Ibrahim Kodra, a cui in questo periodo Palazzo Isimbardi, sede della Provincia di Milano, dedica una significativa mostra, curata con passione da Fatos Faslliu, è stato un artista singolare.
Ibrahim Kodra, le origini
Era nato nel 1918 a Likmetaj, una frazione del paese di Ishëm , in Albania: un paese antico, dove si trovavano rovine greche tra le quali l’artista diceva di aver giocato fin da bambino. Il poeta Paul Eluard lo aveva definito “il primitivo di una nuova civiltà”. Non sappiamo se fosse un primitivo. Certo nelle sue opere migliori emerge un originario e innato senso del colore: un colore che ha una radice veneta, bizantina, islamica (Ibrahim Kodra apparteneva a una famiglia di religione musulmana) e che si esprime in accordi luminosi, solari, oppure nella predilezione per le ceramiche, della materia-luce.
Kodra aveva perso la madre a tre anni, a otto era scappato di casa. Suo padre, un ufficiale di marina che si interessava anche di arte e di poesia, era troppo spesso assente per potersi occupare di lui. Così il giovane Ibrahim era stato educato a Tirana alla corte di Re Zogu . Qui, protetto dalla Regina madre che aveva preso a benvolerlo, aveva seguito studi di indirizzo scientifico e, successivamente, aveva frequentato una scuola d’arte.
In Italia questa sua nascita lontana, e questa educazione un po’ fiabesca, contribuirono negli anni successivi a circondarlo di un alone di leggenda (“Se Kodra fosse vissuto in epoche remote, anziché pittore potrebbe essere stato alchimista” aveva scritto di lui un critico), anche se in realtà era praticamente milanese.
“Se Kodra fosse vissuto in epoche remote, anziché pittore potrebbe essere stato alchimista”
A Milano, infatti, era giunto accompagnato dal padre nel 1938, a vent’anni, con una borsa di studio messa a disposizione dalla regina stessa, e con un altro sussidio, offertogli dal governo italiano. Si era subito iscritto all’Accademia di Brera, e si era trovato in un ambiente quanto mai stimolante: corsi di pittura con insegnanti che erano Carrà, Carpi, Funi, Messina, compagni di corso che si chiamavano Chighine, Francese, Alik Cavaliere, Cassinari, Morlotti, ma anche Francese e Dobrzansky, Dova e Ajmone, Crippa e Peverelli, Cremonini e Baj, i fotografi Ugo Mulas e Alfa Castaldi, il regista Damiano Damiani, Dario Fo, il futuro creatore della scuola di Barbiana don Lorenzo Milani… Erano i tempi in cui Brera assomigliava ancora a una sorta di grande bottega antica: una larga parte dei suoi iscritti, che non arrivavano a duecento, non erano studenti generici, ma futuri artisti, o almeno persone dotate di talento espressivo e creativo.
E’ in questo clima, pur sullo sfondo sanguinoso della guerra e della guerra civile, che Kodra inizia i suoi primi lavori. Disegni drammatici, come gli suggerisce il momento storico. C’è una Figura straziata, per esempio, che realizza nel 1944, in cui non si capisce se siamo di fronte a un uomo o a una donna, a un carnefice o a una vittima, e in cui il cubismo picassiano, che allora circolava fra i giovani artisti, e, più ancora, qualche fatto atroce che Hodra doveva aver visto di persona, collaborano a formare un espressionismo doloroso. E, soprattutto, autentico.
Qualche anno dopo, però, Kodra approda a nuove esperienze. Sono gli anni in cui fa parte del gruppo “Linea”, di cui scrivono Borgese, Carluccio, Ballo e altri. Abbandonato l’espressionismo, che rischiava di diventare un’accademia (Longhi parlava, per l’informale, di accademia dell’angoscia, ma la definizione è valida anche per altre tendenze), trasforma il suo picassianesimo in un gioco di intarsi, in una geometria di volumi sfaccettati e colorati.
Si avvicina anche all’informale, ma poi torna ancora a occuparsi dell’uomo che è il vero tema ispiratore della sua ricerca. I drammi e i dolori della vita, ma anche le gioie e le illusioni sono l’argomento ricorrente della sua pittura. La figura ora, nelle sue composizioni, è accompagnata da segni liberi e disordinati, da una grafia nervosa e indecifrabile. Nascono così, negli anni sessanta, i suoi famosi Personaggi: figura schematizzate, uomini-robot, creature a metà fra l’automa e il manichino, con il volto quadrato o rettangolare come in certi fumetti d’anteguerra. C’è in queste opere un gusto per il ritmo geometrico, ma anche per il pupazzo e la bambola, per il gioco infantile e la maschera.
“Si direbbe che Kodra, tra le sfaccettature del tardo cubismo del primo dopoguerra abbia rintracciato le scaglie luminose dei vecchi mosaici bizantini, i bagliori delle antiche moschee e la favolosità dei pastori che bivaccano sulle pendici dell’Olimpo”. Marco Valsecchi
Ma in realtà la critica era di rado così compiacente. La stilizzazione di Kodra, a metà fra astrazione e figurazione, in anni in cui queste direzioni di ricerca erano considerate opposte e inconciliabili, non era fatta per piacere a molti.
Pure non gli mancarono alcuni estimatori convinti: Joppolo, il già citato Valsecchi, Testori, De Grada sono tra i primi a consacrarlo, seguiti da molti altri, da Crispolti a Carlo Bo.
Fra le sue opere, del resto, non ci sono solo figure. Meno noti, ma anche più felici, sono i paesaggi. Il ciclo di Albania fantastica, ad esempio, o di Capri, eseguiti negli anni Novanta, che assomigliano a piccoli presepi in cui emerge qualche ricordo classico, hanno una grazia infantile che commuove. Soprattutto se si pensa che l’artista li ha realizzati quando stava per compiere ottant’anni.
Di tutte queste fasi dà conto la mostra di palazzo Isimbardi. E ci dimostra soprattutto una cosa di questo milanese d’Albania, o di questo albanese di Milano: che Kodra è un artista ancora tutto da riscoprire.
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Elena Pontiggia
Storico dell’arte, vive e lavora a Milano, dove è titolare della cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea all’ Accademia di Brera e fa parte del consiglio d’amministrazione della XII Quadriennale di Roma. Ha insegnato Storia dell’Arte Contemporanea alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Si occupa in particolare dell’ arte italiana e internazionale fra le due guerre (saggi su Sironi, Arturo Martini, Carrà, Novecento Italiano, Picasso, Hopper, Nuova Oggettività tedesca) e del rapporto fra modernità e classicità. Collabora regolarmente a quotidiani e riviste. I suoi ultimi volumi pubblicati sono Il Novecento italiano (Abscondita, 2003), Edward Hopper (Milano, Rizzoli, 2004); 1935. La grande Quadriennale (Milano, Electa, 2006, con C.F.Carli); Bontempelli. Realismo magico e altri scritti sull’arte (Milano, Abscondita, 2006). Ha curato numerose mostre, tra le ultime: Picasso illustratore (Milano, Skira, 2006); Arturo Martini (Milano, Skira, 2006).