A Lampedusa arrivano vittime che fanno paura soprattutto per via dell’uso indiscriminato dei termini da parte dei mezzi di informazione. Sonila Alushi ha cercato di fare un po’ di ordine.
Le coste della piccola e meridionale Lampedusa, stanno diventando ancora una volta, scenario di dramma e paura. Sono centinaia le persone, vittime bisognose d’aiuto, che arrivano quotidianamente dal Nord Africa in cerca di pace e sicurezza. Dai mezzi d’informazione, specialmente da quelli televisivi, queste persone vengono chiamati per lo più e in modo sbrigativo: “immigrati”. Non sarebbe la prima volta che in Italia i profughi, vengano erroneamente etichettati come “immigrati”, “extracomunitari”, o addirittura “clandestini”. In questo modo, mettendo tutti nello stesso calderone, non si fa altro che negare la loro specifica condizione di persone perseguitate, o di persone che rischiano la vita in una guerra, annullando le importanti differenze che determinano il loro status e i loro diritti. È molto importante che si sappiano le distinzioni tra queste persone per rendere così giustizia alle donne, agli uomini e ai bambini scappati dall’atrocità della guerra, ma ancheper informare correttamente l’opinione pubblica riguardante la loro delicata situazione e i loro diritti. Dunque i termini: profugo, rifugiato, immigrato, clandestino, extracomunitario, non sono per niente sinonimi perché indicano specifiche condizioni, e precise spettanze giuridiche.
Profughi sono considerate tutte quelle persone che chiedono protezione in un altro paese perché in fuga da una guerra, in fuga perché perseguitati o “semplicemente” in cerca di salvezza dal caos e violenza diffusa nel proprio paese. Queste persone hanno diritto alla richiesta di asilo e solo chi poi è effettivamente ritenuto bisognoso di protezione da parte di un’apposita Commissione, ottiene lo status di rifugiato.L’Italia è l’unico paese europeo che continua a non avere una legge ad hoc sul diritto d’asilo per i rifugiati, però la materia può essere regolata tramite i decreti attuativi delle direttive europee e tramite anche una procedura strutturale introdotta dalla legge Bossi-Fini che ha inserito sette Commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato su tutto il territorio nazionale. Queste Commissioni riconoscono lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, che protegge i rifugiati in condizioni di particolare vulnerabilità.Dopo il riconoscimento di tale status, il rifugiato riceve un permesso di soggiorno di cinque anni e un titolo di viaggio della stessa durata. Inoltre la famiglia potrà ricongiungersi senza dover dimostrare di avere un reddito sufficiente e i requisiti per l’alloggio, come invece è previsto dalla legge per gli immigrati, i quali lasciano il proprio paese per migliorare le condizioni economiche e non perché in pericolo. Quindi, anche se doloroso, questi ultimi compiono un percorso migratorio che è comunque frutto di una scelta e tale situazione è molto diversa da quella dei profughi costretti a scappare perché in pericolo di vita. Clandestino invece, è un termine che dovrebbe indicare solamente chi vive e lavora in questo paese senza un permesso di soggiorno regolare perché scaduto o perché mai ottenuto. Tale definizione è una delle più diffuse e carica di pregiudizi perché indica e fa pensare a qualcuno ricercato dalla polizia. È molto importante sapere e capire che non si è clandestini già alla partenza da una situazione difficile, ma ci si potrebbe diventare se l’apposita Commissione, dopo aver ricevuto la domanda di asilo ed esaminato bene il caso, decide di non accoglierla invitando il richiedente a lasciare il Paese. Non farlo, significa diventare clandestino. Insomma clandestini non si è ne per natura,ne per nascita, ma ci si diventa. Clandestino è un operaio immigrato che ha perso il lavoro per la crisi e quindi non può rinnovare il permesso di soggiorno così come lo è la badante che molti hanno in casa, ma non è riuscita a regolarizzarsi con la sanatoria. Per di più, la clandestinità è un reato in Italia, anche se non è per niente sinonimo della parola criminalità. In altre parole, nel bel Paese ci si potrebbe diventare clandestini e quindi fuori legge senza aver commesso nessun crimine! Dovremo chiederci tutti come mai continua a persistere questo contesto di clandestinità ingiusto e indesiderato da tutti i cittadini italiani e di origine straniera. Gli stessi migranti che sono costretti a trovarsi in questa condizione, lottano quotidianamente per uscirne fuori. Per sbarcare il lunario lavorano in nero, senza diritti, e se come non bastasse anche nell’illegalità e soggetti a reclusione. Quindi anche questo è un termine da far cadere in disuso e sostituire con altri perchénon ha nulla a che fare con chi fugge dalla guerra in cerca di protezione, richiedendo lo status di rifugiato in un altro paese.
Per quanto riguarda il termine extracomunitario il quale è anche il più inflazionato negativamente dai mezzi d’informazione, c’è veramente poco da spiegare. Questa definizione si riferisce semplicemente ai cittadini di uno Stato non appartenente alla Comunità Europea. Eppure nel linguaggio comune utilizzato in Italia, extracomunitario è un termine dispregiativo, affibbiato a stranieri mal giudicati. Ecco quindi che come extracomunitario è indicato l’albanese, il rumeno, il marocchino, il senegalese, l’ucraino, il tunisino. Stranamente nessuno osa chiamare extracomunitario uno statunitense, uno svizzero o un australiano. L’utilizzo improprio di tali definizioni, i toni allarmistici e lo spazio minimo che i media dedicano all’informazione per l’opinione pubblica sul dramma che c’è dietro la fuga e sui diritti di cui queste persone godono, non fa altro che fare leva sulla paura già molto diffusa tra i cittadini autoctoni specialmente negli ultimi anni. È così che le vittime, i bisognosi di aiuto, i perseguitati, quelli che non hanno il privilegio di vivere dignitosamente nel proprio paese, quelli che non possono fare ritorno nella propria Patria perché rischiano di essere uccisi, imprigionati e torturati, diventano minacce. È così che la paura sta vincendo sul buon senso e sulla tendenza solidaristica e umanitaria che ha contraddistinto da sempre l’Italia.