L’articolo in questione – dal titolo “Il piccolo ambasciatore di un grande Paese”, dell’opinionista Ilir Yzeiri – critica le posizioni filo governative di Arvizu e definisce il suo tour in diverse città del Paese, dove compare in Tv mentre accarezza alcuni bambini, con la parola “kinezerira” (cinesaggine).
E per contestualizzare il termine invita l’ambasciatore a fare riferimento alla “psicologia di Mao che lei conosce bene”. Il termine, di sicuro poco elegante, è entrato a far parte della lingua albanese fin dai tempi dei buoni rapporti tra l’Albania comunista e la Cina. Esso veniva usato per sottolineare la carica propagandistica e populistica del regime cinese. Nonostante l’ambasciatore Arvizu sia di origine giapponese e non cinese, l’Ambasciata Usa a Tirana ha visto il termine usato da Yzeiri come razzista (accusa fortemente respinta dall’autore) e ha accusato il quotidiano “Shekulli” di violazione dell’etica professionale. Di conseguenza ha deciso di troncare qualsiasi rapporto con il giornale, compreso l’interruzione del loro abbonamento. Inoltre, “lo staff del giornale non sarà invitato a partecipare ad attività sponsorizzate dall’Ambasciata”, la quale “non invierà più a ‘Shekulli’ comunicati stampa o dichiarazioni dell’Ambasciata”. Fin qui i fatti.
In molti, compresa la redazione del quotidiano, hanno parlato di una decisione senza precedenti. In realtà, i precedenti ci sono, specie se si vede l’attività dell’Ambasciata Usa all’interno di un contesto più largo del rapporto tra potere e media. E chiunque che conosce un po’ l’Albania sa bene quanto sia importante il suo ruolo non solo all’interno della politica ma dell’opinione pubblica in generale. Alcuni anni fa il Premier Berisha era molto arrabbiato con News24 per le sue continue critiche, al punto che ordinò il blocco dei rapporti tra il suo Partito democratico e l’emittente all-news.
I suoi giornalisti non potevano partecipare alle conferenze stampa del Pd e nemmeno ricevere i suoi comunicati. News24 riuscì comunque ad avere il necessario materiale video clandestinamente, grazie alla solidarietà di altre emittenti che glielo passavano sotto banco per la paura di subire la stessa censura.
Questo caso e quello dell’Ambasciata Usa con “Shekulli” (che è lontana anni luce da qualsiasi nozione diplomatica) dimostra chiaramente come il potere in Albania (di qualsiasi natura sia) considera i media locali. Il potere che esercita l’Ambasciata americana si rileva anche nella lettera “chiarificatrice” di Yzeiri, dove sottolinea che se l’accusa di razzismo gli veniva mossa da qualcun altro l’avrebbe denunciato e avrebbe chiesto un indennizzo.
Viene da chiedere: e perché non lo fa anche nei confronti dell’Ambasciata Usa?Lo stesso timore di non disturbare troppo si nota anche nella dichiarazione dell’Unione dei giornalisti albanesi, che sa tanto di un urlo a bassa voce. L’Unione, che di solito in questi casi è la prima ad alzare la voce e organizzare proteste, questa volta ha riconosciuto una violazione dell’etica professionale ma ha invitato le parti a risolvere diversamente il problema.
Se la “cinesaggine” – che, ripeto, non è il massimo dell’eleganza e della sensibilità – ha dato noia all’ambasciatore, in albanese abbiamo un altro modo di dire sul quale non può ribattere: “Dimmi con chi stai e ti dirò chi sei”!
E giocando da protagonista nella politica albanese, l’ambasciatore Arvizu ha imparato come trattare i nostri media, dimenticando che nel suo Paese il Presidente Obama non ha mai cacciato i giornalisti dalla Casa Bianca, nonostante alcuni media molto ostili siano sempre lì ad indagare sulle sue origini o la sua religione.
Chissà se nei suoi rapporti sulla libertà di stampa in Albania il Dipartimento di Stato Usa, oltre al caso Berisha-News24 citerà anche le disavventure del suo ambasciatore con il quotidiano “Shekulli” che, senza volerlo, ha confermato il titolo dell’articolo incriminato: “il piccolo ambasciatore di un grande Paese”.