Volendo accantonare solo per un attimo il termine ‘isolamento’, riferendomi al nostro modo di vivere dentro l’interpretazione della gabbia ideologica imposta e affatto scelta da tutti noi albanesi, se proprio dovessi selezionare un termine da associare al nostro stato d’animo negli anni della dittatura, perché no, potrei dire che era simile a quello dei naufraghi, che le onde impazzite del mare e le tempeste spietate, li hanno scaraventati su un pezzo di terra, qualsiasi. Naufraghi che da un lato, sono contenti e ringraziano di essere salvi, ma che dall’altra parte, stanno sempre pronti, perché inaspettatamente, qualsiasi inferno si potrebbe scatenare per riportarli nuovamente in mezzo a onde e tempeste fatali …
Con una differenza: Mentre i naufraghi di solito,arriverebbero da chissà quali mari, correnti d’acqua o terre diverse e lontane, noi eravamo sulla nostra terra, su quella terra che ci è sempre appartenuta, la nostra vecchia e sofferta terra! Era nostra la terra sì, ma non era sempre e del tutto nostro, il modo in cui dovevamo tutti e per forza,in ugual modo: ragionare,obbedire, acconsentire, lodare, condannare, vestire ecc … insomma abbracciare ciò che la ‘linea giusta’ e indiscussa dettava…
Eppure per il mondo,almeno per coloro che si ricordavano di noi, che erano a conoscenza della nostra esistenza, eravamo un’isola felice, o meglio così ci veniva fatto credere..! Detto questo, la piena coscienza della nostra realtà, come una realtà così diversa di quella anche dei paesi più vicini,alla fin fine, noi che negli anni ottanta, in Albania eravamo soltanto dei bambini, non la potevamo di certo avere! I nostri genitori e nonni, loro invece sì…! Tra di loro, alcuni ne erano certamente più informati, alcuni un po’ meno, ma ad ogni modo,sapevano che qualsiasi loro impressione o parere su ciò che poteva esistere al di fuori dei confini dell’Albania, era più prudente osservare, studiare, ammirare o giudicare in silenzio..
Alle elementari eravamo un bel gruppo di compagni di scuola. Un gruppo bello da tutti i punti di vista. La scuola che ho frequentato era la migliore scuola elementare della città, o meglio della capitale, Tirana.
Era una scuola sperimentale, dove prestavano servizio i migliori insegnanti della città,degli insegnanti veramente validissimi. Per questo motivo,la scuola era frequentata ,oltre a noi bambini del fortunato e privilegiato quartiere,anche dai figli e dai nipoti dei dirigenti più noti e influenti del potere che guidava il nostro paese! Questi bambini erano sì, nostri amici, ma rimanevano comunque distanziati e di certo non si potevano mischiare con ‘la massa’…
Potevano vivere in mezzo al lusso, per noi inconcepibile, ma nessuno era in grado di convincermi che loro, erano felici di questo modo di vivere, senza amici, o meglio circondati da una ristretta cerchia di persone,selezionate e prescelte in precedenza dai loro genitori…
Il fatto stesso, che nel nominarli, usavamo i termini ‘loro’ e ‘noi’, lasciava intendere che tra di noi esisteva veramente un profondo abisso..
Un giorno invece, dopo scuola, eravamo ancora nel cortile, quando decisi di chiamare un gruppo di quattro -cinque amiche, che erano tra l’altro anche mie vicine di casa, in quanto abitavamo in palazzine una, attaccata all’altra. Le invitai di venire a studiare insieme e di giocare nel tempo libero nel pomeriggio fuori, categoricamente frequentando spazi verdi all’aperto.. Le mie amiche accettarono volentieri il mio invito e ci incamminammo per tornare a casa…
Per noi, questa non era affatto una novità. Ci invitavamo a vicenda e ci frequentavamo spesso anche fuori scuola tutti noi del quartiere. Eravamo molto affiatati con l’un l’altro ed io personalmente, una bambina molto socievole ed estroversa…
Dopo pochi secondi,sento una bambina che mi chiama da un angolo del cortile della scuola. Era rimasta un po’ in disparte,evidentemente aveva seguito il nostro discorso, senza che io sinceramente mi accorgessi di lei. Mi voltai verso di lei, la aspettai e la sentii volentieri su ciò che aveva da dirmi …
Lei, dopo una breve pausa in silenzio, perché forse non sapeva come iniziare il suo discorso, mi disse: “ Ciao, vi ho sentito parlare … a mettervi d’accordo per trascorrere il pomeriggio insieme …
Oh sì, -le rispondo, – ma guarda che puoi tranquillamente venire anche tu,l’invito vale anche per te, se vuoi…ti aspetto volentieri a casa mia … Prima, scusami, ma non ti ho notato, se no, ti avrei chiamata …”
La vedevo molto in difficoltà e, sinceramente, un po’ per la nostra età di allora, un po’ perché con quella bambina non avevo confidenza quanto con le altre, non seppi cos’altro dirle. Quella situazione mi fece zittire, proprio me, una bambina chiacchierona per natura…
“ Ma io…non posso venire da te … – mi rispose…”
“Ma perché, si può sapere? – Ripresi con le mie domande sempre pronte…
“I miei genitori non me lo permettono “…
“Ma come!,- addirittura mi indignai, con l’ingenuità e la spensieratezza dell’età…”
“Bè, se i tuoi genitori non ti lasciano venire a casa mia, sai cosa facciamo? Veniamo tutti noi a casa tua!! Sempre naturale, presi l’iniziativa e mi autoinvitai…”
Lei in quel momento, mi fece un bel sorriso e mi disse:” Ma tu lo sai che io non sono albanese come voi?”
Io, tranquilla, le risposi: “Ma sì, lo so, certo che lo so, tu sei straniera, e con questo? Siamo compagne di scuola, ci vogliamo bene, non abbiamo mai litigato insieme, tu parli bene la nostra lingua e perché non ci dovremmo frequentare anche fuori scuola, me lo dici..?”
Qui, partì la mia testardaggine, un elemento del mio carattere che,accompagnato dalla pura sincerità e naturalezza dell’età, a volte,da bambina mi metteva nei guai..
Ad ogni modo, dopo un profondo sospiro da parte sua, decidemmo di riparlarne l’indomani, anche perché, ci guardammo intorno e nel cortile della scuola, eravamo rimaste solo noi due e nel frattempo, notai dalla parte opposta della strada una macchina scura, lucida ( cosa così rara per i nostri occhi vedere delle autovetture in generale, figuriamoci delle macchine così eleganti..), con delle piccole tendine grigie nei finestrini ed una piccola bandierina straniera che sventolava sulla punta del cofano, che la aspettava e l’autista dava l’impressione che si stesse annoiando un po’, fumava di continuo…
Quella bambina frequentava sì, la nostra scuola ma lei era straniera e suo padre, di mestiere faceva il diplomatico in Albania, in quei anni..! La sua casa non era come le nostre di case. La sua casa era collocata all’interno del territorio del consolato straniero, tra l’altro vicinissimo a casa mia..! Tutto circondato da ringhiere alte di ferro, con tante di guardie..
Quella bambina mi fece capire di vivere in un’isola … in un’isola dentro l’isola, dove vivevamo d’altronde, tutti noi..!
Mi è bastato quel nostro incontro, la nostra conversazione, per farmi mettere in testa l’idea di andarla a trovare..! Non so, ma con la mia insistenza e spensieratezza dell’età, ci dovevo riuscire per forza. Avevo anche la furbizia di non parlarne con i miei genitori, perché mi rendevo conto che era come un mistero questa cosa, senza conoscere sicuramente a fondo i motivi di questi trattamenti riservati agli stranieri e al loro relazionarsi limitato con noi,di quei pochi stranieri che vivevano da noi…
Un giorno, mi avvicinai al cancello del consolato. Vidi la mia compagna di scuola che girava nel cortile sulla sua bicicletta colore rosa. Che bella quella bici..! Me la ricordo come se fosse ieri. Noi, purtroppo, all’età delle elementari, non sapevamo ancora andare in bici, per il semplicissimo fatto che le biciclette per bambini non sapevamo come fossero fatte. Anche le bici da grandi erano così rare, che pochi dei nostri genitori le possedevano.
Lei mi notò subito, mi salutò da lontano con la mano. Aspettavo che mi raggiungesse vicino al cancello, ma una guardia le si avvicinò, sussurrandole qualcosa, e lei, con lo sguardo basso si allontanò…
Capii che non le era permesso avvicinarsi nemmeno alle ringhiere… Il concetto di quest’isola dove viveva la mia amica, divenne ancora più forte in me, divenne una cosa che mi incuriosava, un po’ come l’effetto delle cose proibite in generale…
A casa, senza dire che avevo osato avvicinarmi più del dovuto al cancello del consolato straniero, iniziai a fare delle domande curiose ai miei genitori sugli stranieri su come potrebbero essere loro in generale, quanto lontano da noi vivevano, com’era fatto il loro paese, quante potrebbero essere le lingue che si parlano nel mondo, oltre all’italiano che parlavamo in famiglia..
I miei genitori, un bel po’ sorpresi di tutte queste domande a raffica da parte mia, così all’improvviso su un argomento come questo, con tanto riservo, con tanta attenzione, come sempre trovarono un modo delicato per farmi capire le cose, di certo le cose che in quell’età potevo assorbire…Un po’ adattandosi ai tempi che correvano, un po’ alla mia età da scuola elementare,età che, a volte era incompatibile con la mia maturità accentuata per una bambina piccola. Ebbi come l’impressione che, dopo essersi guardati negli occhi l’uno con l’altra,iniziassero a percepire che io,pian-piano crescevo e iniziavano a darsi delle conferme al fatto che da piccolina,forse perché cresciuta io stessa in una famiglia bilingue,avendo avuto la nonna italiana,parlando l’italiano da piccolina,inevitabilmente sentendo parlare dell’Italia, anche se ciò avveniva attraverso dei ‘filtri’, loro avrebbero dovuto essere pronti a breve, oltre a rispondere alla curiosità che ogni bambino/a, fa crescere dentro di sé com’è giusto che sia, anche di un altro fatto che in me, era un po’ più notevole che negli altri miei coetanei, per i motivi sopra elencati:
“Perché quella nostra compagna di scuola,straniera, era costretta a vivere così isolata dagli altri bambini, dai bambini albanesi? Perché suo padre aveva scelto quella ‘brutta’ professione, di fare il diplomatico proprio in Albania e,in quei tempi, da condizionare così anche i suoi figli già da bambini, nelle scelte delle loro amicizie,delle persone e degli ambienti da frequentare..?”
Mesi e anni scorrendo e io,crescendo, rispondermi anche su altre domande:
“Insomma, intorno alla nostra ‘isola’: la natura, il clima, le persone, le piante, persino gli animali, come avrebbero potuto essere..? “
Le prime risposte immediate cercai di trovarle attraverso un modo diretto che mi sembrava il più adeguato per soddisfare la mia curiosità sulle “vicinanze dell’isola”: Una sete di imparare più lingue straniere che potevo, già da quell’età, mi afferrò …