Abituata all’atmosfera frenetica della campagna elettorale – dove i protagonisti danno il massimo per mostrare il meglio possibile (o ipotetico) di loro stessi, dove le promesse intrecciate con i sogni incantano “la voce del popolo”, dove le parole indossano le maschere più persuasive – ho notato un buco di silenzio tra i candidati albanesi che fanno parte della gara.
Ho aspettato un po’, forse il silenzio si sarebbe dissolto in qualche attività sorprendente e ben pensata, ma nulla assolutamente arrivava da Bari, dove lei si è candidata. Il silenzio aveva deciso di regnare, completamente indifferente a quello che succedeva intorno.
Da analista della comunicazione, specialmente di quella politica, ho iniziato a sentirmi infastidita. Non trovavo nessuna spiegazione per quel silenzio così fuori tempo. Anni fa sono stata candidata per il Parlamento di Kosovo.
Mi sentivo in imbarazzo di chiedere alla gente di votarmi. Conoscevo bene le strategie più efficaci dell’arte della persuasione – e questo scatenava una lotta interna tra “l’uomo che crede nella causa” e “l’uomo politico”: mi vergognavo a farlo. Sbagliai.
Ho pensato alla mia candidata silenziosa. Ho visto per la prima volta il suo nome nella lista dei candidati albanesi per le elezioni in Italia. Sono più di 120 e sono molto felice di vedere la mia gente così impegnata nel loro nuovo paese.
Sono specialmente le donne che mi colpiscono, donne che hanno vissuto di cotto e di crudo, ma che non si arrendono e che hanno le idee chiare di quello che vogliono e di quello a vanno incontro. Sono piene di energia e di speranze, ma soprattutto sono donne che sono riuscite a salvare i loro sogni. Vedo la loro sincerità innocente e vorrei tanto far loro capire che non funziona proprio così. Bisogna cambiare la rotta.
Tra queste donne c’è la mia candidata silenziosa. Una bellissima donna di grande eleganza e saggezza, ed è proprio lei che mi disturba. Sì, mi disturba. Ho fatto le mie ricerche su di lei. L’avevo vista per la prima volta come protagonista nel documentario “La nave dolce” di Daniele Vicari. Ho guardato di nuovo il documentario. Mi sono commossa mentre la ascoltavo. Era così dolce, sincera, forte, fiera, tutto il contrario del suo vissuto.
Ho deciso di rompere quel silenzio fastidioso. Dai, fai qualcosa, hai vissuto 100 anni finora, facci vedere di che pasta sei fatta! Le ho scritto privatamente.
“Salve, scusa il disturbo, ma tu devi rompere questo silenzio incomprensibile. Sei una candidata e la gente di Bari deve conoscere tutto quello che fai. Perché ti sei candidata, cosa prometti, cavolo parla!”
E lei, sicuramente sorpresa dal mio intervento invadente e poco elegante, mi ha risposto tranquillamente
“Eh sì, hai ragione, ma sto dando il mio meglio all’ospedale, contro un problema renale. Sono ricoverata da 10 giorni e mi dispiace di non posso essere attiva.”
Un minuto di silenzio. Mi sono sentita così fuori posto, fuori tempo…mi sono vergognata. Le ho chiesto scusa. Lei mi ha tranquillizzato. Era sono un problema renale, i suoi genitori non dovevano sapere nulla…appena fosse uscita avrebbe iniziato la campagna.
Le ho chiesto scusa. Dentro di me ho sentito un dispiacere profondo. Eva forse non sa che la campagna è un treno con solo una stazione di arrivo, se non sei salita con tutto il tuo bagagliaio in quella di partenza, non arriverai, salvo un miracolo.
Lei è una delle donne per le quali avrei cambiato residenza per poterla votare, la sua modestia e la sua grande forza mi ha fatto pensare molto ai veri valori dell’essere umano. Proprio quelli che mancano alla nostra politica. Perché noi siamo una società da “Grande Fratello”, abbiamo bisogno di uno spettacolo quotidiano per sfamare le nostre assenze, il nostro vuoto.
Sono triste, ho conosciuto una donna semplice, sincera, una donna vera che vuole contribuire a migliorare la vita degli altri, il suo nome è Eva Meksi e io non posso votarla.
/ Majlinda Bregasi