[ ] Proprio perché Natale tradizionalmente si trascorre in famiglia o con amici stretti, questo periodo di festività potrebbe trasformarsi in un ritaglio di tempo prezioso per includere dei nostri cari che non ci sono più, tra cui, nel mio caso, un’amica d’infanzia, scomparsa a novembre dell’anno scorso a soli 46 anni, perdendo la battaglia con il cancro: Hueyda El Saied…
In prossimità delle feste di fine anno, si sa, automaticamente facciamo una sorta di bilancio dell’anno che stiamo per lasciare alle spalle e, al contempo, cuore e mente si dirigono verso ampi spazi lontani, in cui si trovano delle persone a noi care, le quali non ce le abbiamo più fisicamente accanto.
In questo modo, è accaduto che i miei sentimenti di affetto, misti con del dolore, perché no, con della rabbia, per la sua scomparsa così prematura, mi abbiano trasportata nel ricordo di una cara amica d’infanzia, la quale purtroppo l’anno scorso, a novembre ha perso la battaglia contro il mostro cancro, all’età di soli 46 anni.
Lei si chiamava Hueyda El Saied.
Era nata a Tirana e siamo cresciute insieme, eravamo amiche e vicine di casa.
Aveva origini miste sudanesi- turche e scutarine.
Inoltre, era un’artista eclettica, una persona carismatica, molto nota e amata specie per la generazione degli anni ’90 in Albania.
Quando aveva pubblicato sul suo sito un pezzo scritto in lingua albanese con racconti d’infanzia trascorsi nella nostra Tirana, rivolti a dei suoi amici francesi, i quali frequentava all’epoca laddove viveva, me lo aveva segnalato e mi aveva fatto commuovere molto.
Devo dire, mi è venuto spontaneo oggi tradurre un passaggio proprio di quel suo testo in italiano, adattandolo dall’originale, per condividere il suo ricordo anche con coloro che non sono albanofoni.
Spero di esserci riuscita almeno un po’.
Ora la mia amica, artista eclettica qual era, sarà forse preparando un dipinto in tema natalizio con gli angeli in Paradiso…
Di Hueyda El Saied.
Tradotto in italiano da Adela Kolea.
“[…] in effetti, i ricordi d’infanzia, costituiscono proprio quei momenti peculiari, in cui non posso sentirmi totalmente inclusa in quelli che riportano i racconti dei miei amici francesi sulla loro rispettiva infanzia.
Quindi, rendendosi conto che io non sono nata in Francia come loro, incuriositi iniziano a farmi delle domande:
“Ma, voi in Albania, con cosa giocavate da piccoli?
Chi era il “Casimir” albanese (noto personaggio televisivo per bambini in Francia)?
Qual era il tuo dolce albanese preferito dell’infanzia?”
Qui ha inizio il mio lungo viaggio nella mente, in cui le lancette dell’orologio girano in senso inverso.
Per un certo verso, sono consapevole del fatto che loro capirebbero a fatica il meccanismo ingegnoso di alcuni dei nostri giochi d’infanzia, per loro, inimmaginabili, per cui cerco in tutti i modi di semplificarne la descrizione pratica.
Il posto in cui, per strada noi trovavamo dei piccoli sassolini molto facilmente per giocare, oggi, qui dove mi trovo, lo ha soppiantato un terreno ricoperto di bei sassi colorati, quindi io distendo la mano sinistra, tenendone nel palmo alcuni di essi e inizio a raccontare loro del nostro gioco d’infanzia con i sassolini, “Guraçokthi”, poi racconto loro l’altro gioco con un sasso piatto che colpivamo con precisione col piede, da incastrare in delle caselle già disegnate per terra col gessetto, “Me peta”, analogo al gioco “Della campana”, poi dei giochi all’aperto con la palla, come la “palla prigioniera” o “palla avvelenata” – “Topa djegësi” in albanese, in cui un battitore scaglia la palla contro gli avversari ecc; “Topa rrasash”, praticamente posizionando dei sassi piatti, facili da impilare, in una pila precaria da abbattere con un pallone; “Kaladibrançe”, in cui praticamente, i ragazzini di una squadra si posizionavano in fila, uno dietro l’altro, piegati con le mani sulle ginocchia e le teste in giù a creare una specie di muro umano.
Gli altri dovevano saltare sopra questo cavalletto allungato, con regola: stare in equilibrio e non cadere.
In questo modo, i miei amici francesi sono rimasti molti affascinati dai miei racconti.
Per la verità, mi afferra una forte nostalgia in questi momenti, mi commuovo, ma dagli sguardi dei miei amici comprendo che loro vogliono sapere ancora dell’altro sulla mia infanzia trascorsa in Albania.
E, dopo i giochi all’aperto, nella mia memoria tornano i pomeriggi in compagnia dei personaggi televisivi o fiabeschi, il “Casimir” albanese, identificato con i noti personaggi per bambini albanesi della mia generazione, “Çufo e Bubi kaçurrel” (un maialino ed un barboncino), ecc.
“Ma allora, tornando ai dolci albanesi, ci dici quali erano i tuoi preferiti?”
Come posso dimenticarmi delle paste, dei torroncini, le caramelle famose “Zana”, corrispettive delle “Susanna” italiane; della frutta congelata fuori stagione “Uva o cachi congelati” – ” Rrush e hurma frigoriferi”; il cosiddetto “gelato invernale”, non freddo, ma un cono con della crema, panna e canditi….
E qui loro intervengono scherzando:
“Ma, il gelato, quello freddo per antonomasia, estivo invece, ce l’avevate?”
Ma che domanda è questa?
Noi avevamo quello migliore, ce lo portava il mitico gelataio Gega, la cui voce mi rimbomba tuttora nella testa e che arrivava in quartiere con il suo carrettino, urlando: “Akullore!” – “Gelati!”
Ah, quanto mi sarebbe piaciuto mangiare ora una pasta, detta “njëzetëshe”, riferita al prezzo di 20 lek, per di più che me lo merito, in quanto ho lasciato a bocca aperta i miei amici francesi con la mia narrazione, ma a questo punto potrei offrire loro per dissetarsi, una nota bevanda fresca della nostra infanzia in Albania, dal nome proprio sprezzante del caldo, “Vapik”, che si interpreterebbe come “Caldo, vattene via.”
Così, loro si riprenderebbero…”