Una delle pagine che seguo su Facebook aveva pubblicato ieri una notizia presa dal sito di Repubblica.it. Il titolo recitava: “Travolge mamma e bimba e poi si dà alla fuga: arrestato”. Chi gestisce quella pagina faceva polemicamente notare che l’articolo in questione non diceva “Italiano travolge mamma e bimba e poi si dà alla fuga”.
Qualcuno di quei signori che scrivono i bellissimi manuali di giornalismo obietterebbe che infatti la nazionalità del guidatore è un elemento secondario e che non solo non andava messo nel titolo ma al massimo tra gli elementi meno importanti dell’articolo, quelli che di solito trovi verso la fine.
Giusto! Ma allora perché quando il crimine è stato commesso da un cittadino straniero la sua nazionalità scavalca improvvisamente tutti i paragrafi del pezzo per essere sottolineata in bella evidenza addirittura nel titolo? Che fine fa in questi casi la deontologia giornalistica?L’ultimo esempio in ordine cronologico arriva dal caso “Yara”, la ragazza scomparsa nel bergamasco. Due giorni fa, tra giornali e tv non c’era titolo che non conteneva la parola “marocchino”. Improvvisamente la notizia non era più “fermato un sospettato” ma “fermato un marocchino” e quasi ovunque (non si salvano nemmeno quelli di Repubblica.it che spesso strillano contro il razzismo dei leghisti) la colpevolezza di Mohammed Fikri si dava per certa. Parlavano di un’intercettazione, prova schiacciante, e del fatto che era stato fermato mentre, su una nave, tornava a casa sua. Insomma, cercava di scappare.
Salvo poi scoprire, il giorno dopo, che la frase intercettata non c’entrava niente con il caso (“traduzione sbagliata”) e che il viaggio verso il Nordafrica il 22enne Mohammed lo aveva programmato da tempo. Ora, nemmeno a farlo a posta, la nuova pista delle indagini punta su due italiani.
Intanto, per l’ennesima volta l’intera comunità marocchina che vive in Italia si è sentita puntare il dito a dosso. Sono tornate le solite frasi “via gli stranieri dall’Italia” che “vengono qua a rubarci il lavoro e stuprarci le ragazze”. E di conseguenza i marocchini di Bergamo a sottolineare che sono della brava gente che cerca solo di lavorare. A noi, invece, tornavano in mente gli anni quando “rapina in villa” nei titoli dei giornali era rigorosamente seguita dalla parola “albanese” e “stupro” o “violenza fisica” seguita da “rumeno”. E d’istinto abbiamo cercato di non farci scappare la erre moscia per evitare la classica domanda “Di dove sei?”. Che poi ti tocca precisare che lavori o studi in Italia da anni e che le ville, “guarda, non so nemmeno come sono fatte”!Per ora pericolo scampato. L’appuntamento è rinviato al prossimo TG quando, durante la pagina della cronaca, saremo sempre lì con le dita incrociate a pregare: “Fai che non sia albanese, ti prego, fai che non sia albanese”. Mentre il vicino rumeno, già lo sento, da poco tornato a casa dopo 12 ore di lavoro, ferma il cucchiaio con i tortellini in brodo davanti alla bocca e sussurra: “Noo, non mi dire che è… ah, grazie a Dio era marocchino”!A difenderci è sceso in campo anche il cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano, che ha pronunciato parole durissime, come raramente se ne sentono in giro: “Non tutti gli immigrati sono delinquenti”! Caspita, mi sento talmente lusingato che – conscio di non appartenere ad una razza superiore e comunque antirazzista per natura – in nome dei miei amici nati e cresciuti nel Bel Paese, mi viene da rispondergli: “Ma nemmeno tutti gli italiani, cardinale”!