“And than she comes…”. Dismessa le sue originarie vesti, ella, l’idea oramai è strumento già collaudato. Probabilmente, a sentir dire, ella è sempre stata tale.
La frase in questione fu snocciolata da un impiegato della Polizia di Stato. Fu pronunciata con fermezza e convinzione tipica di chi crede che il giusto sia una misura accessibile, nonché disponibile sia anche la giustizia e tutto il suo entourage.
“Siete tutti uguali!”. Ad ascoltarla niente da obbiettare, assolutamente niente. Lungo gli anali dell’Istoria, secondo una lettura di parte, l’uomo si è battuto affinché potesse un giorno sentirsi dire siffatta frase da una qualsiasi autorità, divina oppur secolare.
Sennonché questo facilmente snocciolabile principio, originaria idea oramai sintetizzata e pre-confezionata, nulla serve a nessuno (immagine omerica di alcuno divenuto casualmente, né voluto né perciò ricercato), e tanto serve a chi ha una visione teleologica del divenire della realtà.
Riconosco, per necessità, che l’errore trovassi ab origine: nulla da rimproverare al luogo del comune discorso, spazio di un linguaggio quotidiano che tanto assorbe e trasforma tutto ciò che lungo il suo cammino ritrova. L’errore sta nella formulazione del principio, trattassi del principio d’uguaglianza, che per com’è utilizzato, senza remore alcuno, induce in labili e sciocche convinzioni.
Noi non siamo tutti uguali: bianchi, neri, gialli, rossi, uomini, donne, bambini, vecchi, anime pie e disgraziati. E’ la legge ad essere uguale per tutti, ergo la sua applicazione, tali i suoi effetti. Questo secondo una lettura formale. Nell’ottica sostanziale, tentativo che si traduce in una rinuncia alla verità assoluta di fronte alla molteplicità del reale, davanti al suo impossibile dire da parte di qualsiasi forma di linguaggio, ella, la legge deve riconoscere che il particolare è costitutivo e quindi per questo degno di considerazione.
Ma il mio problema non è tanto quanto il discorso ed il contesto: la questione è il tempo. Sono i miei quindici anni spesi a vivere e divenire in gesti e parole della mia esistenza in questa terra, in questo paese. Davanti la su considerata frase il mio tempo si sbriciola e si dissolve nel nulla di alcune parole.
L’uguaglianza? Ed è profondo il mio stupore. Non ho memoria alcuna del momento in cui l’uguaglianza ha dismesso le vesti del valore per divenire criterio, ergo strumento. Perché l’idea vale, l’uguaglianza è un valore. Noi non siamo tutti uguali! Noi siamo, questo è il punto di partenza; non una fine, non una destinazione. L’essere non è uguale ma ogni essere vale in quanto tale: poiché è. La legge, il divenire in periodi di un’umana volontà, secondo giusta gramma e sintassi, è strumento. Uno strumento che mai ha detto la verità né mai potrà dirla.
I miei sono quindici rintocchi di un grande orologio, di migliaia di attimi che sono le mattonelle del mio spirito. Questo mio tempo è segmento del Tempo; della Storia di questi ultimi quindici anni del paese in cui vivo. Questo tempo ve lo do in dono, con esso le parole che sgorgano dal mio animo.
[author title=”Edvin Kukunja” image=””]Scrittore e poeta albanese[/author]