questo modo, l’agricoltore albanese, non solo non può intervenire di fronte a questa egemonia per cambiare le regole del gioco e garantirsi la sopravivenza, ma non può neanche discuterne pubblicamente.
Negli ultimi giorni, il parlamento europeo ha dato il via libero alla liberazione dei visti per l’Albania. L’ultima speranza che si sta consumando nei tavoli vuoti degli albanesi è il fatto che probabilmente in un futuro gli albanesi saranno parte di un grande mercato di lavoro e che questo possa ammortizzare rimarginare la ferita ventennale degli albanesi, ossia la disoccupazione. Questo “piano” non solo viene dichiarato dalla politica ufficiale, ma trova oltretutto un grande appoggio nel popolo. Nella mente si hanno ancora i ricordi della ricca Europa che arricchirà chi ci vive. Però questo piano per l’occupazione è inutile non solo quando gli albanesi vanno all’estero ma anche quando ritornano per investire. Un esempio concreto è l’esperienza della compagnia Bechtel in Albania, contrattata dallo stato per costruire la più grande opera pubblica dopo la caduta del comunismo. Una strada che collegherà Tirana con la frontiera con il Kosovo ed eventualmente nel futuro con Prishtina. Per la sua costruzione, la compagnia è stata costretta a importare forza lavorativa dalla Turchia anche se la zona nella quale si sta costruendo è la più povera dell’Albania e con il livello più alto di disoccupazione che va dal 25% al 30%. Per un semplice motivo: i lavoratori del luogo che non hanno nessuna specializzazione, sono soltanto dei disoccupati non qualificati e non adatti a qualsiasi industria moderna. Gli albanesi disoccupati non sanno usare nessun mezzo tecnologico e nella maggior parte dei casi non hanno neanche la patente di guida. Sono manovali o braccianti, come nel medioevo. Di conseguenza, nel mercato modernizzato europeo questa classe lasciata al proprio destino dallo stato albanese, risulterebbe di nuovo disoccupata anche se questa volta integrata in un territori
o geografico più grande.
Non c’è dubbio che l’occidente con i suoi valori politici sociali e culturali è oggi l’unica strada da seguire dagli albanesi. La nozione moderna che propone l’occidente e la sua filosofia rappresentativa consiste nell’emancipazione e nel progresso sociale, ma nelle condizioni in cui si trova l’Albania, come direbbe Stiglitz, è una barca di carta che cerca di attraversare l’oceano. Il naufragio è sicuro.
In questi condizioni lo Stato albanese, ma soprattutto le istituzioni europee che sono state costruite per sviluppare questo progetto, devono necessariamente spostare la loro attenzione dal semplice percorso legislativo e andare al dunque con proposte più concrete. Servono programmi di formazione e qualificazione per la classe lavorativa albanese, per adeguarla con il nuovo mercato nel quale sta entrando. Dall’altra parte, bisogna avere come scopo lo sviluppo di questa classe non solo nell’aspetto tecnico ma anche in quello politico tramite la rappresentanza sindacale. Questo significa che l’Europa dovrebbe rivedere urgentemente il suo approccio neoliberale del mercato libero che ha già creato problemi in altri stati e nel caso albanese avrebbe conseguenze tragiche. L’integrazione dei Balcani in queste condizioni porterebbe un’amplificazione del caso rumeno in molte altre cellule, le quali, probabilmente, creerebbero un contesto sgradevole in Europa, spingendo verso il potere i partiti dell’estrema destra, un lusso che l’Europa di oggi non si può permettere. La nostra passione per il mercato libero e le politiche neoliberali possono portare nel breve termine un profitto per l’economia degli stati europei ma niente di stabile e di lungo termine. Se i Balcani non trasformano la loro economia da una economia di stock e consumo in una produttiva, si creerà un peso che l’Europa non può sostenere ed i Balcani saranno sempre instabili. Per questa ragione, più della creazione di un grande mercato europeo, bisognerebbe ideare la creazione di piccoli mercati europei con le peculiarità che ogni paese offre. L’adesione dell’Albania all’UE significa un paese per la gente che lavora e costruisce qui e non una possibilità di fuga dal loro paese. Per grande sfortuna questo processo, per il modo in cui viene trattato oggi dalle politiche neoliberali europee in rapporto con i Balcani, è particolarmente con l’Albania, si sta trasformando da un problema locale a uno globale sia nell’aspetto sociale che in quello culturale e politico.
Pubblicato il 21 ottobre 2010 su Saktivista, il blog dell’Istituto albanese “Antonio Gramsci”. Titolo originale “Një histori shqiptaro-europiane” .Tradotto per AlbaniaNews da Lejdi Dervishi.