In un’intervista per Albania News, realizzata prima delle elezioni del 6 ottobre, Shpend Kursani, Dottore di Ricerca presso l’European University Institute con tema ‘I Paesi contestati della Seconda Guerra Mondiale’, parla dell’attuale situazione in Kosovo, del ruolo dell’Albania nel riconoscimento internazionale del Kosovo, delle elezioni anticipate del 6 ottobre, della diaspora albanese in Italia e di molto altro.
Shpend Kursani è ricercatore in Scienze politiche e Relazioni internazionali. Attualmente, ricopre il ruolo di Dottore di Ricerca presso l’European University Institute, uno degli Istituti di ricerca più prestigiosi al mondo, dove svolge ricerche sui Paesi contestati del secondo dopoguerra ad oggi.
Kursani ha conseguito un Master di Filosofia delle Relazioni Internazionali presso l’Università di Cambridge nel Regno Unito, ha lavorato come assistente accademico in diverse università, ha ricoperto incarichi di ricerca per numerosi Istituti in Kosovo e ha collaborato con altrettanti in Europa.
Kursani, inoltre, è stato un attivista politico e ha pubblicato numerosi studi politici e accademici. È stato anche editorialista regolare di numerosi media locali e internazionali.
Intervista a Shpend Kursani
Signor Kursani, ci congratuliamo con lei per la sua straordinaria carriera e la ringraziamo per il tempo che ha deciso di condividere con noi per la realizzazione di questa intervista. Vorremmo iniziare proprio dalla ricerca che lei sta conducendo all’UE, e che è entrata ormai nella sua fase conclusiva. In occasione della recente Assemblea Generale delle Nazioni Unite tenutasi a Settembre di quest’anno, si è parlato anche di Kosovo. E’ stato il Primo Ministro della Repubblica d’Albania, Edi Rama, a chiedere il riconoscimento internazionale di Prishtina da lui definita “realtà irreversibile”.
In quest’ottica vorremmo chiederle una sua considerazione sulla strategia albanese per il riconoscimento internazionale, e se esiste secondo lei, la possibilità che il discorso di Rama possa oltrepassare la dimensione simbolica e produrre un impatto reale a tal fine, soprattutto in Europa e nei Balcani?
Ai fini dell’ampliamento dei riconoscimenti internazionali del Kosovo, il ruolo dell’Albania seppur ‘importante per certi aspetti, rimane tuttavia limitato. Questi limiti sono dovuti a diversi fattori. In primo luogo, l’Albania non ha il potere economico e diplomatico su scala globale per influenzare la posizione mutevole degli Stati che hanno negato il riconoscimento ufficiale al Kosovo.
In secondo luogo, la stagnazione del processo di riconoscimento riguarda non solo le tangibili ed avverse circostanze internazionali sorte dopo la dichiarazione di indipendenza, ma in una certa misura anche, la condotta dei governi kosovari e l’attività diplomatica della Repubblica d’Albania, contro queste condizioni.
Ciò che intendo è che sia il Kosovo che l’Albania si sono resi conto in ritardo che la comunità internazionale di Stati, in particolare quella creata dopo la seconda guerra mondiale, non è composta solo dalla dozzina di nazioni occidentali sviluppate, che hanno sostenuto l’indipendenza del Paese, ma include anche molti altri Stati che sono usciti dal processo di decolonizzazione.
Non c’è da meravigliarsi che il Kosovo si batta principalmente per assicurarsi proprio il riconoscimento dai Paesi Afro-Asiatici usciti dal processo di decolonizzazione – questo perché detti Paesi vedono l’indipendenza del Kosovo non come risultato degli sforzi per la liberazione dalla Serbia, bensì come progetto americano ed europeo – due spazi politici e geografici, che vengono spesso associati all’imperialismo e al colonialismo perpetuato ai danni di gran parte dei paesi emergenti.
Qui, né il Kosovo né l’Albania sono esenti da responsabilità, poiché i loro sforzi alla ricerca del riconoscimento si sono spesso svolti sulla scia dell’azione Americana ed Europea. Forse l’indipendenza del Kosovo riuscirà a rimanere una “realtà irreversibile” finché le attuali circostanze internazionali non cambiano, ma resta una “realtà irreversibile” anche la stagnazione del processo di riconoscimento del Kosovo.
Mi riferisco ovviamente al Kosovo come lo vediamo oggi, e non ad un ipotetico futuro dove il paese potrebbe essere territorialmente frammentato e “bosnizzato” al fine di garantire il riconoscimento da parte della Serbia e, di conseguenza, della comunità internazionale generale.
Infine, l’Albania potrebbe attivarsi maggiormente per impedire il ritiro del riconoscimento esistente di alcuni Stati, che potrebbero cedere a seguito della campagna diplomatica, per quanto limitata, condotta dalla Serbia.
Le politiche estere riflettono spesso la “salute” interna di un paese. Qual è la sua generale previsione sulle elezioni di quest’anno? In che misura secondo lei i partiti politici aspiranti a governo riescono a canalizzare le aspettative dei cittadini del Kosovo?
Le elezioni di quest’anno appaiono molto diverse rispetto a qualsiasi altra tornata elettorale avuta in precedenza. Ciò sembra dovuto dalla disillusione che i cittadini hanno subito dall’immobilismo politico dove indipendentemente dalla successione dei governi permangono le stesse politiche. Di fatto si sta verificando un tentativo autonomo di incanalamento della “stanchezza” da parte degli stessi cittadini, che avviene principalmente su due binari. Vi è in primis una categoria di cittadini che probabilmente ha deciso di costruirsi il futuro fuori dal Kosovo e, di conseguenza, negli ultimi anni abbiamo avuto un massiccio abbandono, soprattutto da parte di giovani che lasciano il paese per trovare all’estero opportunità di lavoro e una vita migliore. Questo non è molto positivo per quanto riguarda le elezioni in Kosovo perché questo segmento di popolazione è nutrito di potenziali elettori ma illuso dalle politiche attuali, avrebbe potuta votare per un maggiore cambiamento. Esiste inoltre un’altra categoria di cittadini che sembra avere deciso di aprirsi a cambiamenti radicali. Quest’ultima è composta da una classe media alta che non necessariamente è coinvolta in attività criminali e/o corruttive. Anche se preferisco non addentrarmi nei dettagli dei partiti politici, si può osservare come i sondaggi pubblicati finora mostrano che oltre la metà dei cittadini desidera un certo grado di cambiamento (preferendo quindi i partiti che sono stati recentemente in opposizione, come LDK e il Movimento “Vetëvendosje”). Nel frattempo, circa un quarto della popolazione, che non è un numero esiguo, desidera cambiamenti più radicali, poiché circa il 25% dei elettori preferisce votare solo per il Movimento “Vetëvendosje”.
Relazioni Kosovo-Italia: come valuta l’impegno italiano in Kosovo? Pensa che ci siano i margini per una più ampia cooperazione economica e culturale?
L’Italia ricopre una posizione politica importante in ciò che per quanto concerne alle decisioni che vengono prese sul Kosovo, in particolare in seno ai paesi occidentali. A differenza degli Stati Uniti, della Francia e del Regno Unito, l’Italia non gode del seggio permanenti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma fa parte del Quint, ossia l’insieme dei cinque paesi occidentali che spesso si riuniscono per mantenere una posizione politica comune sul e per il Kosovo. Pertanto, l’Italia fa parte di quei paesi di strategica importanza per Prishtina. Finora le relazioni tra il Kosovo e l’Italia sono state buone e non vi sono stati particolari problemi degni di nota tra i due paesi. Per quanto riguarda la cooperazione politica, economica e culturale, penso che sia stato al di sotto delle reali potenzialità e che entrambi i paesi potrebbero offrirsi di più a vicenda.
La diaspora ha avuto e continua ad avere un peso sostanziale negli equilibri socio-economici in Kosovo, in particolare quella stabilita nel Nord Europa. Recentemente ci sono stati alcuni segnali anche in Italia come ad esempio la creazione del Centro Italiano del Movimento “Vetëvendosje”. Qual è la condizione della diaspora kosovara in Italia?
L’Italia non rappresenta una destinazione ambita per gli albanesi del Kosovo, come accadeva invece per gli albanesi in Albania. Tuttavia, è difficile fare questa distinzione quando si parla della diaspora, che è più comunemente vista, e in effetti lo è spesso, come una diaspora coesa (che sia essa composta dagli albanesi del Kosovo o albanesi di altri paesi). Per quanto riguarda la diaspora albanese in Italia, si può dire che è mancata finora una sua articolazione o per lo meno non si è sviluppata in maniera significativamente ampia.
La diaspora albanese in Italia opera principalmente in piccoli gruppi di studenti da un lato, e gruppi aziendali e familiari dall’altro. Penso che i recenti sforzi del movimento “Vetëvendosje!” per dar vita ad un centro in Italia siano genuini. Non credo esista un’organizzazione politica tra gli albanesi sia in Kosovo che in Albania che goda di maggiore credibilità rispetto al movimento “Vetëvendosje!”. Ciò deriva dalle stesse azioni e concetti politici che questo Movimento ha sviluppato sulla stessa nazione albanese – considerando quindi anche le dissociazioni esistenti, è l’unico Movimento che ha apertamente sfidato le disgregazioni tra albanesi del Kosovo, Albania, Macedonia e le altre comunità albanofone sparse nei Balcani. Il tentativo di questo movimento di aprire il suo centro in Italia lo vedrei come un atto conforme alla sua visione e al suo programma. Tuttavia, l’apertura di un tale centro rappresenta solo l’inizio. Molto dipenderà dai passaggi che un tale centro dovrà intraprendere nel costruire i legami politici, economici e politici tra la comunità albanese d’Italia ma anche della stessa con lo la società e lo Stato italiano. Per conseguire questi obiettivi tuttavia vi sarà necessario molto tempo e lavoro. Molto dipenderà anche dalla posizione politica del movimento, in particolare in Kosovo ma anche in Albania, poiché ormai anche a Tirana esiste già un centro attivo.
Lei sig.Kursani è un esperto sul fenomeno della radicalizzazione religiosa, foreign fighters e dell’estremismo violento nello spazio albanese e nei Balcani occidentali. In che misura la società albanese è stata afflitta da questo fenomeno e secondo lei questa minaccia è ancora presente?
Qui vorrei soffermarmi brevemente, per affermare che ciò che viene propagato dai media locali e internazionali sul “radicalismo religioso” degli albanesi o di altri popoli dei Balcani, è una realtà virtuale che non esiste. Dico questo basandomi sia sulla mia pluriennale ricerca sul campo, ma anche su altri studi di ampiamente pubblicati. Anche se esistono soggetti radicalizzati, il loro numero rimane estremamente esiguo, tanto da indurre molti studiosi ad interrogarsi sul perché gli albanesi siano così meno radicalizzati, sotto l’aspetto religioso o meno, anziché viceversa.
L’idea dello scambio territoriale ha creato conseguenze sia in Kosovo che in Albania. Pensa che questa opzione sia definitivamente tramontata e, in caso contrario, pensa che ci possa essere un legame realistico tra lo scambio territoriale e l’unificazione Albania-Kosovo?
L’idea in quanto tale non credo sia estinta. Sebbene ci siano stati molti cambiamenti nell’élite politica serba dalla caduta di Milosevic, posso dire che per quanto riguarda il Kosovo, l’approccio della Serbia è quasi rimasto lo stesso. Non si avverte alcun cambiamento nelle ambizioni della Serbia di riportare il Kosovo, o parte del suo territorio, sotto il controllo di Belgrado. Questo non sta accadendo in questo momento, non perché la Serbia è cambiata, ma piuttosto a causa delle attuali congiunture internazionali e regionali. Sfortunatamente, l’attuale presidente del Kosovo, Hashim Thaci, per attirare l’attenzione e suscitare l’interesse internazionale sulla sua figura, ha sollevato l’idea dello scambio territoriale con la Serbia, presentandola superficialmente come uno strumento per garantirsi il riconoscimento del Kosovo. Se la spartizione del Kosovo realmente avverrà questo dipenderà tanto dalle posizioni future delle strutture politiche in Kosovo. Se esse si sentiranno liberi di rinunciare al territorio in cambio di riconoscimento, non escludo che anche alcuni attori chiave della comunità internazionale, che sono attualmente riluttanti a questa idea, possano rivedere le loro posizioni. Pertanto, se al potere permangono acrobati come l’attuale presidente, Hashim Thaqi, questa prospettiva potrebbe forse concretizzarsi. Ma al momento sembra di difficile attuazione. La resistenza interna ed esterna in relazione al Kosovo continua in ogni caso a essere fortemente contraria a questa idea.
A che ritmo proseguono gli sforzi per integrare le strutture politiche ed economiche tra Albania e Kosovo?
Al rilento. Così come sono lenti gli sforzi per integrare le stesse strutture di Albania e Kosovo con gli altri paesi dell’Unione Europea. Non vedo ragioni politiche o ideologiche per opporsi all’integrazione delle strutture politiche ed economiche tra due stati indipendenti, qualunque essi siano. Sono dell’idea che tale integrazione ha senso se è diretta a migliorare il benessere e la vita dei cittadini senza recare danni gli altri.
Per finire sig.Kursani, vorremmo chiedere la sua opinione su due temi centrali come il Tribunale special e la tariffa doganale. Qual è il loro reale peso in relazione allo sblocco del riconoscimento internazionale e sul futuro del Kosovo?
Cominciamo con il Tribunale speciale. Il tribunale speciale è stato creato per processare crimini di guerra perpetrati da membri dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK) contro civili serbi e albanesi in Kosovo. Certamente è indispensabile indagare e perseguire atti criminali in ogni conflitto, affinché la giustizia faccia il suo corso specialmente su coloro che hanno commesso tali crimini. Tuttavia, si possono identificare tre aspetti problematici in questa Corte. Innanzitutto, essa è stata concepita per indagare solo su una delle parti in conflitto, e non sull’altra: quella serba. Si può argomentare che la Serbia, a differenza del Kosovo, è riuscita a perseguire alcuni dei suoi criminali di guerra. Questo è tanto vero quanto divertente. Le sentenze che la Serbia ha inflitto ai suoi criminali di guerra vanno in media da uno a due anni di reclusione e spesso, coloro che hanno commesso crimini contro la popolazione civile albanese in Kosovo, finiscono per essere rilasciati in anticipo. In secondo luogo, i crimini di guerra commessi in Kosovo siano essi da attribuire all’UCK, o altri, sono stati largamente sotto il dominio esclusivo di diversi meccanismi internazionali, a partire dall’UNMIK nel periodo 1999-2008, poi dall’EULEX dal 2008 ad oggi, quindi dal Tribunale dell’Aia per i crimini di guerra nell’ex Jugoslavia. Se finora questi meccanismi internazionali non sono riusciti a perseguire e condannare i criminali di guerra, le probabilità che questa nuova Corte possa riuscirci pertanto, rimangono ridotte. Di conseguenza e in terzo luogo, ho l’impressione che questa Corte sarà utilizzata in misura maggiore per ricattare alcuni politici, ex comandanti dell’UCK in Kosovo, anziché fare giustizia. Spero che questa sia un’impressione sbagliata.
Per quanto riguarda la tariffa doganale che il Kosovo ha imposto alla Serbia, non credo che porterà al riconoscimento da parte serba, perché il riconoscimento del Kosovo ha molta più importanza in Serbia che la riduzione della tariffa doganale. Tuttavia, penso che la tariffa doganale sia riuscita a capovolgere la tradizionale posizione difensiva dove il Kosovo era stato costretto a ritirarsi nelle trattative decennali con la Serbia, in una posizione più offensiva in quanto ha permesso a Prishtina di inoltrare richieste più concrete nei confronti di Belgrado. Durante questi 10 anni di negoziati non è stato infatti raggiunto niente di concreto sul Kosovo. Mentre erano in corso trattative per ottenere presumibilmente il riconoscimento da parte della Serbia, quest’ultima ha continuato a fare campagne a livello internazionale per il conseguire il disconoscimento del Kosovo da parte di altri stati. Quindi i negoziati sembravano non essere sinceri e in realtà non hanno apportato cambiamenti concreti sul terreno. Certamente l’istituzione dei dazi ha sospeso i negoziati per circa un anno dal momento che la tariffa è entrata in vigore, mentre gli appassionati delle trattative tra Kosovo e Serbia sono favorevoli all’eliminazione di questa tariffa da parte del Kosovo per permettere il prosieguo dei negoziati. Politicamente, tuttavia, questa posizione non si basa su alcun principio generale, tranne che sul vago concetto secondo cui i negoziati dovrebbero continuare, nient’altro. In ogni caso i supporter dei negoziati pare che abbiano ormai da tempo rinunciato ad aspettative fondate e azioni politiche reali. Non credo in linea di principio che questa tariffa debba essere abolita, poiché non vi è alcun cambiamento nell’atteggiamento della Serbia nei confronti del Kosovo. Se ci saranno perdite economiche significanti per il Kosovo dal mantenimento di questa imposta? No, e la Serbia e gli appassionati dei negoziati tra Kosovo e Serbia sarebbero d’accordo.