Ho letto una bella storia che arriva dall’Albania, inerente alla rivalutazione dell’importanza degli oggetti vintage o meglio, l’approccio di un albanese con i lasciti del passato del suo paese.
Ma, attenzione:
non si tratta di essere per forza degli antiquari o comunque persone appassionate di oggettistica del passato, non si tratta nemmeno di osservare esclusivamente il lato materialistico di un cimelio, bensì di cambiare proprio l’approccio e la concezione della simbolica di un relitto, consolidare la consapevolezza che tutto ciò che è vecchio, legato ad epoche remote, NON si distrugge.
E questo ovviamente vale sia per la mentalità legata a singoli oggetti, che per intere strutture, che siano edifici di una certa data, monumenti, reperti archeologici, ecc, che affondano le radici nel passato e nell’etnocultura del paese.
Un uomo del Sud Albania, per sfamare la famiglia, si era trasferito da Tepelenë a Saranda e si occupava di raccolta di ferraglia, che a sua volta, vendeva per pochi soldi, il necessario per procurare il profitto che gli serviva per sopravvivere.
Insieme di pezzi o rottami di ferro ammucchiati alla rinfusa, erano diventati per lui unica fonte di guadagno per portare avanti la vita nella sua casa.
Di questi oggetti, pian piano che li raccoglieva, ha iniziato ad affezionarsi e a comprenderne il loro valore, come documenti concreti e materiali, testimoni del passato del paese. Per cui ha deciso di non venderli più, per essere trattati come semplici scarti di ferraglia e fusi nei forni delle fonderie, ma li ha raccolti, contandoli: erano ben 1500 pezzi, tra vari oggetti sfusi e antichi albanesi, a cui ha dedicato una vera esposizione vintage nella bella città marittima.
In questo modo, Saranda ora ha una galleria di oggetti antichi, denominata “Antika Saranda”, appartengono ad epoche diverse, ma, fungono da indici che rimandano e veri frammenti di storia della città e delle adiacenze, diventando degli oggetti “parlanti”.
Gli albanesi, ahimè vengono da un trascorso caratterizzato da un rapporto non proprio delicato con il passato e con le sue testimonianze concrete, plasmate in: una bibliografia indottrinata e che riporta la storia del paese in modo storpiato o manipolato; in costruzioni urbanistiche oppure in singoli soggetti architettonici maltrattati o violati, guidati in modo inscindibile da un senso non accurato della preservazione della cultura e della storia.
Già in epoche precedenti, quale il periodo della dittatura, sono stati rasi al suolo oggetti di culto di ogni religione che si praticava nel paese prima del 1967, quando l’Albania venne dichiarato “primo paese ateo nel mondo”.
Le chiese, buona parte, sono state vandalizzate e poi demolite. Altre, adibite a palestre, magazzini e centri culturali, quest’ultimo un vero ossimoro. Perché paradossale, non è accettabile costruire un centro di “aggregazione culturale”, in un luogo prima sacro e poi profanato, dato che avviene il massacro della cultura per antonomasia.
In Albania, anche di recente si è assistito di continuo a dibattiti accesi sul trattamento spinoso riservato alla destinazione di varie strutture pubbliche, come la vicenda della demolizione del Teatro Nazionale; la morsa delle costruzioni che si sta stringendo a fianco della Torre dell’Orologio a Tirana; l’abusivismo edilizio che ha recato dei danni considerevoli, parte dei quali si sta pian piano cercando di recuperare, ecc.
Per cui, iniziative come questa del cittadino di Saranda, Hyqmet Balla per prendersi cura degli oggetti vintage che lui stesso ha raccolto, esaltandoli ed offrendoli la giusta rivalutazione, collocandoli in una mera esposizione, sono un raggio di sole che spunta in un cielo nuvoloso e caotico. Certo, lui è un unico individuo, ma potrebbe, con il suo esempio di civiltà, sensibilizzare l’opinione pubblica per questo aspetto.
Nel Nord Albania invece, a Scutari, il prof. Ndoc Shabe, un insegnante in pensione, sta facendo un lavoro straordinario nella raccolta di materiale che testimonia il passato della sua località, raccogliendo per passione ogni genere di oggetti vintage, quali vecchi album fotografici e singoli pezzi di oggettistica e sta cercando, auspicando il supporto della cittadinanza della zona, di aprire un museo etnografico locale.
Se ognuno facesse del suo meglio nel recuperare dei piccoli tasselli smarriti e mancanti del grande mosaico storico e culturale albanese, il quadro in qualche modo risulterebbe esaustivo, salvando almeno ciò che è consentito dalle circostanze, sfidando il tempo e le svariate vicissitudini.