Esco dall’ufficio del Sindaco di Civita, Alessandro Tocci, alquanto frastornata. Ho ascoltato il suo racconto della terribile vicenda in cui sono morte dieci persone e che lo vede tra i primi responsabili, secondo i capi d’accusa. Tocci mi ha parlato, giustamente, del suo dolore per le imputazioni che pendono sul suo capo, mi ha raccontato della sofferenza dei suoi cari per lui, mi ha narrato del suo stomaco, del suo cuore, della sua vita rovinata. Ha tutta la mia comprensione il Sindaco, io non posso nemmeno lontanamente immaginare cosa si possa provare in simili circostanze. Mi chiedo però, come mai, non abbia detto nemmeno una parola sulle vittime, mi domando perché non abbia fatto alcun riferimento alle dieci persone morte in quella, che egli stesso definisce “tragedia”. Dieci escursionisti che erano lì per divertirsi e che per qualche motivo, – la magistratura si sta preoccupando di stabilire le reali cause – sono morte. Mi sono ritrovata ad ascoltare un rimpallo di accuse, di responsabilità e di non responsabilità, di tecnicismi. E i morti? Se nessuno mai ripagherà le tue sofferenze, Sindaco, chi potrà riportare in vita queste persone? Chi ripagherà il dolore di chi non ha più un figlio, un genitore, un fratello? Una parola
sui morti, almeno una, sarebbe stata, quantomeno, doverosa.
Il 20 agosto 2018 tra le Gole del Raganello si consuma un’immane tragedia; un’ondata di fango e detriti travolge un gruppo di escursionisti, ammazzando dieci persone. Un’onda assassina sollevatasi dopo una bomba d’acqua scatenata più a monte, sul Pollino, dove il torrente nasce per poi snodarsi per 17 chilometri, distrugge dieci vite. Un fatto tragico, che la comunità di Civita non dimenticherà mai e che ha portato al rinvio a giudizio i sindaci di Civita, Alessandro Tocci, e di San Lorenzo Bellizzi, Antonio Cersosimo e gli amministratori delle società turistiche, Giovanni Vangieri e Marco Massaro. Nella stessa udienza, il giudice ha emesso sentenza di non luogo a procedere per gli altri indagati, tra cui il sindaco di Cerchiara. Durante la mia permanenza in terra arbëresh, incontro Alessandro Tocci, alla sua seconda legislazione, che mi racconta uno spaccato del suo punto di vista su quanto accaduto e alcuni dei suoi obiettivi come Sindaco di Civita.
Il fascicolo giudiziario aperto in seguito alla tragedia delle Gole del Raganello, ti vede tra i principali responsabili. Immagino non sia ancora una vicenda chiusa, giusto?
Non ancora e probabilmente non lo sarà ancora per lungo tempo. Ci saranno sicuramente dei risvolti molto importanti, sempre che non si chiuda all’italiana, annebbiando tutto, cosa che non mi auguro. Dico questo, perché quanto sta accadendo oggi, ci sta portando in qualche modo all’oscuramento di un processo, che sto volendo fortemente perché desidero che venga fuori la verità. Non voglio essere assolto senza dimostrare quello che realmente è accaduto.
Quali sono i capi di accusa?
Sono stato accusato di strage e più volgarmente, di sciatteria. I capi di accusa sono quattro e coinvolgono tre sindaci e alcune guide, anche se per loro la storia si fa a parte, in quanto gli escursionisti erano accompagnati da guide non autorizzate dal Comune di Civita. Il Decreto Bersani, in merito, è molto chiaro: il servizio è libero ed essendo il Raganello un bene demaniale, non potevo e non posso vietare le escursioni sul posto, nessuno può farlo. Certo è che se poi accade qualcosa, non è detto che sia responsabilità del Sindaco.
Potrei parlare per ore e raccontare mille cose, perché ogni giorno rivivo situazioni che nessuno potrà mai cancellare dalla mia mente e dal mio stomaco, dal mio cuore e dalla mia famiglia. È una situazione difficile e dura da raccontare. Io pago un prezzo altissimo, anche perché i fatti avvennero sei giorni dopo la tragedia del Ponte Morandi. Anche quanto accaduto a Genova può essere definita tragedia, però, qui un tentativo di strage può pure esserci stato, perché alla fine il tutto nasce da una questione di manutenzione mancata e di non curanza di alcuni aspetti.
Il Procuratore dell’epoca, ha definito quanto accaduto qui “strage”, ma non ho mai creduto fosse la giusta definizione. La strage, tendenzialmente, comporta che qualcuno muoia per un’azione altrui, quindi è un avvenimento che prevede una premeditazione. Sicuramente, quel giorno in altura il tempo era burrascoso, ma non era compito del Sindaco di Civita allertare e nemmeno del Sindaco di San Lorenzo.
Chi era chiamata a darci un cambio di allarme, era la Protezione Civile, che aveva comunicato l’allerta gialla, senza passarla poi ad arancione o addirittura rossa, come affermato dal dott. Borrelli, in riferimento a un puntino rosso sul Tirreno, che si muoveva verso San Lorenzo.
Forse, la magistratura corretta che non c’è e lo dico senza timore di essere smentito, non dico che sia corrotta, dico che non esiste, poiché tenta di trovare un colpevole a tutti i costi, anche laddove egli non c’è. Lo stesso Ministro dell’Ambiente, per esempio, è arrivato il giorno dopo, dichiarando che tutti gli Amministratori calabresi sono sciatti, per poi aggiungere, in privato proprio a me, che sicuramente il Sindaco non c’entra nulla. Già questa doppia faccia la dice lunga, perché l’italiano è abile in questa cosa.
Non ho timore di parlare in questi termini, perché sto vivendo una situazione che non auguro a nessuno e continuerò a viverla ancora per un po’, sicuramente; però, ho imparato a scindere questa vicenda che mi coinvolge dalle mie questioni private, perché diventa tale alla fine. Il Sindaco è una cosa, Alessandro
Tocci è l’altra.
Sto andando avanti, sto cercando di capire delle cose insieme ai miei tecnici. Potrei parlare a lungo di questa vicenda, ma rischierei di diventare logorroico e non mi sembra il caso. Se ne parlerà ancora quando le udienze andranno avanti. Intanto, il capo di accusa di strage mi è stato tolto e con esso la potenziale condanna a più di 13 anni che avrebbero potuto infliggermi. Mi è rimasto quello di omicidio colposo e di abuso di potere, in quanto noi Sindaci, secondo il fascicolo, non avremmo adottato il Piano di Protezione Civile. Anche questa è un’errata valutazione, perché noi, in realtà, lo abbiamo adottato nel 2012. Nel 2017 ho fatto l’adeguamento, però, non ho voluto spendere dei soldi a vuoto per una certificazione da copia e incolla. Il mio sarebbe diventato esecutivo quando tutti i Comuni avrebbero attuato la delibera.
Il giudice amministrativo dell’epoca ha capito ben poco, tanto che ha lasciato questo incarico, perché, probabilmente, aveva problemi a gestire la cosa. Io sono molto tranquillo, sono una persona normale e non sto parlando di corruttibile o non corruttibile. Sicuramente, non ritengo di avere le colpe che mi hanno attribuito il 21 e il 22 agosto del 2018 tutte le testate giornalistiche, nazionali e locali, sbattendo il mostro in prima pagina. Sono convinto che il risultato giusto ci sarà e sarà comunque brutto, perché non è l’assoluzione quella che conta; la mia vita, teoricamente, è distrutta e forse questa è la cosa più pesante. Qualora io fossi assolto, chi mi ripagherà di tutti questi anni di sofferenza, di silenzi in casa, di una moglie che ha avuto tanti problemi, di mia madre che è malata perché aveva già perso un figlio un anno prima? A chi vado a raccontare tutte queste cose? Mio figlio, che è bravo e intelligente, si è messo a studiare perché voleva aiutare me. Sono tante e troppe le cose che non vanno bene. Potrei parlare e raccontare fatti concretamente accaduti, che nella notte stessa hanno fatto cambiare pareri.
Il processo è Tocci più tredici e già sentire il tuo nome in un’aula del Palazzo di Giustizia è una bruttissima cosa, ti logora, ti mangia. Se non avessi avuto le spalle larghe, non avrei avuto la forza che ho.
Sono un buono di natura, ma nella vita sono molto determinato. Io sono uno che fa l’amministratore per passione: fino all’età di 29 anni facevo il calciatore professionista, poi, sono entrato in banca e ora faccio una vita diversa. La politica è stata sempre la mia passione e quando ho deciso di fare l’amministratore ho pensato di fare meno politica e più amministrazione, perché il politico viene pagato bene e legifera, mentre io vengo pagato malissimo e non legifero, ma ho, comunque, delle responsabilità.
A proposito delle responsabilità, cosa significa essere Sindaco di Civita, a quanto pare, uno dei
borghi arbëreshe più evoluti?
Diventare amministratori significa avere a che fare con molte difficoltà. Faccio esempi pratici: il rapporto, un tempo, era di 1 a 100; per ogni cento abitanti avrei dovuto avere un dipendente. Ora Civita conta 800 abitanti: non posso avere, al momento, più dipendenti e quelli in esubero, non posso trasferirli in altri ruoli, perché in Italia abbiamo le categorie A, B, C D, dove ci sono i sopra mansionamenti e i sotto mansionamenti. Pertanto, esistono problematiche anche sulle cose più banali. Si riesce a gestire con la buona volontà dei dipendenti gran parte delle attività, considerando anche gli ultimi aumenti. Per esempio, noi abbiamo il paese illuminato di notte, ma non sappiamo se riusciremo a far fronte ancora a consumi molto elevati di energia elettrica. Insomma, è un cane che si morde la coda.
Partecipiamo a bandi europei, in collaborazione con altri comuni, per sperare di poter poi fare le nostre progettualità. Si parla di soldi europei che arriveranno a valanga, ma sono convinto che noi non li vedremo, almeno non in questa fase. Tutto troppo, forse. Sarebbe bastato ridare un’immagine al paese: noi, in parte, lo abbiamo fatto, perché siamo riusciti a creare una sorta di sinergia tra il pubblico e il privato, che ha portato una comunità di 800 abitanti ad avere dei riconoscimenti nazionali e internazionali, che nessuno ci può togliere: per esempio, Civita è uno dei borghi più belli d’Italia.
Parliamo della cultura arbëresh: che fatica fa il sindaco di Civita in merito? Mi riferisco alla sua conservazione.
Ho denunciato questa fatica proprio a Ilir Meta, quando è venuto in visita da noi, dicendogli qualcosa di molto chiaro e semplice: abbiamo bisogno del loro supporto. Noi in Italia abbiamo due leggi: una nazionale che è la 482 del 1999, con delle linee guida meravigliose, che pur riconoscendo nell’italiano la lingua ufficiale, tutela la lingua e la cultura delle minoranze. Considerando che la lingua, in primis, è un patrimonio da tutelare, direi che è un provvedimento perfetto. È una legge bella sulla carta, che, in realtà, è stata attuata solo i con gli Stati che hanno aperto i trattati con il nostro. Mi chiedo, come mai tra l’Italia e l’Albania, con tutta la passione e il legame che c’è, con le parole che ci riservano definendoci memoria del passato e gli avi degli albanesi, non si sia ancora pensato di dire fortemente al governo albanese, che ci credono i loro antenati in riferimento agli usi, ai costumi, alle credenze, alle religioni, allora devono stare vicino a noi nelle battaglie, altrimenti diventano solo visite di saluto. La lotta potrebbe partire dal basso, dalle associazioni, per esempio, i sindaci potrebbero caricarsi del messaggio, parlare con il governo albanese e quest’ultimo interagire con il governo italiano. La Regione Calabria ha fatto la legge 15 del 2003, che più o meno ha gli stessi vantaggi e svantaggi.
Tu, più di altri sindaci sei riuscito a rilanciare il tuo comune. Qual è il tuo segreto?
Non c’è nessun segreto. Di base ho avuto la sfortuna di vivere alcune tragedie familiari. La famiglia di mio padre è arbëresh e l’ho lasciata quando avevo quattordici anni, perché mio papà è mancato, trasferendomi nel paese di mia madre. Non vedevo l’ora di poter andare a far visita a mia nonna e riavvicinarmi tutte le volte a quella realtà. Sono legato interiormente e visceralmente a questo mondo e forse questa cosa mi aiuta ad agire per il suo bene.
Io non penso di essere bravo, anzi sono l’ultimo degli ultimi, però forse, quando dobbiamo impegnarci in qualcosa, avremmo bisogno di partire da un mondo che ci appartiene. Io sono stato tre volte in Albania e mi sono innamorato di quei posti, tanto che vorrei portarci mia moglie arbëresh e non l’ho ancora fatto. La voglia è quella di far crescere ancora di più Civita: abbiamo ottenuto la bandiera arancione e poi il geo sito UNESCO per quanto riguarda le bellezze ambientali, in riferimento al Raganello e al Ponte del Diavolo. Abbiamo riconoscimenti per le bellezze ambientali, per quelle culturali e storiche.
Da non trascurare il settore gastronomico. A partire dagli anni ’90 ci sono state le prime attività legate alla ristorazione, che oggi possono vantare di offrire ai turisti i migliori piatti della nostra cucina.
Due parole sul futuro: come vedi la conservazione del patrimonio?
La conservazione è in mano nostra, perché la generazione di chi avrebbe dovuto fare, non ha fatto.
Chi non ha fatto?
La generazione che ci ha preceduto, non ha fatto abbastanza.
Pensi che la generazione che vi seguirà potrebbe dire la stessa cosa di voi?
Non lo so. Al momento, quello che mi preoccupa di più, è la conservazione della lingua e il rischio che nel giro di trent’anni essa scompaia è altissimo e questo è un dato che non va nascosto o ignorato. Per fare in modo che quanto detto non accada, si deve puntare sulla scuola, sin da quella materna e investire nella cultura. Sarebbe importante dare al Sindaco la possibilità di fare questo: io, per esempio, a Civita ho lo sportello linguistico, cosa che dovrebbero avere tutti i Comuni. Quindi partire dalla scuola, per la conservazione linguistica e puntare poi allo sviluppo delle attività lavorative. Questo è fattibile se rimaniamo uniti: l’unione fa la forza.