Da sempre il piacere di gustare il cibo unisce le persone, ma nella nostra quotidianità le specialità culinarie delle culture altrui possono diventare motivo di lamentele nei condomini, nonostante gli ingredienti utilizzati siano gli stessi.
Oso dire che vivo beatamente in un condominio multiculturale in cui ogni domenica per le scale si sente una musica diversa in ogni piano e una miriade di profumi che attira verso ogni porta. Tra le tante famiglie italiane e straniere, sono 6 quelle albanesi, inclusa la mia. Dall’altra parte, non mancano le lamentele dei vicini italiani tanto da trasformare le riunioni condominiali da incontri sulle problematiche della manutenzione e il rispetto del regolamento condominiale a incontri di critica sulla cucina. Le classiche rimostranze riguardano l’uso “esagerato” della cipolla, dell’aglio, delle spezie e l’odore della frittura che mia cugina utilizza per le nostre amate frittelle. Motivo di vivace discussione è sopratutto la posizione di alcuni che considerando la conservazione della tradizione culinaria una mancanza di integrazione e adattamento, scatenando il dissenso di chi va fiero delle propria cultura.
Giacché si tende a notare le differenze con toni biasimanti, ergo una riflessione oggettiva sulle tante somiglianze di base che la cucina albanese ha in comune con quella mediterranea più famosa: la cucina italiana. Indubbiamente, è usanza di entrambe le cucine servirsi in molte ricette del soffritto, la cui preparazione inizia con la cipolla. Non mi pare di aver letto o ascoltato che qualche chef o cuoco italiano ne sconsigli l’uso, casomai tutti sostengono e consigliano il contrario. Protagonista di molte leggende per la sua efficacia nello scacciare vampiri e diavoli, fino a poco tempo fa, nelle campagne italiane si usava appendere una treccia di aglio alla spalliera del letto. Anche in quelle albanesi si incontra la stessa usanza ma per tenere lontano il malocchio. Ricordo e cito volentieri il grande Professore dell’Amore Leo Buscaglia che orgoglioso delle proprie origini italiane, racconta spesso nei suoi libri di come sua madre lo obbligava a portarsi addosso uno spicchio d’aglio. La signora era convinta che tenesse lontano le malattie, mentre il figlio che tenendo lontano ogni bambino dall’odore, evitava anche il rischio di contagio dai virus. Lo stesso rito era comune anche in Albania, fino a tardi. Mi ricordo di una mia amica d’asilo particolarmente magrolina e malaticcia che portava nelle calze un spicchio d’aglio.
Dall’altra parte le piante della cipolla e dell’aglio sono famose sia in Italia che in Albania sopratutto per le proprietà curative e il gusto particolarmente dolciastro e apprezzato. Nel succo di cipolla sono presenti in abbondanza sali minerali come il potassio, il calcio, il ferro, il sodio e il fluoro. L’aglio invece, e’ dotato di una notevole attività antibatterica e agisce contro i radicali liberi esercitando effetti benefici nel contrastare l’arteriosclerosi, l’ipertensione, il diabete. Nella gastronomia, sono utilizzate per innumerevoli ricette italiane e albanesi. Immancabili in zuppe, minestre, sughi e nei piatti unici di verdura e carne, che frequentemente si trovano nella cucina albanese.
Per quanto riguarda le spezie, è consueto adoperarle in entrambe le cucine albanese e trovo equilibrato e gradevole il loro utilizzo. Ad esempio, particolarmente profumata è la nostra paprica dolce che nella famosa zuppa di fagioli albanese sarebbe “la morte sua”. Il pepe, Re delle spezie, è onnipresente in tantissimi piatti italiani ed albanesi specialmente di carne e selvaggina. Della cannella, mia nonna ne faceva un multiuso: dai dolci come il syltiash (con riso e latte) fino a usarla come deodorante, sostituendo il classico Eau de Toilette. In Italia, la cannella è da tempo simbolo delle feste natalizie, presente in molti dolci.
Tante altre spezie regalano lo stesso profumo ad altri piatti della cucina albanese e italiana. Un tempo, le spezie erano molto preziose e ricercate, avevano un costo proibitivo e rappresentavano molto spesso uno status symbol della cucina di corte. Circondate da un alone dimistero, si credeva che crescessero sugli alberi del Paradiso terrestre! Divenute curiosamente, motivo di lamentele, ricordo che per i grandi chef occidentali, sono ancora sinonimo di una certa apertura. Essi, giocano con la loro variazione di aromi, sapori e colori.
La domenica sa di vera festa quando il profumo delle frittelle di mia cugina, si espande arrivando fino a casa mia. Alcune volte si risveglia in me il bellissimo ricordo del centro di Tirana affollato, con le file delle persone di fronte ai chioschi in cui si vendono frittelle senza sosta. Altre volte, mi viene in mente l’atmosfera gioiosa del carnevale italiano: quei giorni che si tingono di mille colori ma anche di mille sapori. Dolci come le frittelle, le chicchiere, gli struffoli, tutti rigorosamente fritti, mi hanno reso la festa ancora più amata. Molto famoso e apprezzato è il fritto misto di pesce all’italiana che risulta complicato cucinarlo anche perché significa sopportare l’odore del misto pesce che il mio amico Chef Cristian chiama profumo.
Le mie intenzioni sono quelle di trovare e sottolineare le somiglianze, ma non per questo considero le differenze come ostacolo. Al contrario, sono fermamente convinta che sono le diversità ad arricchirci di più con le loro novità e varietà. Pertanto non vedo nessun problema nell’accettare i sapori e gli odori delle rispettive cucine. Noto invece un’ Italia (specialmente del Nord) che sta trascurando la sua amata cucina con la conseguenza di non godere neanche del calore familiare che essa dona da sempre. Gli appartamenti cominciano ad avere al posto della cucina, angoli cottura che bastano appena per riscaldare qualcosa e spazi ridotti che contengono giusto qualche stoviglia! Innegabile il fatto che ristoranti e rosticcerie sono sempre più piene e le case sono sempre più vuote. I sughi pronti sempre più presuntuosi di essere il meglio, invadono negozi e case. Evidente quindi che non sono gli odori causa di contrasto semplicemente perché presenti in ogni gastronomia degna di essere chiamata come tale. Le divergenze e le insofferenze credo proprio derivino da altrove e una ragione di non poco conto è la trascuratezza della famosa tradizione della cucina italiana di casa.