Dovremmo sentirci tutti affaticati da quest’aria pesante che si respira in tema di nazionalismo. Un nazionalismo che rifiuta di lasciare spazio al progresso rendendoci fanatici e possessivi.
Con un amore possessivo per le nostre radici, con un’identità troppo radicata in convinzioni erronee, del tipo: Noi siamo i primi; noi siamo i migliori; noi siamo superiori; noi siamo i più alti, i più intelligenti, i più forti… …eccetera!
La lista di tali assurdità potrebbe essere lunga e noiosa, assunta sempre di più come inno delle nuove pance che partoriscono teste calde, teste che rifiutano di pensare che siamo nel ventunesimo secolo. La questione è un’altra: il mondo è cambiato, vuole cambiare volto e soprattutto si trova in una pagina tutta da riscrivere, tutta da ridefinire per far si che quel coro di persone che richiamano vecchi nazionalismi sia messo a tacere; che impari semmai a canticchiare qualche nuovo inno, più orecchiabile, più “dance”. Dai, balliamo un po’ di più e offendiamo un po’ di meno. Amiamolo il nostro paese, difendiamolo il nostro gruppo e se vogliamo, mettiamo pure in risalto il nostro spirito di appartenenza al nostro paese. Sarebbe il momento di dimenticare il pesante respiro di quel nazionalismo malato.
Andiamo negli stadi più rilassati con spirito di gioco. Mischiamoci con i concorrenti e tifiamo con carineria la nostra squadra. Se perde non importa. Se ci sono i Kossovari, i Croati, i Serbi, non importa. Se ci sono le aquile non pensiamo che ci siano i giudici dell’ Aja a metterci sotto le sbarre. Cerchiamo di non urlare con il saluto nazista “”Ubij, Ubij Siptari” (uccidiamo gli albanesi) e cerchiamo di non replicare ai cori nazi-fascisti che innalzano bandiere insignificanti. Non sono queste delle risposte. Prima di rispondere pensiamo, agiamo in maniera tale che la conseguenza non si rovesci come una frana su quel popolo che tanto pretendiamo di amare.
Soprattutto smettiamola con il vittimismo anche nel campo da gioco. Non giustifichiamo ciò che in nessun modo può essere giustificato; le guerre sono state lunghe e ripetitive, non sono state di certo un gioco. Impariamo a non elogiare i criminali di guerra e a non sbandierare con fierezza le maglie con i loro volti stampati.
Ricordiamoci che ci sono milioni di vittime, persone che non vivono più. C’è una storia che ci dovrebbe far riflettere sulle conseguenze del fanatismo e della cieca convinzione di essere nella ragione. Nessuna guerra è una passeggiata simpatica e leggera. Porta morte, porta rancore, porta vendetta e non è per niente una questione divertente. Assolutamente no.
Non sentiamoci sempre vittime quando invece dobbiamo vergognarci delle nostre stesse azioni, piuttosto imparariamo a dialogare, a metterci a tu per tu e dialogare senza far buon viso e cattivo gioco. Ricordiamoci che i nostri interlocutori non sono stupidi, non sono ingenui. Hanno imparato a conoscere ogni minima nostra azione e se continuamo a fare i “furbacchioni -intelligentoni” sono capaci a sgamarci in un batter di ciglio. Tutto qua.
Un’aquila, dopo tutti quei versi offensivi, non è poi tutta questa “Provokacija”. Semmai è un gesto che le persone appartenenti a un certo gruppo sociale fanno senza dover dimostrare un concetto di grandezza di confini. Sono cittadini di stati diversi che condividono lo stesso sangue e la stessa lingua. Questo non è un segno che racchiude in se il concetto della grande Albania.
L’Albania è pur sempre uno stato piccolo nel cuore dei Balcani che riunisce simbolicamente cittadini di etnia albanese oltre i suoi confini e l’aquila è l’uccello che meglio le rappresenta. Intanto impariamo che un volta augurata “morte agli avversari” e urlare con odio verso di loro è impensabile non immaginare che nessuno risponderà, nemmeno il più cocciuto.
Pensiamo veramente che anche il più bravo ragazzo non senta il sangue bollire per poi rispondere simbolicamente con un gesto di un uccello volante? E chi risponde ai cori che gridano odio, è cosciente che un piccolo gesto, espresso anche in totale spontaneità non provochi qualche non insignificante discussione? Ne esce vincente l’ ultras e il politico che non spetta altro di strumentalizzare tutto in “provokacija”.
Mi viene da pensare che tutto questo fanatismo sia pesante e poco costruttivo per tutti coloro che desiderano pensare al futuro invece di pensare a come ritornare nelle parti più buie del passato. Tutto ciò è molto faticoso e pesante. Impariamo ad andare negli stadi come tifosi degni delle nostre rispettive squadre e non come degli ultras urlanti e violenti, pronti ad infiammare le anime.