Albania: le conseguenze di un monopolio di potere politicamente «ambidestro»
Ma che succede in Albania? Niente, senz’altro meno di quel che succede in Francia, ma il fatto che succeda in Albania sembra dargli una rilevanza diversa, in un senso peggiorativo; è molto meno di quel che dovrebbe succedere, ma, succedendo nelle modalità sbagliate (o forse sono solo le immagini sbagliate), è facile presentarla come una protesta «balcanica» e non un movimento di ribellione civile «europeo», come sarebbe normale e ammirevole che accadesse proprio in un paese democratico ma povero e in difficoltà.
Per dirla diversamente: quando succede in Francia, è l’animo civile rivoluzionario che emerge, se succede in Albania è l’animo di barbarie balcanica, anche se in entrambi i casi si chiedono giustizia, politiche sociali, miglioramenti delle condizioni di vita ed ecologia.
D’altronde l’Europa, l’Italia e i loro media, pare che non vedano l’ora di ripresentare in questa ottica, cioè quella preferita da sempre, l’Albania, riseminando una diffidenza che sarebbe devastante anche soltanto per il turismo che in questi anni iniziava a decollare.
La questione però non è soltanto di immagine ed è ben più complicata. In Albania ci sono troppe, tante ingiustizie e differenze sociali, – conseguenza delle privatizzazioni e di affari loschi covati dalla corruzione istituzionalizzata – parte delle quali ereditate, e opera, del governo precedente.
Quella stessa opposizione (il partito democratico dell’ex Berisha, per intenderci) che oggi cerca di cavalcare l’onda del malcontento è la prima responsabile dei disastri sociali, economici, ambientali e culturali in cui viaggia ora il Paese, avendo per anni contribuito all’apertura della forbice delle cui punte ora misuriamo la distanza. Ma allo stesso tempo, la stessa incapacità e mediocrità dirigenziale e morale di quando era al governo, ne caratterizza l’operato anche quando è all’opposizione.
Il dramma del paese non è soltanto il malgoverno di oggi, che comunque sarà se la gente protesta vivamente (ma è anche vero che il partito al governo ha vinto le elezioni), ma anche il livello disastroso dell’opposizione, che con la sua presenza risulta, in queste proteste, più dannosa che se fosse assente.
Presente nelle estrinsecazioni violente di piazza accanto ai pochi, tra i manifestanti, siringati di odio interessato, ma assente nel luogo della parola politica, avendo deciso di abbandonare il parlamento. Il dramma dell’Albania è che, per la prima volta nella sua storia, non solo la nuova, zoppicante e spesso immorale, classe medio-alta, ma forse la maggioranza della popolazione, ha più acume politico, cultura e strumenti intellettuali della classe politica dirigente, e in maniera netta soprattutto rispetto alla classe dirigente dell’opposizione, che non è mai riuscita a tirare dalla sua parte l’élite culturale del paese.
L’opposizione è colpevole, da una parte, di una mancanza politica, di assenza di idee, non essendo capace di rappresentare un’alternativa, dall’altra, è complice delle peggiori scelte politiche a danno della popolazione. Il fattore cardine delle crisi albanesi è che il paese pensa di avere due partiti, uno di destra, «i democratici», e uno di sinistra, «i socialisti», che dovrebbero contenere in mezzo un centro equilibrante, ma in verità i due partiti, assieme al centro naturalmente, sono entrambi spostati dallo stesso lato – ma da quale lato?, verrebbe da chiedersi.
Ebbene, nella logica e nella mentalità politica albanese, considerando la storia recente del paese, sarebbero entrambi spostati a sinistra, in quanto figli del precedente regime comunista, e il fatto che «i democratici» si dicano di destra, è eloquente. Ma da un punto di vista indipendente e partendo da presupposti di valutazione concreta delle politiche dei due partiti, a un politologo o anche a un qualsiasi cittadino europeo, i due partiti – tranne per le forme xenofobiche e nazionalistiche del tutto assenti – appaiono come due partiti di politiche liberali e di destra.
In questa realtà, il popolo o, meglio, la massa, è orfana di un punto di riferimento, non soltanto politico, ma anche culturale. Così, agli occhi degli albanesi servirebbe un partito di destra, perché possa seriamente occuparsi di loro dopo il disastro del comunismo, mentre agli occhi degli europei, servirebbe un partito di sinistra, ad equilibrare le tremende distanze sociali ed economiche del paese.