Mi chiamo Sherif e ho diciassette anni. Vengo da un paesino chiamato Belsh. \u00c8 un piccolo posto con duecento case, dove ci conosciamo tutti con nomi e cognomi.<\/p>\n
Durante il giorno lavoro come bracciante nella casa della vedova Kullaj. Le coltivo i terreni e li semino col tabacco, mungo la mucca e porto i bovini a nutrirsi su un colle pieno di pini, distante mezz’ora a piedi dal villaggio.<\/p>\n
Sono tre anni che lavoro dalla signora, dalla mattina alla sera. Se avessi potuto, sarei rimasto l\u00ec anche la notte. Avrei preferito anche dormire al piano terreno. L\u00ec i muri sono ancora aperti con le cavit\u00e0 delle finestre vuote. Aspettano che vengano inserite le vetrate. Ma io preferisco che rimangano cos\u00ec, come due grandi occhi che, se premi, scorrono soltanto stelle.<\/p>\n
Voglio le stelle, voglio legarle una dietro l’altra in modo da formare una corda e buttarmi su di esse saltandole a turno per fuggire lontano. Vorrei incamminarmi verso mete sconosciute, imparare una professione, mettere dei soldi da parte e, con questi comprare una macchina. Una macchina rossa che, quando sfreccer\u00e0 con la mia innamorata dentro, tutti i compaesani si volteranno a guardarla.<\/p>\n
Non so ancora chi sar\u00e0 la mia innamorata, e non oso dirvelo. Sono soltanto un povero bracciante… Il motivo per cui desidero tanto passare la notte nella casa della vedova, non sono soltanto le stelle.<\/p>\n
Ma \u00e8 anche mio padre. Non voglio sentirlo quando, appena di ritorno dal bar del paesino, con l’odore della grappa che gli esplode dai vestiti che ha addosso, dai capelli appiccicati, dal sudore e dalla gola profonda come il pozzo abbandonato in fondo al giardino.<\/p>\n
Alza le mani con mia madre. Le alza ogni notte, quando torna dal bar. Uomo che sta con uomini che passano il tempo bevendo e giocando a carte. Ma questi sanno pure lamentarsi.<\/p>\n
Si lamentano della vita crudele, che non offre niente, della politica, dello stato che non sa risolvere loro i problemi, del comune che promette tanto, ma che poi li lascia nel fango senza alcuna prospettiva di lavoro.<\/p>\n
Si lamentano delle loro donne, che non li soddisfano a letto, dei figli che vanno cresciuti ed educati, ma non hanno abbastanza pazienza da star loro accanto.<\/p>\n
Infine si lamentano anche delle mucche che muggiscono in continuazione e li svegliano nel mezzo della notte.<\/p>\n
Nel mio paesino tutti si lamentano, anche le donne.<\/p>\n
Si lamentano del sudore che scorre sul loro corpo quando lavorano nei campi, delle pulizie casalinghe e dei loro mariti, che non sanno amarle.<\/p>\n
Anche noi giovani in coda, non siamo male: conosciamo solo la consolazione procurata dal telefono che teniamo sempre tra le mani. Il resto \u00e8 una monotonia: lavori contadini, sudore e lamenti. Lo avrei chiamato il paese del lamento.<\/p>\n
Quando mio padre alza le mani con mia madre, la insulta con parole volgari perch\u00e9 \u00e8 malata, io e mio fratello ci accasciamo nell’angolino dell’armadio e stringiamo fortemente le mani in due pugni, perch\u00e9 temiamo che prendano coraggio e che colpiscano nostro padre. Una notte, diversa dalle altre, sembrava come se qualcuno dalle stelle, a cui parlo ogni sera, mi stesse illuminando.<\/p>\n
A quanto pare, le mie preghiere l’hanno convinto e sta scendendo per raggiungermi. Nella casa della vedova, \u00e8 arrivato il fratello che vive in Italia. Ah, quanto \u00e8 bello! Pulito, profumato e indossa abiti costosi. Credo che abbia circa trent’anni e tra le mani gli splende un iPhone di ultima generazione, che costa quanto la camera di una casa. Mi scintillano gli occhi quando lo vedo. Lui, coglie il mio sguardo e mi chiede se voglio toccarlo e giocarci. Come posso dirgli di no!? Dopo dieci minuti, mi chiede se mi piacerebbe andare in Italia. In quel momento sento che mi manca l’ossigeno. Spalanco gli occhi esterrefatto.<\/p>\n
Ma questa \u00e8 una domanda!?<\/p>\n
-“Hai il passaporto?” mi chiede.<\/p>\n
-“No, ma ho messo da parte un po’ di soldi e posso procurarmelo”.<\/p>\n
Dopo due settimane, il passaporto \u00e8 pronto. Non vedo l\u2019ora di partire. Non lo dico a nessuno. Ho paura che il mio sogno vada in frantumi. Lui, il fratello della vedova, passa a prendermi al mattino presto. Prendo con me lo zaino scolastico che avevo buttato nello scantinato tre anni fa. Due paia di pantaloni, due maglie, le calze e una foto di mia madre e noi due fratelli. Basta cos\u00ec.<\/p>\n
Mi sento l’uomo pi\u00f9 felice al mondo. Mi avvicino all’aeroporto. Osservo entusiasta le code degli aerei che lasciano le scie bianche come il tratto di una cometa nel cielo blu. Non ci credo ancora. Sono il nipote del fratello della vedova. Cos\u00ec devo presentarmi. Saliamo sull’aereo. La hostess ci mostra coi gesti come agire in caso di emergenza. La guardo affascinato. Immagino me stesso col paracadute nel cielo mentre lego le stelle come nel sogno. Sta diventando realt\u00e0. Strofino gli occhi. No, non \u00e8 una favola. Saliamo su nel cielo. Guardo dalla finestra e con gli occhi cerco il mio piccolo paesino.<\/p>\n
Rido divertito perch\u00e9 non lo trovo. Adesso sono tra le braccia dell’ignoto. Mi ha divorato come la bocca di una balena e mi dar\u00e0 una nuova casa. Dopo novanta minuti, l’aereo libera le sue ruote come un dente dal ventre e le pianta con forza a terra. Non credo ai miei occhi. La balena mi permette di uscire dal suo ventre.<\/p>\n
Sono arrivato nell’aeroporto di Milano. Attraversiamo un lungo corridoio senza fine, dal pavimento brillante, come le acque del fiume che scorre vicino a casa mia. Le persone parlano un’altra lingua, che io non capisco. Ma questo non mi preoccupa. Emettono dei suoni cos\u00ec belli.! Sembra che stiano cantando, invece stanno pronunciando le parole, come se accarezzassero e facessero il solletico al collo.<\/p>\n
Mi meraviglio. Lo “zio” mi tira dalla manica. L’ufficio del passaporto l’abbiamo passato senza problemi. Appena usciamo, lui cerca un taxi. Dopo trenta minuti di viaggio, eccoci vicini alla casa. Un palazzo molto alto, con i mattoni rossi e i balconi abbelliti dai fiori. Li guardo meravigliato. L’ascensore ci conduce al quarto piano. Un movimento di chiavi sulla serratura ed ecco, la porta si apre. Che bello! La casa \u00e8 ben arredata, come quelle che compaiono nei film.<\/p>\n
Sento dei formicolii nel mio corpo. Forse sono l’Hirushi della situazione? Solitamente la fortuna bussa alla porta delle ragazze. Le fate lavorano per loro. Strano che abbiano scelto proprio me, Sherif.<\/p>\n
Sento le lacrime che scendono sugli zigomi. Sono felice. Hassan, ah, chiedo scusa se non vi ho detto il nome del finto Zio fino ad adesso, mi fissa senza dire una parola. Prepara la cena. Ci sediamo uno di fronte all’altro. Ha cucinato la pasta con i funghi.<\/p>\n
-“Sono tagliatelle” Spiega.<\/p>\n
Le ingoio come un ingordo. La fame e la felicit\u00e0 mi hanno rapito come un folle. Lui ride.<\/p>\n
-“Allora, come ti sembra?” Chiede.<\/p>\n
-“\u00c8 straordinario” Rispondo. “Non so come restituirti questo favore. Ti sar\u00f2 grato per tutta la vita”. Lui sorride.<\/p>\n
“Un modo per ringraziare si trova sempre” Dice.<\/p>\n
Si alza dal tavolo. Apre il frigo e tira fuori un pacco. Lo apre e da l\u00ec tira fuori delle pastiglie.<\/p>\n
-“Le vedi queste?”<\/p>\n
-“S\u00ec, cosa sono?” Chiedo sorpreso<\/p>\n
-“Qua le chiamano pasticche. Ti aiutano a vedere meglio il mondo. Non rotondo, ma quadrato. Lo misuri col tuo passo e giungi a tanti metri quanti dici tu. Per convincerti, provane una. Non ti fa male. Dunque, questo \u00e8 il tuo lavoro. Facile e senza sudare. Spargitore di pasticche. Al resto ci penso io. In quel momento sento l’oscurit\u00e0 coprirmi lo sguardo. Non voglio capire. Mi metto le mani sulle orecchie per proteggerle da cosa hanno sentito.<\/p>\n
– “Ecco, questa \u00e8 la storia della mia vita, ispettore”. Sherif, sospira a lungo intimidito con le lacrime che si asciugano sulle guance e seduto di fronte ad un tavolo pieno di carte. Guarda triste lo zaino scolastico che tiene stretto, dove all’interno c’\u00e8 l’unica cosa che lui ritiene preziosa : la foto della sua famiglia.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"
Il numero dei minori albanesi non accompagnati in Italia \u00e8 in aumento. Sono ragazzi da 14-17 anni che cercano un futuro migliore. Che cosa \u00e8 cambiato per il meglio o non dall’ondata degli anni 90′? I sogni continuano rimanere ancora tali?<\/p>\n","protected":false},"author":703,"featured_media":22077,"comment_status":"closed","ping_status":"open","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[21],"tags":[3741,13308],"yoast_head":"\n