I Beatles erano in quattro, ma noi siamo capitati in cinque. Eravamo al nostro terzo anno, al Politecnico di Tirana. Siamo al Lago artificiale, un luogo che amavamo moltissimo, il più bello della nostra giovinezza. È il giorno delle prove generali per la sfilata del 1 Maggio 1983.
Era imbarazzante per noi del Politecnico, in quegli anni, mettersi in posa come i cocchi della mamma e sedersi davanti al fotografo in tute bianche e scarpe da ginnastica, proprio come greggi di pecore. E, inoltre, per una festa che ci interessava solo perché, durante le prove, aumentava la possibilità di conoscere qualche ragazza dei licei.
Perché, è noto che nel Politecnico di quegli anni c’erano così poche ragazze, quanti sono i parlamentari saggi nel parlamento albanese, oggi.
Ho insistito io per la foto, come si vede anche dall’ aspetto più felice, lì. Non ne abbiamo una insieme, ho detto agli altri, ci vuole un ricordo. E oggi, quando guardo questa foto, sono convinto di aver avuto ragione.
Ma non tutti noi avevamo 1,3 lek addosso, tanto quanto costava una foto a persona. Gimi, quello di mezzo nella foto, era anche un sarto. Guadagnava qualcosa lui, quindi, è stato lui che ha pagato la maggior parte dei soldi. Era la banca del gruppo, Gimi, non si risparmiava mai per noi altri.
Il primo ad andarsene fu Arjan, quello a sinistra. È quello che guarda il fotografo con poca convinzione. Dopo 18 mesi dal giorno di questa foto, nel settembre 1985, andò da Gimi e prese in prestito 10 lek. “Andrò a fare il volontario nella costruzione della ferrovia”, le disse. Invece, andò a Scutari. Attraversò a nuoto il lago, di notte. Fuggì in Jugoslavia.
Oggi vive negli Stati Uniti e nessuno di noi l’ha mai incontrato di nuovo.
Il secondo fu lo stesso Gimi, nel luglio 1990. Andai a casa sua come tutte le mattine e non lo trovai a cucire, come al solito: era fuori e mi aspettava davanti al bar del suo quartiere.
“Sapevo che saresti arrivato”, mi disse. “Sono venuto per salutarti”, gli risposi, “io non vengo ad entrare nelle ambasciate straniere. Tu lo sai, io andrò da mio zio negli Stati Uniti, con un passaporto e non come un bandito”. Era una bugia, avevo paura.
Mi ha pregato di prendermi cura dei suoi genitori anziani e, dopo che ci siamo abbracciati, è salito sull’autobus e se ne è andato verso il centro. È entrato nell’ambasciata tedesca, quel giorno. Oggi vive a Dortmund. Ci vediamo spesso con Gimi.
Il terzo sono stato io. Arrivai in Italia con le navi del marzo 1991.
Il quarto era Nini, nella foto è in alto, accanto a me. Era figlio di uno noto scrittore e sceneggiatore. Alla fine degli anni ’80, era il più grande specialista nell’accompagnarsi e fare amicizie con i turisti stranieri a Tirana. Era folle nel suo coraggio, le sue avventure con loro sono tra le più grottesche. La più eroica è quella con un giornalista svizzero, al quale, in una sera d’inverno del 1989, rilasciò un’intervista politica registrata con un registratore tascabile. Al cortile della scuola Ali Demi, sempre a Tirana…
Lo svizzero non dimenticò il pericolo che Nini assunse e nel ’91, lo aiutò a rifugiarsi in Svizzera. Vive lì, anche oggi. L’ho incontrato solo una volta.
Perfino il quinto, Petrit, pochi mesi dopo, fuggì nei Paesi Bassi. Rimase lì per molti anni, si specializzò ed oggi è uno dei migliori fisioterapisti di Tirana. Ci siamo visti nel 2015, in una delle mie rimpatriate a Tirana.
Oggi, su Facebook, ho visto di nuovo questa foto. Mi sono ricordato della scuola e della giovinezza, per dei minuti interi ho vissuto di nuovo gli eventi di quegli anni. Mi sono commosso, tanto erano forti le emozioni.
Poi, mi sono sentito un po’ triste. Forse, mi sono dato coraggio, verrà di nuovo il giorno per ripetere questo bellissimo ricordo.
Fino ad allora, buona fortuna ragazzi!