Nata nel 2001 ed edita dalla Comunità di Capodarco, Redattore Sociale è una agenzia giornalistica dedicata ai fenomeni del disagio e dell’impegno sociale che pubblica quotidianamente un notiziario di 80-100 lanci accessibile in abbonamento e in parte gratuitamente sul sito www.redattoresociale.it .
L’obiettivo? Quello di trattare in modo responsabile, coscienzioso e approfondito fenomeni sociali che erroneamente vengono riferiti alla cronaca nera e/o a minoranze di popolazioni, pur interessando l’intera collettività. Settantatre le aree tematiche sociali affrontate dal Redattore Sociale e raggruppate in tredici macroaree: Diritti, Disabilità, Droghe-dipendenza, Economia-Politica, Emarginazione-Povertà, Famiglia-Società, Giustizia-sicurezza, Immigrazione-minoranze, Infanzia-adolescenza, Lavoro, Religioni, Salute, Volontariato-terzo settore. Tra le tante notizie, attività e servizi che Redattore Sociale offre a cittadini, giornalisti, istituzioni nazionali e locali, organizzazioni non profit, rientra anche la Guida per l’informazione sociale che attraverso dati, tabelle statistiche, segnalazioni bibliografiche, analisi qualificate e box di approfondimento rispecchia le macroaree tematiche su cui l’Agenzia lavora quotidianamente. Ne abbiamo parlato con Stefano Trasatti, direttore responsabile di Redattore Sociale, per sapere di più sull’utilità della Guida e il modo in cui deve essere trattato l’immigrazione dai mezzi di informazione.
La Guida per l’informazione sociale è arrivata quest’anno alla sua sesta edizione dal 1994. Perché è nata?
La Guida è nata quando ancora non c’era l’Agenzia Redattore Sociale. La prima edizione è del 1994 ed è stata fatta in occasione del primo Seminario di Capodarco, da parte del CNCA, il Coordinamento delle Comunità di Accoglienza, che organizzava all’epoca anche il Seminario.
Nel 1994, l’internet era agli inizi, e l’obiettivo era fare un manuale, dare uno strumento che potesse stare sul tavolo dei giornalisti, degli amministratori pubblici e degli studiosi, e potesse essere utilizzato ogni qualvolta vi fosse bisogno di sapere in poco tempo i dati essenziali, ricostruire un minimo di contesto per leggere meglio un fatto di cronaca che può riguardare i minori, la povertà, l’immigrazione, il volontariato. Insomma, i vari fenomeni sociali, e l’esigenza principale nasceva dal fatto che nel sociale – contrariamente ad altri argomenti come l’economia, lo sport, la politica – c’era e c’è in parte anche oggi una scarsità di dati ma soprattutto una frammentarietà.
C’erano un po’ di dati ma sparsi in giro ed era difficile trovarle. Da queste considerazioni è nato la guida, ovviamente allora non c’era l’Agenzia e veniva realizzata da esperti che scrivevano per ogni settore un piccolo saggio. Dal 2001, la gestiamo noi come Agenzia ed è legata anche al notiziario e al linguaggio di Redattore sociale, però lo scopo è rimasto lo stesso.
Quindi è un po’ l’almanacco per giornalisti disinvolti e amministratori disattenti?
Si può anche dire cosi, però ci piace chiamarlo uno strumento utile, una specie di cassetta degli attrezzi che può essere usata da giornalisti e amministratori coscienziosi, che lavorano anche su scala locale, e non si accontentano dei luoghi comuni, vogliono allargare lo sguardo, e quando fanno, ad esempio, una delibera o ordinanza su un certo argomento come l’immigrazione o i mendicanti, siano almeno coscienziosi nel collocare quel fenomeno in un orizzonte più ampio. Quindi preferirei definirla così.
All’interno c’è anche un capitolo sull’immigrazione. Perché includerla nelle 13 macroaree che la guida tratta?
Da quanto la facciamo noi, la Guida è arrivata alla quarta edizione, e ricalca un po’ gli argomenti trattati dall’Agenzia Redattore Sociale quotidianamente. Nel nostro notiziario, l’immigrazione è uno dei temi più presenti, credo che occupi almeno il 15% dei nostri lanci quotidiani. Ovviamente trattiamo l’immigrazione da punti di vista e angolature diverse da quelle predominanti.
Quindi non da quelli delle emergenze, della devianza o delle polemiche politiche, ma dal punto di vista dell’integrazione, di tutte quelle azioni e quegli snodi che determinano grazie all’immigrazione un cambiamento profondo della società. Questa è la nostra convinzione e non poteva che avere un grande spazio anche sulla guida che tra l’altro esce subito dopo il Dossier Immigrazione della Caritas.
Anche se la nostra è biennale e loro pubblicazione annuale, noi aspettiamo il Dossier perché la guida sia aggiornato almeno per quel anno. In particolare, nell’ultima edizione del 2010, la prossima sarà nel 2012, abbiamo fatto insieme a Dossier Immigrazione della Caritas, e anche sostenuto economicamente, una ricerca su immigrazione e criminalità che è una produzione autonoma nostra, mentre il resto sono dati che noi assembliamo e mettiamo insieme. Questo è lo stile di tutta la guida.
Avete utilizzato una citazione da “I sessanta nomi dell’amore” di Tahar Lamri all’apertura del capitolo sull’immigrazione: “Io non ho paese. Il mio paese è il mio corpo. Il mio paese è dove sto bene”. Cosa significa?
Questa mette in discussione alla base tutte le politiche che vengono fatte in Europa ma anche nel resto del mondo nei confronti dell’immigrazione. Si contrasta l’immigrazione in virtù del fatto che uno stato ha dei confini che non possono essere violati, lo stato ne è responsabile e può respingere o regolare proprio in virtù di questi confini chi ci entra.
Quindi la libera circolazione delle persone è limitata proprio da questo principio fondamentale applicato da tutti. Dall’altra parte, stati ricchi dalla Corea del Sud, alla Svezia, agli Emirati Arabi stanno acquistando pezzi interi di nazioni in Africa e in Asia, che sono ricche di acqua e altre risorse naturali. Sono dati che stanno venendo fuori adesso.
Ad esempio, se un pezzo della Svezia è in Sudan, lì la Svezia esercita la sua giurisdizione. Insomma, stride molto il principio dell’inviolabilità dei confini nazionali con questa espansione che i paesi più ricchi fanno senza nessun problema. Quindi quella citazione va contro questo principio ed è un po’ quello che noi pensiamo.
All’interno della guida c’è anche la ricerca che lei ha menzionato prima sulla relazione tra immigrazione e criminalità. Perché avete puntato su questa tematica e cosa ne viene fuori?
Questa connessione tra immigrazione e criminalità è uno dei tormentoni e luoghi comuni difficilissimi da abbattere che attraversano quasi tutti i mezzi di informazione, cioè immigrazione uguale criminalità. Ci sono stati anche dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro dell’Interno che hanno avvalorato questa tesi.
Abbiamo cercato di leggere i dati disponibili anche trovando qualcuno inedito, ma soprattutto di metterli in correlazione in modo corretto, ed è venuto fuori che questa connessione tra immigrazione e criminalità non esiste. La crescita degli immigrati negli ultimi quattro – cinque anni è stata enormemente superiore alla crescita dei reati commessi da persone immigrate, quindi questo è un primo dato.
E poi, per esempio un dato che statisticamente non viene fatta mai, è considerare che la popolazione immigrata è tutta concentrata in una fascia di età molto giovane che va tra i 20 e 40 anni, parlo degli adulti, e quindi ha un’incidenza rispetto alla popolazione italiana molto più alta del loro numero. Facendo questa correlazione, viene fuori che il tasso di criminalità ai 30 è leggermente superiore per gli immigrati, oltre i 30 fino ai 45 anni è più alto per gli italiani rispetto agli immigrati.
Questo che vuol dire?
Vuol dire molto. Intanto c’è una serie di reati che riguardano proprio la legge sull’immigrazione, possono essere commessi solo da immigrati e costituiscono una bella fetta di tutta la criminalità straniera. Poi, c’è tutta una serie di considerazioni sociali che riguardano gli immigrati che arrivano in Italia da giovani, si trovano in una condizione naturalmente più favorevole a farli incorrere in un qualche reato perché vivono in precarietà abitativa e lavorativa.
E poi, ci sono tante altre considerazioni tipo la probabilità molto maggiore che una persona con la pelle nera oppure individuabile come immigrato ha di essere fermato per strada. È stata la prima ricerca di questo genere che smentisce tutta una serie di approcci ufficiali su questo tema. Ne ha parlato il Corriere della Sera, ha circolato abbastanza, ma in fondo non è che abbia inciso tanto nella percezione di questo fenomeno. È un mattoncino. Adesso noi l’anno prossimo ci torneremo, ne faremo un’altra, verificheremo come si è evoluto il fenomeno.
Quando si parla di reati commessi da immigrati bisogna sapere di cosa parliamo. Già essere senza documenti in Italia significa commettere un reato. I dati del Ministro dell’Interno riflettono anche questo tipo di reati, no?
Una percentuale abbastanza consistente, come ho già detto, è composta dai reati legati alla legge sull’immigrazione, il famoso permesso di soggiorno. Poi ci sono reati commessi da immigrati oggettivamente precari, tipo la vendita di materiali illegali come i dischi contraffatti. Non è una giustificazione, però ci sono reati tipici e non sono quelli più gravi.
Poi c’è tutto un capitolo che riguarda i reati all’interno della comunità immigrata, un dato che non viene mai considerato. Se uno straniero ammazza un altro straniero a volte non va neanche in pagina. È una riflessione anche questa da fare. Tuttavia, la questione è molto complessa, non può essere liquidata come “meno clandestini, significa meno immigrati, quindi meno criminalità”. Non è vero affatto.
È cosi importante nella descrizione giornalistica di chi commette un reato la sua provenienza?
No. Questa mattina parleremo di un libro che è molto interessante (“Parole sporche” di Lorenzo Guadagnucci, Altreconomia, 2010 ndr). Ad esempio, quando si vede un resoconto, un articolo in cui viene messo in risalto: “romeno sorpreso a rubare” oppure “incidente stradale: romeno va a sbattere contro una donna”, l’autore propone di sostituire queste identificazioni di nazionalità con altre tipo marchigiano, calabrese, milanese. È assolutamente ininfluente e non deve essere messa la maggior parte delle volte una simile caratterizzazione. Una persona che commette un qualsiasi cosa, buona o cattiva, è una persona, non ha senso scrivere la sua provenienza. Invece questo nel caso dei rom e degli immigrati si fa.
O dei meridionali
È vero, anche se molto meno che in passato. Ma se un napoletano qui nelle Marche va a sbattere viene scritto “napoletano…”. È un malcostume veramente insopportabile.
Come la criminalità quotidiana fa più paura di quella organizzata, cosi le redazioni dei quotidiani locali fanno più danni di quelli nazionali per quanto riguarda la coltivazione di questa paura. Però nei dibattiti pubblici con i caporedattori locali, loro tra le altre cose, non accettano di non inserire la provenienza nella descrizione di chi commette un reato. Dicono di non avere nessuna responsabilità e di fare il loro dovere, quindi fare informazione.
Purtroppo c’è. Qui l’autore del libro lo chiama il “linguaggio del potere” che viene proprio recepito se come fosse naturale, senza riflettere. Questa è una tendenza che esiste e i famosi caporedattori applicano con tranquillità senza mai porsi nessun problema, come se porsi quel problema significasse vendere meno giornali o attentare alla libertà di stampa. Invece bisogna insistere, essere da una parte lettori meno passivi, dall’altra chi ha modo, voglia di essere più attivo perché fa il giornalista, sta all’interno di una redazione o anche fuori dalle redazioni, deve cercare un confronto.
Già parlarne pubblicamente, e invitare a parlare queste persone in modo civile, secondo me, questi stereotipi piano piano vengono abbattuti. C’è bisogno di un grande attivismo su questo, un attivismo tranquillo senza pretendere di cambiare il mondo in un mese, però bisogna cominciare perché è assurdo. Scrivere “clandestino” non aggiunge nulla, è una questione di buonsenso, di riflessione molto semplice. È vero quello che dici, purtroppo la situazione è questa.
Oggi, sentiamo parlare molto di informazione corretta. Esiste veramente? Se si quale potrebbe essere una sua definizione? Non è meglio forse parlare di informazione responsabile?
Sì, è meglio parlare di informazione responsabile perché la correttezza è un po’ come la verità, è difficile da raggiungere completamente. Uno non dovrebbe lavorare come un pilota automatico, dando tutto per scontato senza arrivare all’eccesso di porsi il problema di come usare ogni parola, però percorrere e tentare tutte le fonti possibili e non fermarsi, ad esempio, soltanto a quelle delle forze dell’ordine è possibile. Invece spesso ci serva soltanto di queste per quanto riguarda la criminalità.
Io credo nella responsabilità personale sia importantissima perché nel momento in cui uno scrive l’articolo è solo. Poi è vero che perverrà il titolista, però il titolista titola un articolo e può falsarlo fino a un certo punto, se un articolo è fatto bene. Quindi la responsabilità personale è fondamentale. Dire “ma tanto io non posso influire più di tanto” è un alibi.
Un’ultima domanda sulla Guida che ritengo uno strumento molto utile. Quando inizierete a pubblicarla annualmente, fare una pubblicizzazione più capillare come quella del Dossier Immigrazione della Caritas/Migrantes e inserire tra le 13 macroaree anche un capitolo sulle donne?
Quasi sicuramente nella prossima guida metteremo un capitolo sulle disparità di genere. Farla annualmente è una pubblicazione molto faticosa. Noi la facciamo nelle pieghe del lavoro quotidiano che è massacrante.
Questo è un primo ostacolo quindi per farlo annualmente bisognerebbe creare un settore apposta per la guida che settore deve essere autosufficiente economicamente significa tanto. Riconosco che ci sono molto potenzialità per questa pubblicazione anche nella sua edizione online. Noi non siamo in grado di portarla in libreria, la vendiamo solo online. È una fatica immane presentarla ovunque. L’equipe del Dossier Caritas fa solo quello e poi hanno la rete Caritas, noi siamo una realtà più piccola.
Intervista rilasciata il 28 novembre 2010 nel corso del Seminario di formazione per giornalisti intitolato “Oltre l’apocalisse. Come non farsi imprigionare dalla paura del nuovo”.
Il Seminario arrivato alla XVII edizione, è organizzato annualmente dal Redattore Sociale presso la Comunità di Capodarco.