Osserviamo notizie particolari, piccole diatribe locali che però offrono il metro di dinamiche più ampie, poco leggibili alle volte dato il magma percettivo e la fumosità che avvolge la nostra epoca ma ugualmente concedenti qualche possibilità interpretativa.
Trattiamo di aree meravigliose, acque e paesaggi che hanno reso tanto amata quanto sfortunata la terra di Sardegna, ma non solo. Trattiamo delle paventate “invasioni” dei migranti provenienti dal Nord Africa che qualche affare l’hanno già prodotto.
Potenti radar a microonde prodotti in Israele infatti, stanno per essere installati all’interno di parchi e riserve naturali del Sud Italia per contrastare il fenomeno dell’immigrazione..
Diciotto per l’esattezza. Nuove strutture che spingono l’Europa ad immaginarsi sempre più come a una Fortezza che si protegge dagli sbarchi di “pericolosi” esseri umani mentre allo stesso tempo, affonda le speranze dei propri cittadini, tra tagli di bilancio e nuove chiusure identitarie. Quest’Europa che si “protegge” lo fa, pensando di bandire un mega appalto per disseminare le coste del Mediterraneo di nuovi Radar antibarcone.
Un investimento consistente – si parla di milioni di Euro – indirizzati verso quel settore dell’economia rintracciabile sotto il nome servitù militari. A garantirsi il ghiotto boccone è l’Almaviva Spa, compagnia privata specializzata nel campo delle politiche “sicuritarie” di contrasto all’immigrazione, la stessa per intenderci, che ha collaborato con il governo nella realizzazione del permesso di soggiorno elettronico e che conta tra i suoi clienti oltre alla guardia di finanza, anche la Nato, l’aereonautica e la marina militare.
Ad essere colpite dalle nuove installazioni sono zone dall’alto valore paesaggistico. Quattro di questi impianti anti-immigrati infatti, verranno costruiti in Sardegna in particolare a Sant’Antioco , Capo Pecora , Argentiera e a Santa Vittoria dando così origine a dure prese di posizione di Legambiente e dei cittadini. Un’opposizione alla costruzione animata da una terra che ha già osservato il proprio territorio come vittima di usurpazioni di stampo militare tinteggiate di contaminazioni all’uranio impoverito e di ampie zone off limits.
Terra di turismo che assiste a un trasferimento di ricchezza da un bene comune come il territorio a un bene militare, guadagno per qualcuno, rovina per i più. Sembra di assistere dunque a un ritorno, o meglio a un nuovo tipo di economia di guerra (quella che al posto dei frigoriferi produceva bombe e carri armati) che si maschera dietro retoriche del tutto nuove che trovano nella parola sicurezza ogni loro legittimazione.
Dopo l’esternalizzazione dei controlli migratori a regimi dittatoriali (voce Gheddafi) l’Europa e l’agenzia Frontex si trovano costrette ad adottare altre soluzioni, tutte in sfregio di un diritto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il diritto ad emigrare (Art.13).
Sbalordisce la scelta politica, che nella sua semplicità, tra un’opzione socializzante di “turismo” e valorizzazione del territorio e un opzione militare che danneggia l’ambiente ed è volta a intercettare, per bloccarle, le speranze di migliaia di persone, l’investimento (soldi nostri) abbia scelto quest’ultima direzione.
Dietro all’angolo della memoria allora, accanto ai radar, affiorano paragoni ai bunker che maculano il territorio dell’Albania, lascito di Hoxha e di uno dei tanti poteri sordi che hanno affollato la storia.
Dovremmo cominciare a pensare che qualsiasi attività umana crea lavoro, il più è comprenderne il prezzo. Un prezzo non solo monetario, ma di consumo di territorio, o di esclusione sociale, quelle marginalità umane che il sistema attuale produce e riproduce a ritmi crescenti. Quanto spendiamo per un radar o per un centro di identificazione ed espulsione? La realtà è che qualcuno si arricchisce. Tutto semplice quando i quattrini escono dalle tasche del pubblico per riempire quelle del privato, salvo poi notare che di soldi non ce ne sono (c’è la crisi) e bisogna tirare la cinghia.
La Sardegna tuttavia è terra martoriata e sembra saperne già qualcosa delle servitù militari così, da qualche giorno, i terreni sui quali era prevista la costruzione dei quattro radar sono presidiati 24 ore su 24 dalla popolazione locale che impedisce l’accesso a ruspe e forze dell’ordine.
Dopo il secco No al nucleare quest’isola sembra offrire il proprio rifiuto anche ai radar