“Giuro. Nessuna mano mi sfiorerà. Come Iddio mi ha creato, la vita mia conserverà. Giuro per la mia verginità eterna.”
Giurando di fronte ai 12 uomini più importanti del villaggio, Hana diventa Mark e da quel giorno ha potuto indossare i vestiti maschili, usare armi, fumare, bere e mangiare con gli uomini laddove alle donne tutto questo non era permesso.
Inoltre, da uomo, acquisiva il diritto di vendere, comprare e gestire proprietà, insomma essere libera, a condizione, appunto, che neghi per sempre la femminilità, la sessualità e l’amore, rimanendo vergine per tutta la vita.
E’ una storia vissuta nelle “montagne maledette” del nord Albania. La storia di una giovane che vorrebbe essere libera e donna in questa società arcaica regolata ancora dal Kanun: un codice di leggi tradizionali che si sono trasmesse oralmente per secoli. Un codice che nega alle ragazze di essere libere di provvedere al proprio matrimonio; di scegliere il proprio marito; di muoversi da sole per il paese; di cavalcare; di portare a pascolo il gregge; di portare armi; di andare a caccia; ecc. Un codice primitivo che condiziona ancora oggi la vita di molte persone che popolano le maestose montagne albanesi. Un codice che considera la donna un essere inferiore che deve solo sopportare, procreare e lavorare.
Dell’esistenza di questo fenomeno si hanno testimonianze da almeno 200 anni, ma sembra che la sua diffusione sia stata sempre limitata.
Oggi si tratta di casi isolati: si contano una trentina di donne in tutto, tra il Kosovo e le aree confinanti in Albania, mentre prima il fenomeno era conosciuto anche in Serbia, in Montenegro e in Bosnia. Questa conversione delle donne in uomini aveva soprattutto una funzione socio-economica. Si usava infatti far convertire una figlia se non si avevano figli maschi per poter far ereditare le proprietà della famiglia. Ma ci sono casi di donne che hanno scelto volontariamente di diventare uomini, per essere più libere.
Elvira Dones lo ha raccontato in un romanzo (Vergine giurata, edito da Feltrinelli). La scrittrice albanese aveva scoperto l’esistenza di queste donne per caso in una foto di una famiglia kosovara dove spiccava un uomo dal volto femminile. Fu così che Dones avviò le sue ricerche scoprendo storie che la colpirono al punto da realizzare un documentario con protagoniste sei donne che vivono come uomini.
Per poi scrivere anche il romanzo Io sono una burnesha. Viaggio nell’Albania delle vergini giurate , la cui protagonista è una donna fattasi uomo che emigra negli Stati Uniti per recuperare la sua femminilità. Da questo romanzo la documentarista Laura Bispuri e la sua cosceneggiatrice Francesca Manieri hanno tratto un film dallo stesso titolo, interpretato da Alba Rohrwacher nei panni di Mark e Hana e Flonja Kodheli nei panni di Lila.
Hana perde i genitori e viene adottata dagli zii dove cresce insieme alla loro figlia, la cugina Lila. Due ragazze che sognano tanto di essere libere e per cui decidono di ribellarsi a questa realtà ognuna a modo suo. Lila scappa da un matrimonio combinato e insieme al suo innamorato emigra in Italia. Hana invece, legata alla famiglia che l’ha accolta, in particolare allo zio che avrebbe voluto un figlio maschio, non ha la forza di andarsene e decide così di diventare una ‘vergine giurata’.
Due donne forti che non si fermano di fronte a nulla pur di essere libere. Una Lila che sceglie l’amore pagandolo con l’esilio e il disconoscimento dalla propria famiglia. E una Hana che rimane rinunciando alla propria femminilità per la libertà.
Dopo la morte degli zii e dopo anni di silenzi, le due sorellastre si ritrovano. Mark abbandona le montagne e questa vita da uomo solitario per andare a Bolzano da Lila cercando non solo di ricongiungersi con la sorella, ma anche di ricongiungersi con la propria natura, con la donna che no ha mai abbandonato il suo corpo e la sua mente.
Il viaggio è la sfida, è la vita, o meglio, è il riappropriarsi della propria vita e della propria sessualità repressa. Il viaggio fa capire ad Hana che la sua scelta non era stato altro che un’illusione di libertà e che Mark era stato una vera prigione. Un viaggio che le rende la bellezza, anche quella delle montagne tanto maledette quanto incantevoli.
Con un linguaggio fatto di lunghi silenzi il film della Bispuri gioca così con la fisicità di Alba Rohrwacher rendendola tanto androgina quanto femminile e delicata. La freddezza dei luoghi, dei volti, dei gesti e delle conversazioni, specialmente nella parte del film girato in Albania, non impedisce al calore e alla bellezza di trasparire e rivelarsi anche nelle sue forme più pure.
Vergine Giurata profuma di libertà. Entrambe le donne vogliono e si liberano dalle ingiustizie e dai soprusi e scelgono di non tornare indietro, ma di essere finalmente vere e libere.