Tra i sette ordini del giorno approvati dall’Assemblea nazionale del Partito Democratico il 4 e il 5 febbraio scorso, c’è anche uno che riguarda la “Partecipazione democratica dei nuovi italiani” .
Quattro i punti su cui il PD si impegna in questo ambito, ma il più importante sembra essere quello che vuole “garantire una adeguata rappresentanza degli stranieri” nei suoi organismi e “dei nuovi italiani nelle liste elettorali ad ogni livello”, in particolare delle cosiddette ‘seconde generazioni’. Se l’impegno andrà oltre una dichiarazione d’intenti e buoni propositi è destinata a cambiare la scena politica italiana.
In assemblea, a nome dei nuovi italiani è intervenuto Khalid Chaouki, responsabile immigrazione e seconde generazioni dei Giovani Democratici e membro del Forum Immigrazione del PD. Chaouki ha rivendicato il diritto di cittadinanza per i cittadini nati in Italia da genitori di origine straniera e, appunto, un maggior coinvolgimento dei cittadini stranieri in politica e nella “vita democratica” del suo partito. Albania News lo ha intervistato per parlare di questa tematica ma anche di cittadinanza, diritto di voto e della nuova campagna del PD “Imparo l’italiano e sono cittadino”.
Nel tuo intervento all’assemblea del PD hai rivendicato il diritto di cittadinanza per quelli che i sociologi definiscono “seconde generazioni” ma in verità sono bambini o giovani nati in Italia da genitori di origine straniera.
Il messaggio fondamentale è stato proprio il fatto di dire che viviamo in un paese che continua a ignorare la presenza sempre più numerosa della cosiddetta “seconda generazione”. Appunto, giovani e meno giovani che sono nati e cresciuti in Italia, ma che ancora oggi sono considerati stranieri e non riconosciuti come cittadini. È una situazione, come ho sottolineato anche in assemblea, non degna di un paese che si definisce civile e democratico. I bambini che non hanno mai scelto di emigrare, ma sono nati in Italia, devono aspettare 18 anni da stranieri per poter richiedere la cittadinanza. Questo non è più accettabile in un paese dove oramai ci sono decine di miglia di questi giovani, una parte importante frequenta le scuole italiane e non possono essere considerati più stranieri. Il mio invito è rivolto a tutti i politici, soprattutto al mio partito, al PD di fare una battaglia forte per fare in modo che cambi questa legge che in anzitutto è ingiusta.
Qual’è la via di uscita?
La via di uscita è una riforma radicale che da il diritto di cittadinanza ai bambini nati in Italia. Inoltre anche ai bambini arrivati da piccoli che studiano oggi nelle scuole italiane, deve essere riconosciuto un percorso abbreviato, più veloce, per ottenere la cittadinanza italiana. Ad esempio, potrebbe essere alla fine della quinta elementare. Ma ci vuole soprattutto un cambiamento della mentalità. Oggi, il tema dell’immigrazione viene usato ancora come un modo per far paura, spaventare e avere voti da parte di una destra, in molti casi xenofoba, che non riconosce il ruolo di tanti lavoratori immigrati e anche di questi bambini nati e cresciuti in Italia.
Però, in questi anni anche il centro-sinistra è stato molto timido per quanto riguarda i temi della cittadinanza.
Sono d’accordo e penso che sia giunto il momento di voltare pagina. Ed è questo il senso della nostra partecipazione dentro il PD e all’Assemblea nazionale la scorsa settimana. Vogliamo dire che oggi, noi nuovi italiani e immigrati presenti dentro il PD vogliamo avere voce in capitolo. Vogliamo partecipare e fare in modo che questo partito rappresenti anche le nostre richieste che riguardano però il futuro di tutti in questo paese. Sicuramente in passato ci sono state diverse opportunità e occasioni mancate, come durante l’ultimo governo Prodi che di fatto non si ha cambiato nulla. E non basta l’autocritica. Serve, invece, dimostrare che da quella lezione abbiamo imparato qualcosa. Ma soprattutto serve che gli immigrati, i nuovi italiani, i giovani e la prima generazione, senta il bisogno di partecipare attivamente all’interno dei partiti e del PD in particolare per fare in modo che questo partito rappresenti davvero le nostre richieste e quelli che sono i nostri legittimi diritti.
Ho letto che l’assemblea nazionale del PD ha deciso di garantire negli organismi dirigenti e nelle liste elettorali una presenza significative delle seconde generazioni. Me lo confermi?
Si è stato approvato nell’ordine del giorno ed è legato in generale alla partecipazione democratica dei nuovi italiani.
Cosa significa?
Significa che il partito, intanto, riconosce il principio di pari opportunità anche ai nuovi italiani e agli immigrati, soprattutto alla vita democratica interna del partito, facendo in modo che partecipino all’elaborazione dei progetti. Il Partito si impegna a garantire un’adeguata rappresentanza degli stranieri nei suoi organismi, in particolare alle seconde generazioni, e a sostenere in ogni sede il diritto di voto amministrativo per i cittadini immigrati residenti. In altre parole, il PD si impegna a fare una battaglia per il diritto di voto amministrativo, ma soprattutto al suo interno, dovrà prevedere una campagna per fare in modo che quando ci saranno le primarie all’interno del partito, ci sia davvero inclusione dei nuovi italiani, in particolare delle seconde generazioni.
Quindi confermi anche quanto già dichiarato al tuo intervento in Assemblea che c’è un deficit di inclusione dei nuovi italiani nelle strutture del PD e nelle amministrazioni locali da essa governata?
Assolutamente sì. L’ho detto ed è stato un appello chiaro diretto al Segretario Bersani e a tutta classe dirigente del partito lì presente. Oggi non si è fatto abbastanza. Sicuramente, il PD rispetto agli altri partiti politici italiani ha fatto già tanto, però bisogna avere più coraggio nell’includere i nuovi italiani dentro il partito. Bisogna aprire i circoli del PD per coinvolgere gli immigrati e i giovani e soprattutto le amministrazioni locali governate dal PD. Abbiamo alcuni sindaci democratici che hanno preso delle decisioni, a mio avviso, contro i principi e i valori delle battaglie che stiamo portando avanti. Per cui, c’è bisogno di dialogo, di coinvolgimento vero, e non solo “per avere una persona di colore all’interno della consulta, ecc.”. Ci vuole un coinvolgimento serio di persone che oggi non sono più solo dei testimoni, ma vivono e lavorano da tantissimi anni qui. Hanno competenze e capacità, lavorano nel sociale e nella mediazione, sono coinvolti nei sindacati e nell’economia, sono imprenditori. Quindi le amministrazioni locali e il PD devono ormai capire cha hanno di fronte una nuova classe dirigente di immigrati o nuovi italiani che ovviamente vuole partecipare a tutti i livelli della vita politica dentro il partito. Ma soprattutto vuole portare il suo contributo non solo per quanto riguarda l’immigrazione, ma tutti i settori della società come è successo in quest’assemblea, dall’ambiente alla cultura, alle politiche sociali, alla sicurezza. Sono tutti temi in cui gli immigrati devono partecipare e non solo parlare di quello che riguarda il loro mondo.
Ritornando al tema della cittadinanza, i bambini nati in Italia quando la devono avere?
Intanto i bambini che nascono in Italia da genitori che vivono qui da diversi anni, io credo che devono avere la cittadinanza immediatamente dalla nascita.
I genitori da quanti anni devono essere residenti?
Sì, i genitori devono essere residenti. È l’unica condizione.
Ma da quanti anni? È un elemento che fa la differenza.
Anche negli stati uniti hanno cambiato recentemente la legge, perché è giusto che la cittadinanza sia un senso di partecipazione nel paese in cui si è nati, per cui i genitori in questo caso garantiscono questa presenza. Quindi i figli degli immigrati che vivono qui stabilmente, penso che debbano avere immediatamente la cittadinanza italiana. Poi all’età di 18 anni, decideranno loro se mantenerla oppure no. Per chi invece arriva qui da piccolo, come ho già detto, entro il primo ciclo scolastico, cioè la quinta elementare o la terza media, debba anche lui poter ottenere la cittadinanza italiana. Queste sono cose abbastanza elementari. Destra e sinistra non possono dire di no a una proposta cosi giusta che tiene conto del legame che una persona ha con il paese dove vive, dove cresce, ma soprattutto dove i propri genitori stanno investendo e vogliono costruire il loro futuro.
Oggigiorno si abusa molto con lo slogan “la cittadinanza deve essere data a chi la merita”. In sostanza cosa potrebbe significare?
Noi dovremmo, siamo, e speriamo di essere sempre di più in uno stato di diritto che prevede delle regole chiare. Non ci possono essere cittadini di serie A e serie B. È nuovo cittadino italiano chi vive in questo paese, rispetta le sue regole, paga le tasse lavora onestamente. Questi sono i parametri, non ci sono altri. Poi, non sono per niente d’accordo con chi invece pensa di poter in qualche modo prevedere sempre e comunque una cittadinanza di serie B, oppure una classifica di chi sia il miglior cittadino. Penso che sia gli immigrati che gli italiani sono persone. Tra loro ci sono quelli che sbagliano e ovviamente esistono i tribunali e la giustizia per giudicare le azioni non conformi alle regole. La Costituzione italiana sancisce in modo molto chiaro che tutte le persone sono uguali di fronte alla legge. Non vedo perché per un diritto cosi importante come quello di cittadinanza si debba prevedere già in anticipo un requisito diverso rispetto a quelli che sono i parametri uguali in tutti gli altri paesi europei.
E le prime generazioni quando devono ottenere la cittadinanza?
Sicuramente dopo un numero di anni di residenza ridotto rispetto a quelli richiesti attualmente. 10 anni sono troppi e l’Italia è l’unico paese che adotta questo periodo di residenza, secondo me, troppo lungo. Penso che un periodo ragionevole può essere quello dei sei anni. Quindi dopo sei anni di residenza.
Questa è la proposta del PD?
All’interno del PD questa e’ una delle proposte che noi sosteniamo, richiedere la cittadinanza dopo sei anni di residenza. Soprattutto, non è tanto quanti anni di residenza si devono maturare per richiederla, ma il tempo che bisogna aspettare per avere una risposta. E allora anche in questa caso deve essere data entro un anno, non come succede oggi che dal momento in cui si fa la richiesta si aspettano tre quattro anni, ed è a discrezione del Ministero dell’Interno. Cioè decide lo stato senza poi nemmeno dire i motivi per cui potrebbe rifiutare la cittadinanza. Ci vuole un percorso chiaro con parametri ben precisi quali la residenza, la contribuzione, il pagamento delle tasse in modo regolare e il non aver commesso gravi reati senza prevedere nessun altro metodo di valutazione discrezionale come avviene oggi.
Con un periodo di residenza di sei anni per la cittadinanza, significa che quello richiesto per poter votare dovrebbero inferiore di qualche anno?
Ovviamente il diritto di voto amministrativo, anche per quelli che hanno la carta di soggiorno, dovrà essere garantito, come in tutti i paesi europei. Oggi però non è ancora garantito, ed uno dei punti che abbiamo proposto e su cui bisogna fare una battaglia forte.
E quindi qual è la vostra proposta?
Dopo 5 anni e la carta di soggiorno si abbia il diritto di voto amministrativo per tutti i cittadini di origine straniera.
Bisogna essere titolari della carta di soggiorno o sola aver maturato i cinque anni di permanenza?
Su questo c’è un dubbio dei giuristi, però possiamo dire che con la carta di soggiorno si deve godere del diritto di voto a livello amministrativo. Ed è questa la nostra proposta.
Dei due slogan “imparo l’italiano e sono cittadino” e “impari l’italiano se no ti punisco”, quale preferisci?
Abbiamo scelto “Imparo l’italiano e sono cittadino” perché l’essere cittadino va al di là della lingua. Noi vogliamo dire a tutti gli immigrati e alle persone arrivate qui, che comunque dovrebbero sentirsi cittadini, anche se si trovano in un paese che ancora li discrimina e li considera stranieri. Quindi “Imparo l’italiano e sono cittadino” significa: io faccio uno sforzo in più, voglio appunto conoscere la lingua del paese di cui sono cittadino. Ovviamente la realtà è un’altra perché viviamo in un paese dove, invece, spesso si è discriminati per motivi linguistici e non si è considerati parte di questa società. Noi vogliamo dire invece che oggi sono gli immigrati che vogliono e si sforzano e quindi vanno sostenuti dallo stato in questo percorso di integrazione. Mentre lo slogan di questo governo è “impari l’italiano se no ti punisco”. Ed è un po’ la filosofia del provvedimento che prevede i test di italiano e in cui si pretende dagli immigrati di dover imparare l’italiano senza offrirli l’opportunità di seguire corsi.
Però sembra che il PD faccia fare il lavoro sporco al centro-destra. Ad esempio il contratto di soggiorno è stato introdotto dal centro-destra nel 2002, ma il centro-sinistra arrivato al governo nel 2006, non ne ha neanche parlato ed è rimasto in vigore. Adesso si sta introducendo l’accordo di integrazione, e da quanto ho letto la Presidente del Forum Immigrazione del PD, l’on. Livia Turco, effettivamente non si è espressa contraria all’accordo.
Noi abbiamo sempre sostenuto, ed era già previsto nella legge Turco – Napoletano, che nel processo di integrazione in una società, in questo caso quella italiana, sicuramente la lingua è un veicolo importante. Tant’è che i corsi di italiano, i corsi pubblici, i vari distretti formativi con le insegnanti in pensione, sono iniziative nate nel centro-sinistra già tempo fa. Il problema è che questo governo, ed è questo anche quanto detto da Livia Turco, utilizza un problema che effettivamente c’è e va risolto, ma viene strumentalizzato di nuovo per dare la colpa agli immigrati. È questa impostazione che non condividiamo e non ci piace. Insomma, non è questione di lavoro sporco o pulito, ma è il fatto di una inversione di rotta. Oggi c’è sicuramente un’immigrazione più numerosa rispetto al passato, oggi c’è bisogno di sostenere questo percorso di lingua italiana. Noi, ovviamente come partito di opposizione, vogliamo correggere, dare delle alternative rispetto ai provvedimenti di questo governo. Non sempre si tratta di dover a tutti costi demolire tutto quello che viene detto. In questo caso abbiamo detto che di fatto la questione è aperta, però non va assolutamente risolta in questo modo.
Alla base della vostra campagna “Imparo l’italiano perché sono cittadino” c’è anche una proposta di legge in cui uno dei punti principali è l’opportunità per il cittadino immigrato di richiedere la carta di soggiorno dopo tre anni di permanenza invece dei 5 previsti attualmente, se frequenta i corsi di lingua e acquisisce un livello A2.
Sì, perché l’abbiamo vista sotto forma di incentivo e incoraggiamento. Quindi non come un discorso di punizione: se non impari l’italiano, come previsto dall’accordo di integrazione, non ti do i punti.
Nella vostra proposta non c’è più l’obbligo di sottoscrivere l’accordo?
Sì, sì. Noi crediamo che la Costituzione italiana vieta oggi di discriminare una persona perché non conosce la lingua italiana. “Senza distinzione di lingua” sancisce uno dei primi articoli della Costituzione. Quindi prevedere in qualche modo di discriminare la persona perché non conosce l’italiano, pensiamo che sia incostituzionale. Lo stato deve porsi il problema, deve sostenere un certo percorso. Oltre a ridurre gli anni di permanenza per richiedere la carta di soggiorno, la nostra proposta di legge prevede anche che ci siano degli accordi tra lavoratori e datori di lavoro per poter usufruire delle 150 ore e studiare la lingua italiana. Quindi sarà una possibilità in più. Non si può chiedere ad un immigrato di imparare l’italiano senza poi ricordarsi che durante la giornata lavora e non è cosi facile gestire il proprio tempo e la propria famiglia. Inoltre la proposta prevede anche il finanziamento di questo iniziative attraverso i contributi degli immigrati che oggi vengono investiti nel rimpatrio dei cosiddetti “irregolari”.
Un domani quando il PD verrà al governo, l’accordo di integrazione verrà abolito?
Sicuramente di una cosa noi non siamo d’accordo: non si può costruire una convivenza su queste basi. Uno stato che vuole costruirla, non può puntare tutto sul presupposto che l’immigrato debba essere sottoposto a test continui perché se no diventa un delinquente, e comunque si da per scontato che non vede l’ora di delinquere. Purtroppo, è questo il messaggio che passa. Noi crediamo che nel panorama legislativo italiano, nelle sue leggi, nella sua costituzione, c’è spazio anche per i nuovi italiani, anche per gli immigrati e non c’è bisogno di fare leggi speciali per loro. C’è invece bisogno di un investimento nella scuola e nella possibilità di un lavoro dignitoso e, ovviamente, di un processo di maggiore coinvolgimento per quanto riguarda il legame con l’Italia e la condivisione sempre maggiore della sua storia e della sua cultura. Questo va fatto attraverso altri strumenti, e sicuramente non attraverso provvedimenti che vengono fuori dal Ministero dell’Interno.