Tirana, anni ’80.
Come tutte le donne che l’indomani dovevano alzarsi presto per andare a lavorare – e questo vale un po’ per tutto il mondo – mia mamma, la sera prima, iniziava a mettersi avanti a preparare il pranzo per il giorno dopo. Specialmente quando si trattava di preparare qualche piatto un po’ complicato oppure più impegnativo del solito, la cui preparazione richiedeva del tempo.
Ma c’era un piatto in particolare, che con tutta la dedizione di mia mamma di prepararlo bene, così come era solito per lei cucinare con cura qualsiasi piatto, a me non piaceva per niente, un ortaggio insolito, chiamato“Bamje”!
Raccontatemi pure ciò che vi sentite, ma a me – almeno da bambina – l’okra non piaceva affatto: ai miei occhi, appariva come una sorta di verdura mutante, con quell’aspetto che associavo a quello di un’erbaccia selvatica che pungeva, con dentro quei semini insipidi e strani.
Eppure in casa era una specialità molto preferita dai miei, dagli zii, dai nonni. Insomma, da ciò che risultava dai miei “sondaggi”, era un ortaggio preferito perlopiù da parte degli adulti, perché da noi bambini difficilmente veniva gradito.
Eppure, da piccola io pian piano imparai anche un’altra cosa: la convivenza con gusti, sapori, usanze e tradizioni che provenivano dai Balcani, dall’Europa e dal mondo. Ma non solo in quanto in Albania, noi, il popolo intero, abbiamo convissuto con religioni diverse, usanze e costumi diversi, ma anche per un motivo ben più preciso.
Ad esempio le mie due nonne, in quanto all’ortaggio in questione, l’okra, lo chiamavano ognuna in un modo differente, tutto suo:
la nonna turca, ma che era cresciuta in Grecia, l’okra lo chiamava “ bamia”, invece l’altra nonna, l’italiana, l’okra lo chiamava “bammia d’Egitto” oppure “corna di greci”. Quest’ultima aggiungeva anche che, in Italia, non conoscevano o cucinavano più di tanto quest’ ortaggio, ma ad ogni modo, veniva coltivato specialmente nel sud del paese.
Che definizioni e nomi strani per un ortaggio!
Ma forse, spontaneamente e senza dedicare loro una particolare importanza, questo sarebbe diventato per me, un modo per acquisire ed immagazzinare già dalla tenera età, informazioni, curiosità e avrebbe contribuito ad offrirmi un orizzonte che avrebbe oltrepassato i confini dell’Albania, anche se nonostante solo attraverso l’immaginazione, nonostante soli alcuni ambiti, certamente quelli inerenti agli interessi della determinata età che avevo, solo attraverso i racconti delle mie due nonne.
Dovrei altrettanto ammettere che l’immaginazione, non sempre rimaneva passiva, ma, entro le possibilità, si concretizzava, prendeva forma, specie nello sperimentare – per quanto riguarda la gastronomia ad esempio – qualche specialità tipica di un’area o di un’altra.
Ma tornando alle “Bamje”, quelle proprio no!..
Benché preparate con cura dalle mani di mia mamma, lessate, accompagnate con dello spezzatino di vitello, immerse in un sughetto di pomodoro fresco, condite con olio d’oliva, aromatizzate con delle spezie, sebbene tutto era genuino e questo non significava poco, a me diventavano lo stesso, non dico un incubo, ma pressappoco..
Quel verde ortaggio, non avrebbe mai visto accendersi una lucina verde di considerazione ai miei gusti culinari.
A quel punto, per il pranzo di quel giorno – falliti i tentativi dei miei nel convincermi a mangiare le bamje- contemporaneamente senza sforzarmi e senza necessariamente definire come “un capriccio” il mio rifiuto di assaggiare questo ortaggio particolare, mi organizzavo a modo mio e le opzioni erano: o si improvvisava in cucina qualche altra cosa solo per me, o andavo a pranzo dalla nonna, oppure dalla vicina di casa!
L’okra viene chiamato in Italia “bammia d’Egitto” oppure “corna di greci”, in Spagna “ ocra”, in Russia “bamija”
E già: andare a pranzo dalla vicina di casa oppure, invitare in casa propria i vicini a mangiare e tutto ciò, senza bisogno di preavvisi, inviti, cerimonie o complimenti vari, era un’altra usanza nostra.
Per cui, la vicina, se mi vedeva arrivare, immaginava che a casa mia il pranzo di quel giorno consisteva in “bamje con spezzatino di vitello”. Non solo perché stessa cosa valeva anche per la figlia della vicina, la mia amica, la quale “ricambiava” venendo a mangiare da noi quando a casa sua, altrettanto quel determinato giorno, a pranzo o a cena, ci sarebbe stata una specialità che non era di suo gradimento, ad esempio “fasule”- i fagioli, ma diciamolo pure: era anche un modo per stare in compagnia, improvvisando e mangiando assieme con i nostri amici, cosa che portava sempre solo della soddisfazione.
L’okra, nel mercato qui in Italia si trova, anche se in piccole quantità, più che altro è richiesta dagli immigrati provenienti da quei paesi in cui l’okra è conosciuta e consumata: dagli asiatici, dagli africani ed anche da noi, provenienti dei Balcani, soprattutto albanesi, rumeni, turchi e greci. Si vende sia come ortaggio fresco, che conservato in barattoli o vasetti, già lessato e condito.
Gli immigrati, inevitabilmente, in ogni paese in cui vanno – e questo non vale solo per coloro che portano con se l’okra, ma per qualsiasi altra specialità tipica – qualunque sia il paese di provenienza, portano altrettanto un fascino ed un misto di sapori che, se sanno trasmetterli nel modo giusto nel paese che li ospita, diventano da tramite tra i loro luoghi lontani di origine ed i rapporti umani con la gente del posto, rapporti che oltrepassano ogni diversità per cultura, lingua, colore della pelle, usanze, religioni o costumi.
L’okra viene chiamato in Italia “bammia d’Egitto” oppure “corna di greci”, in Spagna “ ocra”, in Russia “bamija”, ecc.., ma per quanto riguarda termini come: “rispetto – cultura – altrui”, interpretati in qualsiasi lingua del mondo, il significato, alla fin fine, dovrebbe risultare sempre lo stesso.
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