Il presente studio, “Un viaggio lungo una vita: l’Albania di Edith Durham, pioniera dell’etnografia di terreno ai primi del XX secolo”, fa parte del progetto di ricerca « L’image de l’Albanie à partir des récits de voyage des XIXe et XXe siècles, notamment à travers les œuvres d’Edith Durham ( High Albania, 1909), Alexandre Degrand (Souvenirs de la Haute Albanie, 1901), Ugo Ojetti (L’Albania, 1902) » in corso di svolgimento presso l’Università di Nizza Sophia Antipolis (Francia).
[author title=”Un viaggio lungo una vita: l’Albania di Edith Durham” image=”https://www.albanianews.al/wp-content/uploads/2017/08/edith_durham-1.jpg”]Lo Studio completo dal titolo “Un viaggio lungo una vita: l’Albania di Edith Durham, pioniera dell’etnografia di terreno ai primi del XX secolo” [/author]
Il testo, pubblicato in esclusiva per AlbaniaNews, traduce e integra la relazione “Un voyage qui dure toute une vie: l’Albanie d’Edith Durham, pionnière de l’ethnologie de terrain au début du XXe siècle” presentata il 3 dicembre 2011 a Bruxelles nel convegno “Voyages d’antan en terres albanaises”.Le citazioni dalle opere di Edith Durham riportate nel testo sono tradotte per la prima volta in lingua italiana. Le prime due parti sono state pubblicate il 4 e l’11 febbraio. Le successive saranno pubblicate sabato 25 febbraio e 3 marzo.
Parte III: Da Cettigne a Scutari
Fra scenari così pittoreschi, un soggetto predisposto alla fantasticheria e alla fuga nell’immaginazione avrebbe potuto creare qualche racconto più o meno interessante, di quelli che da tempo imperversavano nella letteratura di viaggio di tutta Europa.
Ma in una donna dal temperamento energico ed appassionato come quello di Edith Durham, il fascino prese subito una forma ben organizzata, trasformandosi in piano operativo. Che lei non fosse attratta dalle stesse immagini che strappavano gridolini di entusiasmo agli altri visitatori, lo dimostrano gli appunti presi durante quel primo viaggio:
“La Dalmazia ha le sue attrattive, ma pullula di turisti, e si stanno distruggendo in tutta fretta gli angoli più caratteristici per poterli accogliere in sistemazioni confortevoli. […] La strada da Cattaro a Cettigne è stata descritta così spesso che sarebbe inutile farlo di nuovo, inoltre le parole non potrebbero renderle giustizia.” 1)
Quel primo contatto le era bastato per decidere che voleva saperne di più. Tornata a Londra, cominciò subito a cercarsi un insegnante di lingua. “Avendo preso in mano il bandolo del groviglio balcanico, la prossima cosa da fare era imparare una lingua del luogo, perché nel 1900 in Montenegro non c’era quasi nessuno che parlasse qualcosa di diverso dal serbo” 2)
E, visto che era abituata ad arrivare direttamente al punto, andò a bussare alla porta di un “consolato balcanico, che risultò interamente composto da inglesi che non conoscevano una parola della lingua, ma che mi misero gentilmente in contatto con un ministero che era interamente composto – queste furono le loro parole – da uomini molto attraenti, dei quali sarei stata sicuramente contenta. Al ministero rimasero perplessi, ma volevano essere incoraggianti. Non era mai successo che qualcuno volesse imparare la loro lingua” 3).
Alla fine riuscì a trovare un insegnante privato, un rifugiato politico che veniva dalla Russia. Oltre a dotarsi di una competenza linguistica che le avrebbe permesso di viaggiare autonomamente attraverso quelle terre che l’avevano tanto interessata, cominciò di pari passo a studiarne più approfonditamente storia e tradizioni. Conoscendo perfettamente l’italiano, il francese e il tedesco, attinse direttamente alle fonti principali.
Fra i testi da lei esplicitamente citati nelle sue opere, troviamo fra l’altro la storia dell’impero bizantino del filologo e linguista francese Du Cange, la monumentale History of the Decline and Fall of the Roman Empire di Edward Gibbon, le cronache dell’arcivescovo croato Vincentius Zmajevich, che ai primi del XVIII secolo era stato visitatore apostolico in Albania, Serbia e Macedonia, e, naturalmente, la fonte “principe” in materia di società, lingua e cultura albanese, vale a dire gli Albanesische Studien di Johann Georg von Hahn.
Nel suo saggio sul “groviglio balcanico” pubblicato vent’anni dopo, Durham ripercorre le tappe del suo avvicinamento all’Albania: “Da Cettigne andammo a Podgorica, dove per la prima volta vidi degli albanesi. A Podgorica ce n’erano tanti, e tutti indossavano il costume nazionale, perché a quel tempo il Montenegro non aveva ancora fatto molto per reprimerne l’uso. In quella prima visita, non mi addentrai oltre” 4)
In realtà, quella volta l’Albania l’aveva già intravista, in una specie di incontro a distanza che, alla luce dell’importanza che il Paese delle Aquile avrebbe assunto nella sua vita, suona quasi come una premonizione:
“Lasciando Cettigne attraverso la sua unica strada d’accesso, ben presto raggiungiamo la sommità del passo, e una svolta improvvisa ci rivela le terre in lontananza. Abbiamo attraversato l’Europa fino ai confini della cristianità, e ora siamo sulla fortezza di roccia, col nemico in vista. La strada bianca serpeggia lungo il fianco della montagna, e molto più in basso si stende la verde vallata e il suo minuscolo villaggio, Dobrsko Selo; da tutti i lati sorgono balze selvatiche e maestose; laggiù in lontananza splende il magnifico lago d’argento di Scutari. Al di là di esso, le montagne turchine dell’Albania, dai picchi scintillanti di neve perfino a giugno, diventano sempre più evanescenti, e la terra del mistero e degli abominevoli turchi svanisce nel cielo. Una scena talmente maestosa e impressionante da valere l’intero viaggio dall’Inghilterra soltanto per vederla.”5)
Ormai aveva visto abbastanza per desiderare di andarci di persona, cosa che fece l’anno dopo. Fu un colpo di fulmine.“Nel 1901 visitai il Montenegro e discesi al lago, arrivando fino a Scutari. Questa città mi conquistò fin dal primo momento: aveva colore, vita, arte. I suoi abitanti erano amichevoli e laboriosi, e non passavano tutto il tempo a bere raki e fare gli sbruffoni per strada come a Cettigne. C’era qualcosa di molto umano in loro, e più di ogni altra cosa io volevo andare nelle montagne albanesi. Ma il nostro console si era appena insediato: si sentì col suo collega austriaco, e dal momento che in quegli anni l’Austria teneva quelle montagne come suo territorio personale, rispose categoricamente che il viaggio era impossibile per me.” 6)
Ma con un carattere come il suo, nessun rifiuto sarebbe stato sufficiente a ostacolare quello che ormai era un progetto preciso. Lei voleva visitare l’Alta Albania: quando si rese conto che le sue ripetute richieste di permessi ufficiali ricevevano risposta negativa, smise semplicemente di chiederli. L’11 Febbraio è stato pubblicato la seconda parte dal titolo Miss Durham, da Londra ai Balcani . La quarta parte sarà pubblicata sabato 25 febbraio
Note:
- M. Edith DURHAM, Through the Lands of the Serb, London, Edward Arnold, 1904, pp. 3; 4 (trad. personale)
- M. Edith DURHAM, Twenty Years of Balkan Tangle, London, E. Allen & Unwin Ltd., 1920, p. 27 (trad. personale)
- M. Edith DURHAM, Through the Lands of the Serb, London, Edward Arnold, 1904, p. 9 (trad. personale)
- M. Edith DURHAM, Twenty Years of Balkan Tangle, London, E. Allen & Unwin Ltd., 1920, p. 26 (trad. personale)
- M. Edith DURHAM, Through the Lands of the Serb, London, Edward Arnold, 1904, p. 15 (trad. personale)
- M. Edith DURHAM, Twenty Years of Balkan Tangle, London, E. Allen & Unwin Ltd., 1920, p. 39 (trad. personale)
[author title=”Un viaggio lungo una vita: l’Albania di Edith Durham” image=”https://www.albanianews.al/wp-content/uploads/2017/08/edith_durham-1.jpg”]Lo Studio completo dal titolo “Un viaggio lungo una vita: l’Albania di Edith Durham, pioniera dell’etnografia di terreno ai primi del XX secolo” [/author]