Rando Devole, nato a Tirana, sociologo, traduttore e giornalista, ha studiato a Roma, dove si è laureato in Lettere e in Scienze Sociali.
Di seguito riportiamo il suo intervento alla conferenza del 21 febbraio.
Cosa è successo all’italiano in Albania?
Devo fare una premessa: l’Italia e l’Albania sono due Paesi che hanno una storia comune: sono unite da un lembo di mare e hanno una solida amicizia. Vorrei partire facendo riferimento ai prestiti: la lingua albanese, di origine indo europea, dal mio punto di vista bellissima e interessante, in realtà prende molti prestiti dalla lingua italiana. Per esempio, visto che siamo a Venezia, possiamo citare la parola ruga, che in albanese significa strada, via ed è presa proprio dal dialetto veneziano di tanti secoli fa, quando la Serenissima aveva rapporti molto stretti con alcune città dell’Albania.
L’italiano era molto diffuso durante il regime totalitario albanese, sicuramente era al primo posto. Non dico tutti, ma gran parte della popolazione parlava la lingua italiana: un’usanza influenzata dalla tradizione, dai legami storici e dalla TV del Bel Paese che veniva captata in Albania. Il fattore più importante del successo della cultura italiana risiedeva nella visione dell’Italia e dell’italiano come il luogo geometrico della libertà, in un Paese nella morsa del regime. L’Italia era un modello di modernità, quindi era molto attraente.
La diffusione della lingua in Albania è rimasta corposa anche negli anni ’90, per poi registrare un calo costante e forte. Oggi, le nuove generazioni non imparano più l’italiano: studiano l’inglese, il francese, il tedesco e altre lingue. L’italiano ha, quindi, perso terreno, probabilmente con la complicità di nuove piattaforme come Netflix e internet.
Come ridare smalto alla lingua italiana?
Intanto, dovrebbe essere un’azione sistemica; non è sufficiente un fattore solo o un’azione sola. Bisognerebbe uscire da una visione burocratica dell’insegnamento dell’italiano, che dovrebbe essere di profilo culturale e di ampio respiro. Viviamo nell’epoca dell’utilitarismo, quindi l’inglese è utile per il lavoro, l’italiano potrebbe essere utile per chi studia architettura? Oppure musica? Arte? Cucina? Giurisprudenza? Dovrebbe divenire uno strumento di lavoro.
Mi preme sottolineare il ruolo dei flussi migratori. Essi sono molto importanti anche per la lingua: poco fa sono state citate le minoranze linguistiche e allora posso fare riferimento agli arbëreshë che rispecchiano, anche, i nuovi flussi migratori. Quelle degli albanesi d’Italia sono tra le comunità più importanti della nazione, con i matrimoni misti delle seconde generazioni; da considerare anche gli italiani che vivono in Albania attualmente, che non sono tantissimi, ma la loro presenza cresce di anno in anno.
Vorrei aggiungere, infine, che la lingua va curata e coltivata, perché come diceva lo scrittore Ferreira, essa è un luogo da dove si vede e si sente il mondo, il mare e le montagne. Diciamo che la lingua ha una sua corporeità e una sua fisicità, con i suoi fonemi le sue lettere e punteggiature. Per riprendere un’altra metafora, adottata da molti studiosi, la lingua è una casa dove cresce e si coltiva la nostra identità.
Questo vale anche per l’albanese, ovviamente e non va dimenticato che in questa casa ci sono le regole di convivenza, che vanno rispettate: essa va mantenuta e arredata bene. In poche parole, bisognerebbe destare nuovamente l’interesse verso la lingua italiana, suscitare sentimenti d’amore o di rispetto, di curiosità, di sogno e siccome essa è connessa in modo inscindibile alla bellezza, penso possa essere un’impresa non così difficile da realizzare.