Ho lasciato Shkodra per intrufolarmi nei paesini vicini. Mi sarebbe piaciuto risalire il fiume Kir ma ho scelto di proseguire verso sud, perdendomi così una visita nella fortezza di Drisht.
Ma in cambio mi fermo davanti alla centrale idroelettrica di Vau i Dejës, una fortezza moderna fatta di acqua e di amicizie dei tempi passati. Quelle con la Cina. Infatti la centrale portava il nome del condottiero Mao Tse Dung fino a quando l’amicizia tra il comunismo cinese e quello albanese non ebbe fine. Perché le amicizie ideologiche sono come l’amore; una volta finito, il nome del prescelto scompare dal diario. Comunque non molto lontano c’è una vecchia fortezza oramai abbandonata al suo destino, il castello di Danja, una volta oggetto di disputa tra Skanderbeg e i veneziani.
Al nord le testimonianze del passato non sono visibili come al sud. Meno ozio e pilastri di marmo ma ugualmente pieno di odore antico. Paesi abbandonati per malattie, guerre e forse superstizioni, che hanno lasciato qualche sasso squadrato o qualche ciotola per essere ricordate dalle generazioni future.
La vecchia strada che porta da Vau Dejës a Lezhe (costruita dagli italiani) ha molto fascino perché è battuta solamente dagli abitanti della zona. Una strada panoramica che si fa accompagnare da querce nane, carpine, melograni selvatici e le tartarughe, che stranamente nel periodo luglio-agosto scendono in strada inseguendosi. Per la stagione dell’amore non sono sufficienti i boschi e ci vuole la scena adatta.
Naraç e Hajmel
Una sosta sul ponte del fiume Gjader è d’obbligo. Anch’esso costruito dagli italiani unisce i due paesini che il fiume divideva: Naraç e Hajmel.
Le fate del fiume non fanno più il bagno senza pudore perché le acque sono torbide a causa degli scavi per la costruzione della centrale idroelettrica. Presto diventeranno “le fate della centrale”. La stessa sorte che è toccata alle cugine più famose che popolano il fiume Valbona.
Inseguendo il fiume verso est vi si arriva al castello di Vig, un forte romano che controllava l’ingresso nei paesi di Mirdite e che ora e ridotto pressoché a un mucchio di sassi. L’ho già visitato decine di volte perciò proseguo dritto lasciando alla sinistra la Vetta di Hajmel (Shita e Hajmelit) alta circa 600 metri.
Dicono che anche lassù in cima ci siano segni di vite passate. Alcuni giurano di avere visto anche dei ganci per far attraccare le navi. Troppo faticoso salire lassù; meglio immaginare Noè che nel suo tragitto si fermò con la sua nave sulla vetta e con una manovra maldestra fece crollare un pezzo della montagna. Una frana che gli abitanti chiamano “Mali i rrezum” ovvero “la montagna caduta” dove è nato anche un paesino che riporta lo stesso nome.
Nënshat
Forse l’arcangelo Michele con le sue milizie celesti stava combattendo in un altro universo, mentre la chiesa di Nënshat a lui dedicata, cadeva a pezzi.
Sono le conseguenze dell’esperimento messo in atto dall’Albania comunista, con il suo ateismo di stato. Non abbiamo ucciso Dio, nonostante l’intenzione, ma l’abbiamo obbligato a fingersi morto. E meritiamo un grande riconoscimento perché tra atei confusi e credenti bigotti qualcuno ci doveva pur provare. Sembra una follia ma a me piace pensare che si tratti solamente del desiderio di punire un dio che ci aveva dimenticati da sempre in periferia. Semmai più dannosi furono “gli effetti collaterali”, come i preti fucilati e imprigionati, la distruzione dei luoghi di culto, la stigmatizzazione del latino come lingua della chiesa e la perdita di molti scritti prodotti dai religiosi. Si salvarono alcune chiese che furono convertite in magazzini e stalle. Una sorte migliore ebbe la cattedrale di Scutari, convertita in palazzo dello sport. Fu un tentativo mal riuscito del potere di controllare anche l’aldilà.
Se provate a raccontarlo in Italia vi prenderete delle pacche sulle spalle, come per dire: “Bravi per il coraggio!” Ma non fattevi ingannare perché non avete ascoltato l’ultima parola non pronunciata: “idioti”. Perché è più probabile incontrare un credente bigotto visto che solamente il 12 percento degli italiani si dichiara ateo. Non siate invidiosi; l’Iddio in Italia non sta meglio. È malato per la tanta ipocrisia aggrappata ai sontuosi edifici religiosi, morente per le bestemmie e perduto per i tanti scandali della chiesa. Forse stava meglio quando dormiva sonni tranquilli in Albania.
Ora qui a Nënshat c’è un convento di monache carmelitane. Il luogo e stato riqualificato con molto gusto, e da qui si può godere un panorama unico sulla pianura di Zadrima.
Krajnë
In quella battaglia con Dio qualcosa abbiamo guadagnato. Non ci sono più i preti che una volta non benedivano il pane di pasqua ai contadini che non avevano la possibilità di pagare la decima, mandandoli alla disperazione. Stavolta si sono presentati i preti missionari che hanno dato un aiuto concreto alla popolazione. Come nel caso di Antonio Sciarra un prete che ha lasciato la sua impronta nella zona offrendo alla popolazione arnesi di lavoro, piante da frutto e corsi per imparare nuovi mestieri. Anche la chiesa di Krajnë è stata costruita dagli apprendisti muratori, preparati con i corsi organizzati da padre Antonio che ha vissuto una dura vita nel paese; minacciato, deriso e derubato.
Tra gli altri corsi c’era anche quello dedicato alla ceramica e terrecotte di cui è rimasto testimone Vasil Kukaj che ha aperto un laboratorio dove espone i suoi lavori in terracotta, con motivi della zona, preferiti come souvenir dai turisti di passaggio. Lui e gli altri non dimenticano mai l’opportunità offerta da padre Antonio e da ciò possiamo dedurre che ogni offerta che è stata fatta a questo prete non è stata smarrita, ma è stata fatta arrivare laddove ce n’era bisogno.
Fishta
Il piccolo paesino di Fishta è diventato famoso grazie al lavoro dei fratelli Prenga che hanno costruito il più rinomato agriturismo in Albania. Si chiama Mrizi i Zanave nome preso in prestito dall’omonima opera di padre Gjergj Fishta “il Meriggio delle Muse”. Il loro lavoro ha suscitato molto ammirazione anche grazie l’aiuto concreto offerto alle famiglie del posto tramite l’acquisto di animali, latte, uova o altri prodotti ortofrutticoli che i contadini coltivano nei loro orti. Un posto tranquillo situato presso una collina dove fanno ombra querce e i cornioli.
Oltre al ristorante c’è anche un piccolo albergo realizzato con un’architettura dove si intrecciano passato e presente. Così come il menu del ristorante con cibi tradizionali portati alla massima raffinatezza che ripaga anche i palati più esigenti. Un posto che oramai non ha bisogno di alcuna pubblicità perché è già conosciuto non soltanto dagli albanesi ma anche dai moltissimi turisti che hanno avuto la fortuna di trovare un posto libero per pranzare. Perché l’unico difetto trovato anche da chi recensisce nel web è proprio la battaglia per trovare un posto libero. Perciò munitevi di pazienza e prenotate in anticipo.
Non solo Mrizi i Zanave
A due chilometri dall’agriturismo si trova un altro ristorante del nome assai invitante “l’Oasi di Fishta” ovvero Oazi Fishte. Costruito sulla riva di un laghetto che durante il comunismo serviva per irrigare i campi di mais, gode di un panorama originale. La vista sul lago si combina a quella della montagna Vela che si innalza vicino a Lezha.
Mi avvio verso Troshan, ma questa è una storia che racconterò un’altra volta.
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