Duke pedaluar, “pedalando”, cantano Elsa Lila ed Enrico Ruggeri nel loro toccante duetto in albanese e italiano che fa da colonna sonora a Lindje – Perëndim – Lindje di Gjergi Xhuvani, storia di un gruppo di ciclisti che percorrono l’Europa per rappresentare la nazionale albanese alla fine degli anni ‘80.
In una luminosa domenica autunnale sulla riviera ligure, pedalando sulla pista ciclabile fra Sanremo e Imperia, una ventina di chilometri fra cielo e mare, ho scorto con la coda dell’occhio una scritta bianca sul verde di un contenitore in plastica.
Passando oltre, mi tornavano nella mente quelle poche lettere appena intraviste, cui cercavo di dare un senso.
Ne avevo colto solo l’inizio: TE DUA SH”. Come poteva continuare la frase? Te dua shumë? Una dichiarazione d’amore in albanese, qui, su una piazzola di sosta a Sanremo? Ormai ero troppo incuriosita. Inverto il senso di marcia, e ripercorro alcune centinaia di metri per tornare sul posto.
E lì, sull’improvvisata parete verde di un contenitore dei rifiuti, rileggo la scritta, stavolta per intero: ZAMIRE TE DUA SHUM.
La scrittura inclinava verso destra, con le ultime lettere penzolanti in terra. Ho appena il tempo di sorridere, intenerita dal senso della frase e colpita dalla novità (era la prima volta che vedevo iscrizioni in albanese su strade italiane), quando mi accorgo che tutt’intorno, a pochi passi di distanza, su un muretto e una panchina, la stessa scritta si ripeteva più volte, seguita dalla firma dell’autore e, cosa che mi ha fatto subito estrarre di tasca il videotelefonino, accompagnata dalla traduzione in italiano: ZAMIRA TI AMO SOLO A TE ERVIN.
Ora, il fatto che un ragazzino albanese (comunità molto numerosa in questo versante della Riviera)si dichiarasse alla ragazza del suo cuore scrivendo nella propria lingua in un luogo pubblico, mi era già sembrato un segno dei tempi,un’espressione di forte radicamento sul territorio. Ma che poi alla scritta in albanese avesse sentito la necessità di affiancare la traduzione italiana per farlo sapere a tutti, mi è parso più significativo di tante possibili elaborazioni teoriche su concetti quali “integrazione”, “multiculturalità”, e via dicendo.
A tale riguardo, mi scuso con Olti Buzi, editore di questo giornale, per non aver mantenuto la promessa di partecipare al forum in cui si chiedeva di rispondere alla domanda “Cosa pensate della prospettiva di un’Italia multietnica?”.
A quella domanda non avevo mai risposto, e ora leggendo quelle parole d’amore in albanese con testo a fronte, capivo anche perché.
Il fatto è che, cosa davvero significhi “multietnico”, io non l’ho mai capito bene. Tanto per cominciare: quale sarebbe, ammesso che esista, la mia etnia di appartenenza? Nata e vissuta nell’Italia del Sud, posso considerarmi originaria della Magna Grecia?
Mi piacerebbe molto, ma dove le mettiamo generazioni di Longobardi, Arabi, Normanni, Francesi, Spagnoli, che nei secoli hanno rimescolato stirpi, tradizioni, dialetti, usi e abusi del Meridione d’Italia?Poi ho vissuto – benissimo – per dieci anni a Milano, prima di trasferirmi in Liguria.
Per nascita dunque sono del Sud; ma molte delle mie amicizie più care, oltre che la persona più importante della mia vita, mio marito, sono tutte nate al Nord, o fuori dai confini nazionali. In alcune cose mi sento “nordica”, ma per quanto riguarda legami familiari, affettività, emozioni, mi considero molto più “mediterranea”.
Ora che ci penso, non sarà che sono già multietnica io? Mi devo preoccupare? A dire il vero, mi preoccupano molto più seriamente le affermazioni di chi, in cerca di facili consensi, dice no a un’Italia multietnica. Che senso ha un’affermazione del genere in un Paese come questo, dove popoli e nazioni si sono fusi e confusi nei millenni?
E da dove nasce la ricchezza di una cultura, se non dall’insieme delle diversità che le danno vita, colore e sapore? Non sarebbe molto più utile dire no all’Italia del crimine e della corruzione, da dovunque provengano?Non lo so cosa distingua esattamente un’etnia dall’altra, ma penso che Ervin, che ha scritto “ti amo” alla sua ragazza in albanese (che a quanto suggeriscono i nomi dovrebbe essere la lingua d’origine d’entrambi) e poi ha voluto tradurlo nella lingua del Paese in cui vive, e dove forse è anche nato, sia la dimostrazione che la società attuale, con la sua varietà di origini e culture, è già di fatto multietnica, e che in tutta Europa migliaia di Ervin, Zamire, Omar, provenienti d’ogni parte del Mediterraneo, America Latina e oltre, stanno già a modo loro comunicando nella lingua universale dell’amore.
E’ di questi giorni la notizia che fra i 15 Alfieri del Lavoro, la prestigiosa onorificenza che il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano assegna ogni anno agli studenti più bravi delle scuole italiane, c’è per la prima volta un liceale albanese, arrivato nove anni fa da Tirana con la sua famiglia. Ora Henri Ibi, papà operaio e madre casalinga, frequenta la Facoltà di Giurisprudenza di Roma, dove ha vinto una borsa di studio; sogna di diventare magistrato.
Risalgo in bicicletta, mentre Enrico Ruggeri ed Elsa Lila continuano a cantare: “E i posti di frontiera sono porte spalancate// Per guardare in lontananza // Antenne paraboliche discese nel silenzio di una stanza.”