Prendo spunto dal referendum sui trivellamenti tenutosi il 17 aprile, che non ha raggiunto il quorum necessario per produrre gli effetti previsti dalla legge per questa tipologia di referendum, per fare alcune riflessioni in generale sul diritto di voto degli stranieri e più specificamente sulla questione rappresentanza nei comuni dove vivono.
Il giorno del referendum a diversi milioni di potenziali elettori è stata negata la possibilità di esprimere il loro pensiero su questa specifica problematica che interessa a loro quanto ai cittadini italiani. Infatti, gli stranieri che vivono in Italia e sono regolarizzati, indipendentemente dal fatto che abbiano il permesso di soggiorno oppure il Permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo (c.d. Carta di soggiorno), sono influenzati dalla continuazione dell’attività di aziende petrolifere operanti nei mari d’Italia.
Infatti, se le trivellazioni inquinano le specie marine, anche loro, comprando negli stessi supermercati degli italiani e portando in tavola questi prodotti, sono in pericolo. Loro portano i bambini al mare, se questo è inquinato, allora si mette in pericolo la salute dei loro piccoli. Alla problematica degli elettori esclusi, però, nessuno ha pensato, e sarebbe da insensati aspettarsi che venga trattato come argomento. I problemi in quei giorni sono stati tanti e le preoccupazioni molto diverse, dunque non mi dilungo qui a trattarle.
Il dibattito è molto acceso quando si parla dell’argomento “cittadinanza quando e come”, anche perché ogni cambiamento può avere conseguenze politiche rilevanti. È ormai risaputo che il diritto di votare è legato strettamente alla cittadinanza; questo principio costituzionale (previsto dall’art. 48 della Costituzione italiana) ha certamente una ratio che a priori non esclude una riflessione sul diritto di voto slegato dalla cittadinanza. Si dovrebbe fare almeno una profonda riflessione sulla possibilità di concessione del diritto di voto per determinate categorie di stranieri.
Ovvero, quelli che possiedono il Permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo potrebbero avere la possibilità di esprimere il loro pensiero in certe occasioni. Come ad esempio le elezioni amministrative dove, oltre agli italiani, hanno la possibilità di votare gli altri cittadini dei Paesi membri dell’UE. Il fatto che le persone in possesso della Carta di soggiorno abbiano mostrato una certa stabilità di permanenza in territorio italiano, legandosi sempre di più al luogo dove vivono, deve essere motivo sufficiente per avere questo diritto. Si trovano, infatti, nella stessa posizione dei cittadini: investendo i risparmi sul territorio, pagando le tasse ai comuni oltre che allo stato italiano, portando i bambini a scuola, interagiscono con il territorio e non sono rari i casi in cui parlano perfettamente i dialetti dei territori dove vivono ormai da decenni.
Se è vero che la precedente idea richiederebbe riforme profonde del sistema giuridico, ciò può essere parzialmente risolto dalle consulte degli stranieri presso i comuni.
Tale proposta è stata ben accettata in alcune città, ma non ovunque. Ovviamente motivo di accettazione può essere che la creazione di questi organi è meno complessa e con un peso politico minore. I medesimi, dove istituiti, sono stati degli organi che consigliano i sindaci e i consigli comunali sulle problematiche degli stranieri residenti, fanno presente le problematiche legate alle loro comunità e contribuiscono al processo d’integrazione. Diversi comuni li hanno istituti, come il Comune di Parma, Padova etc. (la Regione Emilia Romagna, con legge regionale 5/2004, ha creato un organo simile presso la Regione). Sempre con buoni risultati. Altri, anche se hanno una presenza molto rilevante di non cittadini, non si vogliono muovere in questa direzione. Un comune fra tutti è quello di Verona, città dove vivo. In questa provincia vivono 110 mila stranieri, pari all’11,9% della popolazione totale. Che è il numero più alto nella Regione Veneto che ne ospita 511.558, LA RAPPRESENTANZA E L’INTEGRAZIONE DEGLI STRANIERI A VERONA 2 pari al 10,4 % dei 4,9 milioni abitanti della regione. Dati, questi, presentati dal Rapporto annuale sull’immigrazione straniera in Veneto, elaborati dall’Osservatorio Regionale sull’Immigrazione su dati statistici del 2014 (la fonte è il giornale L’Arena di Verona).
Commentando questa pubblicazione i rappresentanti politici lodano la capacità di queste persone a integrarsi, il che è confermato dall’elevato numero dei nuovi italiani. Questi cittadini vivranno una realtà dove la loro voce non si è mai sentita nelle decisioni importanti. Fino a ieri non potevano votare o esprimere in nessun modo i propri dubbi, perplessità e idee. La città di Verona, in particolare, presenta diverse particolarità: affollata di turisti in ogni periodo dell’anno e abituata alla loro presenza, contemporaneamente, è governata da un sindaco che in precedenza ha militato nella Lega Nord. Partito ben conosciuto per le sue posizioni ostili a tutto quanto non sia simile alla propria cultura, lingua e tradizione e in generale alle proprie posizioni politiche. Se la linea politica del partito di questo sindaco carismatico poteva essere stato un motivo decisivo per la sua decisione di non istituire un organo di rappresentanza dei cittadini stranieri, la sua riluttanza si capisce molto meno adesso.
Negli ultimi tempi la situazione politica si è evoluta e ha visto la nascita di un partito che fa riferimento al primo cittadino. Deve essere, questa, una buona occasione per distaccarsi da linee politiche sfavorevoli agli immigrati e contrarie alla concessione di maggiori diritti.
Dall’altra parte le diverse comunità stranieri a Verona diventano sempre più protagoniste. Lo dimostrano i dati sull’imprenditoria straniera che continua a crescere velocemente in numero e fenomeni locali, ma di grande successo, come African Summer School, la scuola creata dalla diaspora africana che cerca di premiare le idee imprenditoriali aventi come riferimento il continente africano. Iniziative gradite e promosse dall’amministrazione comunale, che però da sole non sono sufficienti a ritenere che quest’amministrazione abbia fatto il massimo per l’integrazione.
Ci sarebbe la necessità che rappresentanti a conoscenza delle problematiche delle rispettive comunità che, colme di giovani laureati, professionisti capaci o imprenditori di grande coraggio e iniziativa, li presentassero in via istituzionale e continuata al Consiglio comunale e al primo cittadino. Nel mondo attuale, non ogni forma di dialogo istituzionalizzato deve essere legato al diritto di voto, che per amor del vero momentaneamente è ancora soltanto un miraggio per gli extracomunitari.