Nonostante siano la principale confraternita islamica in Albania e Kosovo e ben sviluppata anche in altri paesi, i bektashi rimangono una realtà poco conosciuta e ancor meno studiata. Proviamo a fare un po’ d’ordine, ben coscienti della complessità del fenomeno e delle diverse sfumature che lo caratterizzano.
Iniziamo con il sottolineare, che non vi è accordo tra gli studiosi, su come “catalogare” questa realtà.
È una setta, un ordine, una confraternita o una vera religione? Dipende a chi si pone la domanda: la risposta cambia in relazione alle convinzioni che ognuno si è fatto. Con queste premesse, va da sé che non ci sia accordo neanche sulla sua genesi: in verità, le fonti storiche principali attribuiscono al mistico persiano Ḥājjī Baktāsh Veli il ruolo di fondatore.
Quello che è certo, è che la setta prende piede velocemente durante la dominazione ottomana, specialmente sul versante balcanico. Non a caso, è la religione praticata dai giannizzeri i quali, in stragrande maggioranza, provengono dai paesi balcanici. I nuovi soldati (yeŋiçeri significa, letteralmente, “nuovi soldati”, sono un corpo d’élite formato nel 1363 circa) interagiscono bene con la confraternita, che non pone limiti noiosi, ai loro occhi e per la loro cultura, come “non uccidere”, “non rubare” o “dover pregare” più volte al giorno. I destini dei yeŋiçeri e dei baba avranno sempre un filo indelebile che li legherà, dalla fondazione fino all’estinzione del corpo speciale. Addirittura, c’è chi sostiene che i giannizzeri altro non siano che il braccio armato della setta religiosa. Teoria che, seppur fuorviante, sembra avere a proprio favore valide argomentazioni. La decadenza della setta arriva, non per caso, in concomitanza con quella dei giannizzeri. Il problema è che in fatto di scelta del sultano i giannizzeri hanno si sono montati la testa, infatti poi la perdono. La fine dei giannizzeri e dei bektashi in Turchia si insinua, in realtà, in un momento di radicale trasformazione dell’impero, che guardando con occhio più attento l’occidente, si scopre inferiore. Cerca, quindi, di importare tutto quel che può, tagliando rami secchi dove è necessario. Il corpo dei giannizzeri si scioglie nel 1826, con il massacro di circa 30.000 soldati, cosa che cambia lo status della setta dei bektashi, dichiarata fuorilegge in tutto l’impero. L’evento, con la nonchalance e quell’umorismo che contraddistinguono la regione, viene denominato il “fortunato incidente”! Oops.
I bektashi, però, fuorilegge più sulla carta che nella realtà, trovano una relativa tranquillità spostandosi ai margini dell’impero. Così, si insediano in Albania, dove trovano terreno fertile per vari motivi: altri giannizzeri scampati al massacro tornano a casa, una base già consolidata, un paese tollerante e accogliente verso tutte le religioni.
Poco importa, oggi, comprendere dove inizia la tolleranza e dove finisce l’indifferenza, una costante in un paese come l’Albania, nichilista per definizione. Quel che ci interessa, è che per tutto il 1800 vi è una grande affluenza di bektashi che si sposta verso il Paese delle Aquile. Un fenomeno influenzato non poco da importanti figure albanesi, come il poeta Naim Frashëri (che come tutti i poeti dell’epoca è, per definizione, anche nazionalista). Egli vede nei bektashi una possibilità di sviluppo (di nascita, di rinascita, o di creazione, come vi pare) dell’identità albanese. È attraverso il suo libro “Fletore e Bektashinjet” (Il quaderno dei bektashi) pubblicato a Bucarest nel 1896, che l’intellettuale fa il primo tentativo serio di mettere alcuni punti fissi sulla vicenda.
Con il senno del poi, si può dare piena ragione a Indro Montanelli che, come è spesso accaduto, ha detto le cose prima e meglio degli altri. Visitando il paese nel 1939 , descriverà i bektashi come “un primo tentativo, forse incosciente, di Chiesa nazionale albanese”.
Con queste premesse, ci si mette poco a diventare la principale corrente religiosa albanese. Da un lato, la Turchia moderna di Ataturk affonda l’ennesimo colpo letale alla setta. Dall’altro, si inserisce perfettamente nei piani del Re Zog, intenzionato a modernizzare il paese, ma gradatamente, per non correre il rischio di romperlo. I bektashi, con la loro vocazione nazional-tollerante, si prestano alla perfezione a questa trasformazione. Nell’ordine bektashi tutto confluisce, tutto si confonde, tutto si espande, si inventa, sparisce e torna. Sono contraddittori, contengono moltitudini.
Non a caso, ha a che fare con loro un episodio sconosciuto, ma molto importante risalente al dopoguerra e riguardante l’omicidio di Baba Faja Martaneshi. Egli è uno dei leader più importanti della resistenza albanese, nonché un baba (ricordate quello che dicevamo sui giannizzeri che potevano tranquillamente combattere?i). Baba Faja Martanesh tenta una scissione comunista dalla Kryegjyshata, che è l’organo apicale della setta e sicuramente non è una scissione da poco: i baba potranno tagliare la barba, potranno sposarsi, potranno vestirsi con abiti non religiosi. È una rivoluzione, che va incontro alle esigenze dei comunisti, che vogliono guardare al XX secolo e non al precedente XIX. Ma è troppo! Per fare un paragone improprio, è come se un monaco a Wittenberg, potesse contraddire il Papa affiggendo 95 tesi da qualche parte. Finisce a revolverate. Baba Abaz Hilmi (Dedebaba, ossia, capo dell’ordine bektashi) fredda sia Baba Faja, che Baba Fejzo Dervishi, prima di suicidarsi. I comunisti abbandonano il progetto, masticano amaro e pensano alla vendetta. Arriverà con effetto ritardato, esattamente venti anni dopo, con l’interdizione di qualsiasi religione.
È difficile, oggi, dopo tanti anni di repressione e proibizioni, comprendere in cosa credono i bektashi, come è difficile capire, quante siano le anime appartenenti a questa religione. Dall’islam escludono le restrizioni: possono bere, non pregare e mangiare di tutto tranne – vai a capire tu perché – la carne di coniglio. C’è un’anima quasi comica, che rasenta l’espressione “Tu come la vedi?” Nonostante i vari tentativi, è difficile capire in cosa credono i bektashi e in cosa non credono e, soprattutto, se sono seri o se stanno scherzando. Perché, ovviamente, c’è anche una componente quasi yiddish con le sue barzellette. Tipo: un hoxha (iman) sta parlando ai suoi fedeli degli effetti negativi dell’alcool, mentre è presente anche un baba che ascolta incuriosito: “Se mettete davanti a un asino un contenitore di acqua ed una di raki [bevanda tradizionale albanese, inspiegabilmente non ancora inclusa nella convenzione di Parigi che vieta l’uso di armi chimiche] cosa beve?” “Acqua!” Rispondono i fedeli “E perché?” continua l’Iman. “Perché è un asino”, risponde il baba.
L’essenza del bektashismo rimane difficile da cogliere, come le storie a metà tra il sublime e il patetico, al limite del zen. Un esempio: una volta, un fedele andò dal baba e gli chiese come fare per poter essere un buon bektashi. Allora il baba, esaminato l’uomo e venuto a sapere che si comportava bene in famiglia, che era onesto, che non maltrattava i suoi animali e faceva la carità disse “Vai, non ti serve il mio aiuto, sei già un buon bektashi!”
Un punto fermo, per quanto antico, sono ancora le frasi messe nero su bianco da Naim Frashëri nel suo Fletore: “Fai il bene e astieniti dal male. Queste parole sono l’essenza della fede Bektashi” oppure “In questa fede regnano la verità, la giustizia, la saggezza e tutte le virtù. La fede dei Bektashi è un ampio cammino che conduce all’illuminazione: saggezza, fratellanza, amicizia, amore, umanità e tutte le virtù. Questo sentiero è percorso da un lato dai fiori della saggezza e dall’altro dai fiori della verità. Nessuno può essere un vero Bektashi senza saggezza, verità e fratellanza. Per i Bektashi, l’universo è Dio stesso. In questa vita, l’uomo è un rappresentante di Dio. Le buone azioni dell’uomo rivelano il vero Dio, gli angeli, il paradiso e tutte le virtù. Le cattive azioni rivelano il diavolo, l’inferno e tutti i vizi”. E ancora: “I Bektashi credono che l’uomo non muore, si limita a cambiare, a fasi diverso ma è sempre vicino a Dio, perché il padre è nascosto nel figlio. Chi fa del bene trova il bene. Chi fa il male, trova il male. Coloro che si allontanano dall’umanità, dimostrano di essere bestie” oppure “L’uomo e la donna sono uguali e non divorziano […] Le donne non mettono il velo e non si coprono, se non il velo della modestia e dell’onore”.
Il bektashismo è, infine, l’unica religione a rifiutare la modernità. Niente instant book, niente podcast di successo o anche non di successo, niente Bektashi for dummies, nessun profilo Twitter dei vari baba, alcun video consiglio su “Come diventare un bektashi in 10 passi”, e simili amenità, niente di niente, se non qualche appunto in qualche blog dedicato ai viaggiatori o vecchi libri introvabili.
Wikipedia in italiano dedica 564 parole alla fede. Per dire, Wikipedia Friends dedica a Marcel, la scimmia che ogni tanto appare in Friends, ben 577 parole e Marcel non è neanche tra i protagonisti, è una scimmia vivaddio. Anche su questo aspetto, la setta albanese rimane unica, come se rifiutasse l’integrazione. Niente messe in cui parlare ai fedeli, niente attività che coinvolgano il quartiere, niente proselitismo. I teqqe sono luogo di pellegrinaggio più che luogo di culto, non sono stati pensati come luoghi di istruzione ma come luoghi di passaggi. Se vuoi sapere qualcosa in più devi essere fortunato, magari ti imbatti nel baba che gira nel tuo quartiere oppure è un cugino di un tuo vecchio compagno di classe e lo trovi al bar che beve il raki. Allora puoi parlarci, chiedere e ti risponderà, ma occhio, potrebbe prenderti in giro.
Forse, cogliere l’essenza dei bektashi significa cogliere quella dell’Albania. La fede e il paese si sovrappongono, si completano e si perfezionano a vicenda. Si influenzano come vasi comunicanti, si specchiano e si trovano uguali, si amano.
Perché alla fine è proprio questa l’essenza del bektashi. Provare a fare il bene nonostante tutto, nonostante sia difficile. Tollerare, cosa che a volte non basta e allora serve andare oltre. Avere la consapevolezza che i fedeli, tutti i fedeli sono tuoi fratelli, nonostante il nome che usano per invocare il loro Dio. Conoscere una verità molto semplice: alla fine devi misurarti solo con te stesso, con i tuoi limiti, con le tue paure e con le tue speranze e solo per questo verrai giudicato. E, se proprio vogliamo chiudere in bellezza, non prendersi mai troppo sul serio.
- Libro consigliato: The Albanian Bektashi: History and Culture of a Dervish Order in the Balkans (edizione inglese, di Robert Elsie)
- Video consigliato: I bektashi d’Albania (di Arber Agalliu)