Il 12 marzo del 1992 all’età di 66 anni scompare Martin Camaj, una figura poliedrica, una colonna della storia della lingua e letteratura albanese.
Camaj è una delle figure più note nel campo di albanologia e un grande scrittore. Nasce a Temal di Dushman a Dukagjin il 21 luglio 1927.
Le sue origini appartengono a una famiglia povera. All’età di 7 anni viene mandato a studiare al Collegio Saveriano a Scutari (Shkodër), dove riceve una educazione classica.
Al seguito, sempre a Scutari, frequenta il Collegio dei francescani e di Gesuiti. Camaj fonda la scuola della lingua albanese a Prekal, (un piccolo villaggio), dove svolge il ruolo dell’insegnante solo per un anno, 1947.
Anti comunista, partecipa nella resistenza contro i partigiani e dopo la fine della seconda guerra mondiale, è costretto di allontanarsi dall’Albania accompagnato da Padre Daniel Gjeçaj in Jugoslavia. A Beograd studia il romanticismo, la lingua slava, l’albanologia e letteratura albanese popolare ( 1949-1955).
Nell’estate del 1956 si allontana trasferendosi in Italia per proseguire gli studi post universitari. La sua tesi viene dedicata a Gjon Buzuku (Vescovo cattolico albanese, autore del più antico documento stampato in lingua albanese, nel lontano 1555, “Messale Romano, stampato forse a Venezia).

L’autore, nei quattro capitoli che compongono il saggio, esamina l’ortografia, alcuni aspetti fonetici e morfologici e gli influssi stranieri nella lingua del Messale. Completano il volume Tre canti popolari di Triepshi, la Bibliografia e il Registro dei vocaboli.
Inizia a lavorare nella cattedra della lingua albanese all’Università di Sapienza a Roma. È capo redattore della rivista “Shêjzat” (Le pleiadi), fondato da Ernest Koliqi, un’altra figura importante per le lettere albanesi (scrittore e poeta albanese, nonché Ministro della Pubblica Istruzione in Albania dal 1939 al 1942).

A gennaio del 1960 si sposta a Monaco in Germania grazia ad uno scambio accademico. Diventa lettore presso l’Università di “Ludwig Maximilian” e nel 1964 diventa Privatdozent. Insegna per 30 anni in questa Università.
La sua attività come scrittore e ricercatore, viene svolta in immigrazione e contiene studi nel campo storico, etnologico, linguistico e letterario. Solo i due primi volumi di poesie si pubblicano in Kosovo e non in Albania.
Camaj come scrittore si è cimentato in tutte le forme e generi letterari, sperimentando incroci e innesti nella prosa poetica, testi di dramma) cosi anche a battezzare generi letterari che non avevano in precedenza una tradizione (madrigale, palimpsesto, parabola).
In 35 anni Martin Camaj lavora cercando se stesso, parte delle sue origini come famiglia e come nazione, come lo contiene il termine in latino individuum ( = in dividuum). La ricerca della patria mancante, del villaggio in cui è nato e che non può vederli, lo perseguitano come una maledizione. La terra madre che manca a lui si trasforma in arte. Diventa una condizione dell’anima per lo scrittore.
Nella poesia, i suoi versi hanno l’influenza ermetica del poeta italiano Ungaretti. La sua arte non passa inosservata dalla critica straniera.
Le poesie vengono tradotte in inglese da Leonard Fox e pubblicate a ” Selected Poetry” a New York il 1990 e a ” Palimpest” a Monaco nel 1991.
Anche in Italia le sue poesie vengono raccolte in una pubblicazione intitolato” L’Uomo solo e con altri”, nel 1985.
Pubblica opere per l’insegnamento della lingua albanese, grammatica albanese e tanti studi sulla poesia popolare, legende e sulla lirica, e tanti racconti, novelle e romanzi.
Camaj dal sistema totalitario di Enver Hoxha era considerato come un nemico del popolo e la sua opera prende luce solo dopo la caduta del comunismo, dopo il 1992 che coincide con la sua morte.
Dal Presidente della Repubblica albanese, è stato insignito del titolo “scrittore eminente della nazione“.
Il suo prezioso contributo viene raccolto in 10 opere e arricchisce finalmente la storia della lingua e letteratura albanese.
Ismail Kadare lo descrive come un grande scrittore, parte dei grandi scrittori albanesi che stanno nel panteon delle lettere albanesi entrando sicuro dal grande portone come un angelo che ha servito alla sua nazione con la devozione per tutta la vita.
Selezioniamo due delle sue poesie nella traduzione di Astrit Cani
C’è una vecchia città
– Palermo 1968
C’è una vecchia città sorta presto
sui meandri delle rocce
e non ha del mare il sentore
Ha occhi stanchi, rivolti
in basso
bruciati dal sole disciolto
in acque salmastre come sangue.
C’è questa vecchia città
condita di palmizi nuovi al cielo
e un brusio di umane voci
senza eco, ai quattro venti, cordoglio
prolungato dacché è sorta
a oggi
Due generazioni
Mio padre era
uomo di triste figura
albero d’ulivo senza foglie
ma con frutti neri ad ogni ramo.
Il suo verbo riecheggiava in noi
fragorosamente
quasi fosse l’ululato di un lupo
famelico solo tra rocce.
Mio fratello ebbe
a prendere il suo posto
– vento baio all’orizzonte.
Soffia al fuoco in autunno
a pieni polmoni
e ogni scintilla gli dà figlio maschio