Non è facile trovare qualcuno che conosca le dinamiche del calcio albanese come Andi Matraxhiu, ex giornalista e oggi tra i più influenti procuratori sportivi albanesi. Proprio per questo, in questa quarantena da Covid-19, ci siamo fatti raccontare da lui a che punto è il calcio albanese e come sta affrontando questa pandemia mondiale.
Andi sei nel panorama calcistico albanese da molti anni, prima da giornalista e oggi come agente FIFA (più le esperienze come direttore sportivo): com’è cambiato il calcio in Albania in questi anni?
Ho avuto anche una breve esperienza come ultras dell’Elbasani, la squadra della mia città, nel 2006 quando vinse il campionato; sono stato tra i fondatori del gruppo ultras “Tigrat Verdheblu”. Poco dopo come hai menzionato mi sono dedicato al giornalismo sportivo, per poi successivamente diventare agente FIFA.
In quanto al calcio in Albania, proprio adesso sto guardando una replica del derby Tirana-Partizani della stagione 2003/2004 e si nota in maniera evidente come ci fosse un altro “background” rispetto a oggi. In particolare, c’erano molti più giocatori provenienti dai settori giovanili albanese e pochi stranieri che però facevano la differenza. Oggi, invece, la situazione si è invertita: gli stranieri sono tanti e non fanno la differenza, mentre i prodotti dei vivai dei club albanesi sono molto meno.
In diverse occasioni hai denunciato la mancanza di professionismo in Albania, in questo senso cosa c’è ancora da migliorare in Albania?
C’è ancora tanto da migliorare. Io ho denunciato diverse volte queste “irregolarità” perché amo questo sport. Viviamo nell’epoca delle apparenze, per questo non bisogna credere che ciò che appare perfetto lo sia necessariamente in realtà. Tuttavia, bisogna sottolineare che la federcalcio albanese ha svolto un’eccellente lavoro in quanto alle infrastrutture.
Oggi tutte le squadre, anche quelle che non dispongono di un campo sportivo proprio, hanno un impianto in cui allenarsi regolarmente. In ogni caso, ciò che lascia ancora alquanto a desiderare in Albania è il fatto che alcune persone che finanziano il calcio albanese non hanno ancora capito che una squadra inizia dal magazziniere e dalle divise da gioco e finisce con l’accappatoio e le ciabatte per entrare in doccia, tutte cose che devono essere pronte per i calciatori. Qui in Albania confondono questi piccoli dettagli con l’essere presuntuosi, ma si tratta semplicemente di professionismo.
La pandemia del Covid-19 sta causando diverse problematiche nel mondo del calcio. Come la sta affrontando un’economia debole come quella del calcio albanese?
Il problema principale causato dalla pandemia è che diversi club non stanno pagando gli stipendi ai giocatori, anche se – a dire il vero – questo a volte succede anche quando una squadra sta andando bene. Per i calciatori della Superliga, che guadagnano dai 1000 ai 6000/7000 euro mensili, è un enorme danno ma il problema è ancora più grande per i giocatori della Kategoria e Parë (Serie B) che guadagnano dai 20.000 (159 euro circa) ai 50.000 (400 euro circa) lek mensili. Per loro e le loro famiglie non ricevere quei minimi salari equivale ad un massacro.
Questo rappresenta l’ostacolo principale per la ripresa del campionato albanese ma, come ho anche detto in altre interviste, c’è almeno un aspetto positivo ovvero che alla ripresa molte squadre faranno affidamento su giovani giocatori albanesi, che in questi ultimi anni non hanno goduto di spazio sufficiente. Questo accade perché vige una mentalità “stagionale”, si pensa esclusivamente al campionato in corso e non – fatta qualche rarissima eccezione – a programmare per il futuro.
Si arriverà, quindi, ad un accordo tra società e calciatori per la questione stipendi?
In questo momento molti calciatori non hanno il “coraggio” di lamentarsi pubblicamente, ma si lamentano “dietro le quinte”, perché c’è un grave problema con gli stipendi. La Federcalcio ha adottato un pacchetto d’emergenza che, però, non comprendeva tutte quelle squadre che non appartengono ai privati e che quindi sono di proprietà delle province. Appartenere a enti pubblici come le province non è sinonimo di garanzia dei pagamenti, ma la Federazione non ha il potere di ordinare a queste di effettuare i pagamenti.
Per sopperire a questo potrebbe inserire prima dell’inizio della stagione un budget annuale minimo di cui di tutte le società devono disporre per iscriversi al campionato, ma abbiamo già visto in passato che quando la Federazione può chiedere un occhio in quanto a criteri per l’iscrizione, lo fa senza pensarci due volte.
Passiamo alla Nazionale. Se fossi il presidente della FSHF, avresti confermato Edy Reja? Come giudichi l’operato dell’allenatore italiano?
Se fossi il presidente della FSHF mi sarei tenuto stretto De Biasi, non perché insostituibile ma per quel legame unico che ha creato con la Nazionale e perché riuscito a capire perfettamente quello che eravamo e dove potevamo arrivare. In quanto a Reja, è un allenatore il cui curriculum parla da sé che lo rende un privilegio per il nostro calcio. Tuttavia, sono ancora scettico sul suo lavoro perché la sua mano sulla squadra non si è ancora vista del tutto, non so se sia stato a causa del poco tempo o per qualche altro motivo.
Quando giudichiamo il suo lavoro, non va paragonato né a Panucci né a qualsiasi altro commissario tecnico che ha avuto l’Albania; dobbiamo esclusivamente valutare se Reja è in questo momento l’uomo giusto per la Nazionale. L’Albania sta vivendo un delicato momento di ricambio generazionale: una rivoluzione che deve essere effettuata gradualmente. L’età non gioca a vantaggio di Reja, per questo non sono convinto al 100%.
La nazionale sta facendo affidamento su molti giocatori giovani che giocano nei principali campionati europei come la Serie A. Cosa dobbiamo aspettarci da questa generazione? Si può migliorare quello che è stato raggiunto da De Biasi?
Non dobbiamo basarci solo su Strakosha, Djimsiti e gli altri che giocano in Serie A per la Nazionale. Come Albania non abbiamo giocatori scarsi, ma non abbiamo il gruppo giusto di giocatori in questo momento. In questo senso, voglio ricordare il lavoro di “scouting” fatto da De Biasi, che è andato a scoprire ad uno a uno i giocatori viaggiando nei paesi in cui militavano, vedendoli giocare da vicino, conoscendoli e progettando un piano ben definito riguardante la Nazionale.
Oggi, invece, non accade nulla di tutto questo. Ci sono giocatori che stanno facendo benissimo in diversi campionati europei ma che non vengono seguiti perché semplicemente è stato deciso che non devono essere presi in considerazione. La Nazionale, inoltre, sta pagando il ritiro di alcuni calciatori che erano stati fondamentali nella gestione De Biasi come il capitano Lorik Cana, anima e leader di quella squadra.
Penso sia prematuro parlare di una Nazionale che possa raggiungere quanto fatto da De Biasi, serve una strategia ben definita come accaduto con l’allenatore veneto, allora sì che si potrà ricominciare a parlare di grandi obiettivi.