Il 9 ottobre scorso è stato presentato a Tirana, nella sala concerti del Teatro dell’Opera, il volume “Nje italiane ne Tirane” traduzione albanese (a firma Jmmy Lazri), del romanzo di Serena Luciani “Terremoto a Tirana”, sugli anni storici del cambiamento, 1988/89/90, nei quali l’autrice dirigeva l’Istituto Italiano di Cultura. Cosa può volere di più un’autrice?
Sono partita il 23 settembre in traghetto da Brindisi con la mia auto nuova, una Tata indiana, a benzina e a gas, alla partenza un uomo dell’equipaggio ha scherzato “Tata? macchina per bambini!”, i miei amici albanesi che, quasi unici, ormai, non hanno un’auto perchè non guidano, temevano che non avrei trovato il gas, invece è qui in Italia che devi fare i salti mortali per trovarlo, persino a Roma, in Albania lo trovi dappertutto, un tocco di modernità molto utile per risparmiare, direi. Traversata a mare piatto, sonno senza interruzione in cabina multipla, ma vuota, per fortuna, non è stagione. Devo dire, a onor del vero, come pulizia molto meglio il ritorno da Durres con l’Adriatica, che all’andata con la greca Agoudimos.
A Vlora abito da amici carissimi in una bella casa, di quelle nuove, non è che io ami i palazzoni, anzi per niente, ma se proprio bisogna farli, meglio in città che a rovinare la costa così bella.
Ce la faranno gli albanesi là dove tutti hanno fallito, Italia, Francia, Spagna, tutte ex belle coste stravolte da interessi economici pesanti e dalla follia di volere tutti la casa sulla spiaggia (guardate Durres, è peggio della periferia di Bari, begli edifici, in sè e per sè, ma chi lo capisce più che Durres è una città di mare?).Vlora, per ora, si salva ancora. Anzi, se ci si arrampica in alto sulla collina sovrastante si gode la vista di un panorama straordinario: a sinistra sul golfo, abbracciato dal promontorio del Karaburun, a destra sulla laguna, uno splendore di luci che si riflettono tra acque e cielo, noi lo abbiamo visto al tramonto dalla terrazza di una signora che ci ha invitato ad entrare, vedendoci curiosi, e ci ha offerto grappoletti d’uva e bevande fresche, con quell’ospitalità così dolce che ancora non è andata perduta, per fortuna.
Tra le strade sconnesse compaiono case che qualcuno sta restaurando con amore, rispettando la pietra, qualcun altro sciupando per ignoranza con materiali inadatti, come dappertutto. Qualche antico archetto di pietra all’ingresso è scolpito, in un caso, con la luna e il sole. Un posto fuori dal mondo, ma un tedesco è già arrivato! ed ha acquistato una casa. Beato lui! ma io preferirei la mia amatissima Vunò, magari un buco di casa, ma con un pò di terra per fare un giardino che sogno da tempo, un giardino musicale, uno specialista mi ha detto che non esiste in tutta Europa, che bello sarebbe farlo in Albania, finchè la costa si salva, o anche per contribuire a salvarla, perchè no?Con la mia amica pianista, donna talentuosa, bella e forte, schietta, trascorriamo (assieme a mamma e suocera, qui non ci sono badanti!) quasi una settimana al mare, spiaggette deserte, fra Vlora e Oricum (antico insediamento romano) se ne trovano tante e, incredibile per un porto! sono pulite, ben tenute, hanno eccellenti ristorantini. In una di queste il proprietario scaccia una mucca che si azzarda sulla battigia, ma noi facciamo in tempo a scattare una foto che piacerebbe al mio amico Luigi Berliocchi, studioso di giardini, che amava le caprette albanesi in riva al mare, com’era un tempo in Abruzzo. Luigi purtoppo se l’è portato via un cancro a 45 anni, aveva scritto un magnifico libro sulle orchidee, sempre pubblicato e ristampato dal mio editore, Stampa Alternativa, un altro su pittura e paesaggio Mediterraneo insieme ad uno storico dell’arte per Motta, uno sui giardini scomparsi a Roma, ne aveva in testa uno sulle piante spontanee fra i ruderi di Roma…insomma, abbiamo mangiato e bevuto alla sua salute, prima, come sempre, sono arrivati gli antipasti, deliziose bruschette con olio eccellente, ormai l’olio albanese è competitivo per qualità sul mercato mondiale, forse un filo troppo caro. Poi zuppa di pesce, frutti di mare freschissimi, vongole veraci, gamberi e cozze che sapevano di mare ( e non di fogna, come spesso a Roma) in un sautè fatto alla perfezione, non abbiamo fatto a tempo ad esprimere il desiderio di pulirci la bocca con un pò di frutta che è comparso come per miracolo un piattone con graziose fettine di pesche, melone, mele. bisogna dire che il servizio in Albania è superiore, pur nelle condizioni di un paese ancora molto contrastante nelle sue strutture: ti viene tolto il portacenere e portato uno pulito spesso, per esempio. La città di Vlora patisce come la capitale la stessa caotica urbanizzazione degli ultimi dieci anni, in più, senza quelle infrastrutture ad alleggerire il tutto che troverò poi a Tirana ( giardini curati, strade rifatte etc.). Di buono c’è che, mi dicono i miei amici, il loro palazzo è antisismico, poggia su una piattaforma basculante. Un sistema usato dai giapponesi, mi pare, che sono all’avanguardia nel campo. Un giorno ci siamo spinte con la Tata fino ad Apollonia, sempre bellissima, ci sono degli sposi a fare foto sullo sfondo del teatro e una bella ragazza in un lungo vestito rosso spiccherà nella mia foto sullo sfondo della chiesa ortodossa, quella che compare nel mio romanzo con i suoi capitelli, uno dei quali con la famosa SIRENA A DOPPIA CODA che ha un ruolo molto significativo nella mia storia.
Quando arriviamo a Gjirokastra il Festival sta quasi per concludersi, ma dentro il castello faremo ancora in tempo as ascoltare e vedere tanti gruppi esibirsi. Finalmente! è la prima volta per me da che conosco l’Albania.
Me ne piacciono molti, ma in modo particolare quello di Dibra, (dove non sono mai stata) che però non vince premi: la danza dell’uomo che sembra un pesce con le sue mani nell’aria mi affascina.
La mia amica ed io ce ne andiamo di giorno in giro per le stradine meno battute della bella città cantata da Kadarè, ora alquanto sciupata rispetto all’epoca del comunismo, ma in restauro, almeno, si spera, anche se cantieri se ne vedono pochini, per ora.
Girellando scopriamo un minuscolo giardinetto molto, molto ben curato. Subito un signore magro ci invita ad entrare nel cortile soprastante, e ci offre un raki. Scherza con ironia sopraffina, come fanno molti albanesi, non solo quelli di Skodra, che ne hanno la fama. Ci racconta una storia grottesca: come io ben so, durante il comunismo era vietato avere rapporti con stranieri, lui si scambiava con un italiano francobolli e libri, ma l’italiano ne inviava troppi, rischiava di insospettire i “controllori”, sicchè con altra calligrafia gli fece scrivere che lui, Tajar, era morto! L’invio di lettere cessò e con esso il pericolo. Finito il comunismo si affrettò a scrivere che no, non era vero, lui era vivo e riprendeva lo scambio epistolare con l’amico di penna. E qui il destino ci ha messo la firma: gli risposero che ora era il suo amico italiano ad essere morto, ma questa volta per davvero. Abbiamo riso tutti e tre in modo irrefrenabile e apparentemente crudele. “Scrivila, giacchè sei una scrittrice, questa storia.” Tutta l’Albania strabocca di storie, perchè è una terra di contrasti, e i contrasti muovono la narrazione. Ci ha donato un suo libricino di Aforismi e Sentenze, alcune le ho capite senza aiuto e mi hanno molto divertito. Quando ci ha fatto vedere in casa il suo albero genealogico, curiosamente composto da soli nomi maschili, la mia amica aveva già capito a che famiglia conosciuta appartenesse, il nostro professore di chimica ricco di humour e senso della bellezza.
Io, ovviamente, no.
Sicchè quando ha detto:” sto aspettando la visita dell’Ambasciatore americano, ma sono stato più contento di ricevere oggi voi due che siete così simpatiche” ho pensato che da un lato era un complimento da vecchio gentiluomo meridionale e dall’altro un attacco di grandeur non infrequente negli albanesi.
Macchè, come mi sbagliavo.
L’ho capito subito dopo, quando la mia amica mi ha spiegato che lui era il cugino di una donna della quale avevamo visto la statua in piazza, fondatrice nel dopoguerra di un partito socialdemocratico, che aveva chiesto senza ottenerlo il sostegno degli americani. Conclusione: 37 persone, tra cui due suoi fratelli, coinvolt
i in quel partito, erano stati uccisi e lei era finita in prigione per anni. Gli americani non erano intervenuti, il mondo era diviso in due, ognuno faceva le sue porcate nel suo campo, senza disturbarsi a vicenda.
Eravamo già a Tirana quando abbiamo letto gli articoli sulla visita riparatrice dell’Ambasciatore americano a Tajar, dopo sessanta anni.
Quell’incontro con una persona così speciale ci ha reso euforiche e tanto più perchè avvenuto casualmente, come piace a me.
Salutiamo prima di ripartire per Tirana la signora del negozio di biancheria finemente ricamata e da brave “artiste” acquistiamo per me due tendine, bellissime ma… di lunghezza diversa! troppo prese dalla loro bellezza, non ce ne siamo accorte, sicchè ora finirà nella mia casa romana come in quella casa siciliana del principe di Palagonia, dove tutto era storto, comprese le gambe delle sedie. Sarà materia per le critiche delle amiche ordinate. Anche le critiche, per quanto scoccianti, producono storie. Anche i pettegolezzi, dunque debbo prima o poi imparare a familiarizzarmici. Sono ancora un pò indietro, alla mia età ancora mi annoiano.
Sulla strada del ritorno ho voluto visitare ancora una volta le rovine di Byllis, ma senza l’immaginario archeologo del mio romanzo è impossibile vedere i magnifici mosaici. È ugualmente emozionante.
A Tirana sembra che nulla sia ancora pronto per presentare il mio libro, neppure il libro stesso.
Come all’epoca in cui, nell’89, organizzai la Prima Mostra del Libro Italiano al Museo Storico Nazionale. Ma mentre allora non conoscevo ancora bene gli albanesi, ora sì e quindi non mi preoccupo affatto. Si stabilisce la data del 9 ottobre e il luogo: il Teatro dell’Opera, che è in fondo il protagonista del mio romanzo, la vera Casa nella quale la protagonista si sente sempre a suo agio, dove incontra il Maestro, che rimarrà per sempre suo amico. E che ormai da anni lo dirige, quel Teatro, riuscendo, con pochissime risorse del tutto inadeguate, a far essere il cartellone a livello europeo. Lavora dalla mattina alle 8 fino alla sera alle dieci e mezza, e con lui Frida, una segretaria intelligente ed efficiente che qualunque manager vorrebbe avere con sè, e Luigi, il direttore di scena a cui nulla sfugge, ma anche le maestranze, i tecnici, che lavorano in senso inversamente proporzionale alla pochezza del salario.
Quando vengono gli italiani rimangono sbalorditi da tanta dedizione e orgoglio d’appartenenza. I risultati di tanto amore e competenza si vedono, e il mio amico Zhani è oggi la persona più amata d’Albania, ovunque andiamo qualcuno ci saluta con affetto e rispetto o offre un brindisi.
Nell’attesa del 9 riesco a sentire tre concerti di giovani molto piacevoli. Fra l’Opera, il Conservatorio e l’Orchestra della Radiotelevisione, a Tirana la buona musica non manca mai.
Due giorni prima vado alla presentazione del terzo volume delle memorie dell’ex Presidente della Repubblica, Moissiu, la sala è strapiena, il tutto dura 45 minuti. E viene il giorno 9: in sala riconosco scrittori, critici, vecchi amici, registi, pittori, musicisti. Una poetessa con una lunga coda di capelli scuri mi porge un mazzolino di ciclamini raccolti in un prato. Subito dopo l’editora, Irene Toci di Toena, parla il Maestro Zhani Ciko, poi la ex-Ministra della cultura Suzana Turku, la famosa scrittrice Diana Culi, infine l’ottimo traduttore, Jmmy Lazri. A conclusione parlo io. Il tutto dura un pò troppo a lungo, forse, ciononostante giornalisti e operatori televisivi resistono impavidi. Appena finisce, mi assalgono: ne verranno fuori dieci articoli sui principali quotidiani, di cui tre interviste a doppiapagina. E cinque o sei in Tv, da 5 ad addirittura 20 minuti nelle news, un successo travolgente ad un livello superiore alle mie aspettattive. Grazie a chi ha organizzato così bene il tutto, ma grazie anche all’affetto, reciproco, degli albanesi. Non sono presenti “ufficialità” italiane, che so, diplomatici della mia Ambasciata o la collega dell’Istituto di Cultura, che evidentemente sono occupati altrove, ma alla fine questo piccolo sgarbo ingiustificato, (almeno sul piano della buona educazione, se non dei compiti istituzionali), si rivelerà un bene, quando leggerò su un quotidiano che malignamente gli artisti e scrittori delle varie “settimane della cultura” (spagnola, austriaca, italiana) vengono considerati come dei raccomandati che “non stanno sul mercato”.
Il mio romanzo “sta sul mercato”, senza raccomandazioni ufficiali di sorta, (bello o brutto che sia lo decidono i lettori), e resterà per sempre una documentazione preziosa di un’epoca scomparsa.
Passano gli anni, celebriamo il ventennale della caduta del Muro di Berlino, ma si trova sempre qualche zelante funzionario, ad ovest come un tempo ad est, totalmente privo di sense of humour, pronto ad ammannire un pò di censura. E che sarà mai! Quando lavoravo alla Rai nel ’71 ( “Incontri a tre”, una trasmissione sulla scuola) ricordo che ci censuravano mezz’ora prima di andare in onda. E siccome c’era il pentapartito, lo facevano a raffica, dal meno potente in su, fino alla DC che stava in cima alla cupola. Noi, ingenui, pensavamo che il telespettatore se ne sarebbe accorto, per via dei tagli grossolani fatti e ricomposti in fretta. Macchè, non si accorge di nulla, il telespettatore. Sono rimasta una settimana in più per assistere alla prima di Porgy and Bess, un evento del tutto inedito, per l’Albania, che ha avuto un successo notevole per nulla scontato. Per me è stato un piacere assistere, come sempre, alle prove, le difficoltà, il lavoro e l’armonia che crescono. Ne ho approfittato per rivedere vecchi amici e girellare per Tirana a scattare foto che riprendono il vecchio e il nuovo. Ho mangiato sempre benissimo, in ogni ristorante, tranne, debbo dire, al troppo famoso Taivan, il mostro a forma di piovra. Ma da Oda un’orgia di squisitezze, tutte le specialità regionali di cibi e rosoli e grappe albanesi, oramai quasi rari, soppiantati dalla cucina italiana imperante, da Rozafà ottimo pesce fresco ben cucinato, e altri ancora. L’atmosfera, come avrete capito, da parte albanese è stata molto affettuosa, due giorni dopo la presentazione il romanzo era in tutte le librerie, persino nei supermercati, e lì la giovane commessa già lo stava leggendo. Dappertutto, dopo tanti passaggi in TV, mi riconoscevano e mi chiedevano, curiosissimi. Come scrisse Manzoni nel suo saggio sul Romanzo storico, e lo cito a memoria, “chiunque scriva anche un solo romanzo storico non potrà sottrarsi alla domanda: ma questo che hai scritto è vero o te lo sei inventato?”Ecco, direi che non solo per me, ma per tutti gli scrittori di romanzi storici, valga un principio: “tutto ciò che appare inverosimile, è reale, tutto ciò che appare reale, è inventato”.
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