Gëzim Myshketa nasce nel 1982, in quel di Durazzo. Lascia l’Albania nel 2000 per laurearsi con il massimo dei voti presso il Conservatorio di musica Arrigo Boito di Parma. Ha debuttato nel ruolo di Figaro sotto la direzione di Antonello Allemandi.
Oggi, Myshketa è uno dei più apprezzati baritoni: ha calcato i palcoscenici dei Teatri più famosi al mondo, interpretando i ruoli più celebri. Una delle sue ultime apparizioni all’Arena di Verona, nel ruolo di Escamillo della magnifica Carmen. Durante questa intervista, che ci ha gentilmente concesso, ha rivelato qualcosa di sé, del suo essere, del suo sentire e qualche anticipazione sui progetti futuri. Buona lettura.
Iniziamo con la domanda di rito: come e quando nasce la tua passione per la lirica e qual è stato il tuo debutto?
In primis, colgo l’occasione per abbracciare virtualmente tutte le sorelle e i fratelli Albanesi che vivono in Italia e tutti coloro che hanno lasciato l’Albania per emigrare in altri posti.
La passione per la Musica nasce sin da tenera età. Appartengo a una famiglia della borghesia decaduta per volere del regime e per costrizione dello stesso, obbligata a vivere in una grande baracca. Chi come me è di Durazzo saprà bene che venivano chiamate “le baracche degli Italiani”, in quanto costruite durante la seconda guerra per ospitare i soldati Italiani. In questo ambiente povero e reso dignitoso dalla loro presenza, l’unica possibilità di sentirsi liberi era suonare e cantare e tutti i miei zii e le mie zie si dedicavano alla musica, una delle arti proibite. Solo in questo modo si sentivano liberi, perché la musica è libertà! Quindi, è stato facile per me ereditare la passione che oggi coltivo. Ho debuttato nel ruolo di Figaro.
Arrivi in Italia giovanissimo, ti integri e oggi sei una delle voci più apprezzate nel tuo campo. Com’è stato il tuo percorso dall’arrivo? Ha mai inciso il fatto che tu fossi albanese?
Sono arrivato in Italia nel 2000, quando avevo appena compiuto 18 anni. È stato più che difficile per me questo cambiamento di vita , che oserei definire un vero e proprio trauma. Infondo, io in Albania stavo bene, avevo tanti amici e una bellissima famiglia allargata. Sentivo, però, che avrei dovuto darmi questa possibilità, che sarebbe stata la scelta giusta e così ho fatto. Con il cuore a pezzi e in compagnia di una cassetta contenente la voce di Vaçe Zela che cantava quante le onde del mare è grande la nostalgia per la patria, varcai il mare e arrivai in Italia.
Il fatto che io fossi Albanese, ovviamente, ha inciso in atteggiamenti e interazioni che ho avvertito, e in sordina incide ancora oggi. A dire il vero, queste reazioni non mi hanno mai impressionato e tanto meno mi impressionano ora. Sono consapevole di provenire da un antichissimo e glorioso popolo, che nonostante i tanti problemi che ha dovuto gestire nel tempo, ha sempre dato un valido contribuito affinché regnasse la pace nei Balcani. Ognuno di noi rappresenta se stesso e io sono fiero del mio percorso; inoltre, non dimentico che l’Italia è stata e rimane la nazione che più di ogni altra ha aiutato il mio popolo. Per questo, dobbiamo essere tutti riconoscenti.
Quanto ti senti ancora legato alla tua terra d’origine? Questo tuo legame, se esistente, quanto lo trasferisci nel canto?
Sono totalmente legato all’Albania e così sarà per sempre. Il mio temperamento artistico, così acceso e passionale nasce dal mio sangue albanese. Non potrebbe essere diversamente. Anzi, da sempre tendo a contenere la mia indole molto fervida, che se non è ben controllata sul palco, può risultare dannosa. Cuore caldo, ma testa fredda. Sempre!
Hai calcato i palcoscenici dei più importanti teatri. Dove ti sei sentito più a tuo agio e dove un po’ meno?
Ogni Teatro e ogni Paese hanno la loro magia. Lavoro molto molto bene in Francia, poiché trovo il giusto incrocio tra la bellezza Italiana e il rigore Tedesco. Nel 2023 sarò quasi totalmente impegnato in Francia.
Non esiste un particolare teatro in cui mi sia sentito male o a disagio; è chiaro che gli artisti, essendo soggetti particolarmente emotivi e di conseguenza molto più sensibili, rendono in base al rispetto e al trattamento che ricevono forse più di altri. Detto questo, non dimentichiamo di essere dei seri professionisti, la cui prima finalità è quella di rispettare il pubblico.
A quale personaggio o opera sei particolarmente affezionato?
Mi stanno particolarmente a cuore ruoli Verdiani; Verdi era BARITONO nella Voce e nell’Anima e ha dato a questa vocalità i massimi livelli della storia dell’Opera. Quindi, non posso che menzionare: Macbeth, Rigoletto, Nabucco, Simon Boccanegra, Falstaff. Sono personaggi veri, attraverso i quali riesco a portare sul palcoscenico emozioni veritiere. Verdi era un grande uomo di Teatro e con lui la drammaturgia e la musica si sciolgono nella maniera più sublime; danno valore l’una all’altra, impreziosendosi a vicenda.
Oltre al talento è importante lo studio, naturalmente. Come si svolge la preparazione a una rappresentazione e com’è la quotidianità di un baritono?
Senza la giusta preparazione non si raggiunge nulla, ovviamente. Lo studio deve essere profondo e va condotto partendo dalla fonte letteraria. Un buon artista deve avere talento ma anche una buona cultura: personalmente, tendo a raccogliere tutte le informazioni più importanti sul pezzo che devo preparare, dalle note storiche, alla prassi esecutiva, alla tradizione, ecc.
Ammetto di avere una caratteristica che mi contraddistingue: in un giorno posso studiare quanto basta per una settimana intera. Se il testo non mi convince, non c’è altro da fare, se non mi garba, nulla più può cambiare. Tendo a privilegiare la qualità e non la quantità; anche nel mio campo esistono le scadenze e nello specifico è necessario chiudere il processo di preparazione a tempo debito.
Sin dal primo giorno di prova di fronte al direttore d’orchestra, tutto deve essere pronto, conosciuto a memoria e ben impostato. Questo significa essere professionisti.
Temi mai di perdere la voce?
Perdere la voce è l’incubo di ogni cantante. Ovvio che si!
Su cosa ti basi per la scelta del repertorio?
Responsabilità, pazienza e intelligenza sono le tre parole d’ordine. Circa dieci anni fa mi hanno proposto un tipo di repertorio “pesante” e ho dovuto dire no tante volte. Oggi penso sia stata la cosa giusta da fare. Ogni cosa a suo tempo.
Qualche curiosità o cosa strana che ti è capitata?
Capitano tante cose strane. La più bizzarra è stata quella di imparare, durante un viaggio in treno di otto ore, le parti di due personaggi e rappresentarli il giorno dopo all’Open House di Zurigo.
I prossimi progetti?
Ho tanti progetti in vista: La Traviata a Hong Kong, Otello a Trieste, Falstaff a Lussemburgo, Nabucco a Tolosa, Un ballo in Maschera a Marsiglia e tanto tanto altro.
Basta avere la salute e un paio di scarpe nuove e puoi girare tutto il mondo, diceva il grande Nino Manfredi.
Ad maiora, caro Gëzim!