“Alo??” – senti la voce dall’altra parte della cornetta
“Ciao papà, sono io, volevo solo avvisarti che quest’anno ho deciso di passare il natale in Albania, verrò con le bambine, e poi ritorneremo in Italia per Capodanno“.
“No Arta ”, disse suo padre, “non dovresti muoverti con tutto questo freddo!”
“Ormai ho deciso, sono 17 anni che non festeggio con te, e per di più mi manca il mio albero di Natale, ti ricordi papà?? Voglio l’albero di una volta, la mia anima si riempirà di gioia. Per un‘altra volta nella vita voglio sentire e toccare con le mie mani l’infanzia, e questo lo potrò fare finché avrò te forte e pronto come sempre ad esaudire i miei desideri”. Poi vorrei tanto che le bambine vedessero un albero vero, colorato e profumato con gli aromi della natura.”
Mentre attaccava il telefono si sentì tirare la manica della maglia da sua figlia più piccola.
“Mamma, ci racconti com’era il tuo albero di Natale in Albania”?
“Sì tesoro, appena saliremo sulla nave vi racconterò una bella storiella.”
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Ricordi d’infanzia
Ed ecco arrivato il giorno più felice della sua vita. Arta si affacciò alla finestra e il mantello bianco della neve aveva ricoperto tutto il giardino dove d’estate regnavano le rose, le calle, le viole, i garofani e molti altri fiori.
Adesso mancava solo il suo papà, che doveva rientrare per l’ora di cena.
Suo padre era un autista, guidava un grande camioncino marca Ziz con il rimorchio. Usciva di casa di mattina presto e a volte rientrava che era già notte fonda.
Anche lei quella mattina si era svegliata molto presto, e aveva spalancato le finestre della sua camera, respirando profondamente l’aria fresca dell’inverno e della neve.
Erano rare le volte in cui quella coltre bianca ricopriva interamente la sua città, Scutari, e quelle poche volte tutto diventava così speciale e magico!
Quel giorno era ancora più speciale degli altri perché, oltre alla neve, Arta aspettava l’albero di Natale (anche se la parola Natale non si poteva pronunciare, perché nel suo Paese era proibito; si poteva festeggiare solo il Capodanno, mentre il Natale si celebrava in silenzio dentro i muri di casa). Arta non capiva perché non si potesse parlare apertamente di quel giorno così bello e speciale, della nascita di Gesù. Lo capì solamente più tardi, quando diventò più grande.
In fondo cosa le importava capire, lei era felice ugualmente; che si trattasse di Natale o di Capodanno, per lei era sempre una festa che iniziava a metà dicembre, quando poteva sistemare in mezzo al grande corridoio della sua casa il bellissimo albero che il padre ogni anno portava.
Fu a tarda sera che vide arrivare il padre con l’albero. A dire il vero le sembrò che l’albero scendesse dal camion da solo talmente era grande.
Era uno spettacolo! Ricoperto di bianco, dalle sue pigne sprigionava il profumo e la magia dei monti.
Arta corse incontro al padre colma di felicità; non voleva neanche togliere la neve dai rami, aveva paura di spezzare quel legame magico tra il cotone bianco della neve e il verde dell’albero.
“Arta, non possiamo farlo entrare così” – disse il padre – “il pavimento si bagnerà e tu non riuscirai nemmeno a decorarlo”.
“Va bene papà, ma almeno lasciami godere ancora un attimo questo splendore!”
Il papà appoggiò l’albero fuori sulla veranda ed Arta con il nasino arrossato per il freddo si avvicinò emozionata al suo albero, era talmente bello che avrebbe voluto stringerlo tra le braccia.
Rimase cosi per un po’ con le guance arrossate e le mani che le bruciavano dal freddo.
“ Papà, vieni, possiamo portarlo dentro, anche se resterei tutta la notte qua fuori ad ammirarlo”.
Dopo averlo ripulito dalla neve e dopo vari tentativi per farlo entrare dalla porta di casa, l’albero venne sistemato nell’abitazione. I suoi rami si aprirono quasi fossero braccia, proprio in mezzo al corridoio dove il padre aveva preparato un grande vaso pieno di terra per tenerlo in piedi e fermo.
Arta aveva disposto in un angolo del tavolo tutti i graziosi addobbi con i quali l’avrebbe decorato.
Quel giorno, dopo averlo sistemato, aveva giocato un po’ a palle di neve davanti a casa con le amiche e poi costruito un pupazzo bianco riempiendo di neve alcuni secchielli, vuotandoli poi uno sopra l’altro in modo da dargli l’altezza e la forma giusta, e infine si era recata nei negozi per acquistare quello che ancora le mancava per addobbare l’albero.
Tornata a casa, iniziò prima a disporre del bianco e soffice cotone tra i rami, proprio là dove fino a poco prima c’era stata la neve.
Poi inserì tra i rami le mele rosse e bianche preparate in precedenza e poi quelle zuccherate della nonna. Le legò sul ramo con tanti fili dorati.
Alle arance e ai mandaranci erano stati lasciati i rami e le foglie in modo che potessero essere in perfetta armonia con l’albero.
Poi venne il turno delle pere, erano piccole e ogni tanto pareva chiamassero Arta perché desse loro qualche morso. Ma lei non cedette alle lusinghe; quelle delizie prima toccavano all’albero, poi, finite le feste, sarebbero toccate a lei.
E non potevano mancare i fichi secchi e le noci ricoperti con la carta argentata.
Alla decorazione delle luci pensava sempre suo papà; trovava tante lampadine piccole (dei fari del suo camion) e le colorava con la vernice.
Alla fine dell’opera, il maestoso albero faceva bella mostra di sé, mentre Arta, stanca per il duro lavoro, lo ammirava contenta tra le braccia del padre, felice e orgoglioso di quella straordinaria figlia.
“Grazie mamma, è una bella storia, grazie per avercela raccontata!”
Sara aveva socchiuso gli occhi e pensava al suo arrivo in Albania. Il nonno le avrebbe fatto avere un albero che non aveva mai neppure sognato. E come poteva immaginare che dall’ altra parte del mare ci fossero tante cose così diverse e belle?! Un albero di Natale pieno di tutti i tipi di frutta.
“Ohh che meraviglia” balbettò Sara tra sé e sé abbracciando la mamma.