Non sappiamo molto di Terzilio Cardinali, comandante del battaglione Antonio Gramsci, medaglia d’oro in Albania e medaglia d’argento in Italia. Oggi ricorre il suo anniversario della sua morte, ma non ne sappiamo molto lo stesso.
La storia ufficiale parla di un giovane fornaio antifascista di Arezzo, mandato a combattere per gli fascisti in Albania. Parla di un ragazzo coraggioso ed altruista, di quelli che oggi vengono chiamati “veri leader”. Però a volte la storia prende una piega diversa dalla realtà dei fatti, specie se a scriverla sono i vincitori. Allora la storia del regime si adopera per costruire una versione ufficiale che si sovrappone all’uomo reale quasi fino a soffocarlo. Non so se sia andata così anche per il comandante Cardinali, ma temo di sì. La storia odia il vuoto: aggiunge la spavalderia dove magari c’era solo il pudore, sostituisce la rudezza con la gentilezza, finché questo velo eroico non ricopre la normalità e lascia solo il gusto di una storia sentita e stra-sentita.
Meglio attenerci ai fatti, quindi. Dopo la capitolazione del non-impero fascista (Quel maledetto giorno di settembre… ) i soldati italiani dislocati in Albania diventano solo un esercito di sbandati. Senza più ordini da Roma sono presi tra l’incudine nazista e il martello delle brigate partigiane, il tutto in un territorio sconosciuto e aspro come quello dell’Albania degli anni ’40. Tornare in Italia non è possibile, non ancora. Chi ci prova o chi si arrende agli ex alleati nazisti sta andando incontro a una morte certa, ma non lo sa ancora.
Terzilio Cardinali incontra Mehmet Shehu , capo militare delle forze della resistenza albanese, il 9 Settembre 1943 presso il fiume Erzen. Tra i tanti italiani dislocati in Albania, il sergente trentenne della Divisione Arezzo sembra l’unico ad avere una visione. Offre a Mehmet Shehu la sua fedeltà e quella dei suoi uomini offrendo(o forse accettando?) di unirsi alla resistenza albanese. E’ il giorno della nascita del battaglione Gramsci, composto interamente da italiani e appartenente alla prima brigata partigiana, un battaglione sulla cui storia tanto si è scritto ma tanto si dovrebbe ancora scrivere.
“Per scegliere il nome di Antonio Gramsci non fu mai fatto il nome di “comunista” o altro.” ricorda il vice commissario politico James Bonora. “Fu detto – Gramsci fu un martire del antifascismo morto in carcere per colpa del Duce; se volete mettere questo nome voi combattete con il nome di uno che l’antifascismo l’ha messo in pratica da sempre, e abbiamo accettato volentieri il nome Battaglione Partigiani Italiani “Antonio Gramsci”.
Forse l’aspetto più importante del Gramsci non è, di per sé, la guerra. Forse l’aspetto più importante è il riscatto. Il fatto di aver restituito una dignità e un obiettivo a soldati inviati allo sbaraglio, quindi traditi e successivamente abbandonati. Questo è merito di tanti attori di quella scena, ma soprattutto del Cardinali che seppe ricostruire una formazione militare lì dove c’erano solo uomini impauriti, braccati ed affamati. Capì che quando si combatte per la libertà non esistono Paesi sbagliati, solo parti sbagliate, e riuscì a farlo capire anche ai suoi compagni.
Il battaglione fu quasi annientato a Strelsa, paese vicino a Berat dove poche centinaia di partigiani albanesi ed italiani dovettero affrontare circa 3.000 nazisti. Il Gramsci perse 92 combattenti, ma sarebbe rinato da lì a pochi giorni con altri visi, altre storie, altro dolore. Forse per errore, forse per disperazione, per folle coraggio o per inesperienza nella guerriglia di montagna, Cardinali, pistola in pugno, ordinò un attacco alla colonna tedesca che comandò personalmente. Si alzò in piedi e fece alcuni passi gridando “Forza giovanotti!” in italiano. Il fuoco non gli permise di andare oltre, cadde ordinando “Continuate a combattere!” Il compagno di battaglia James Bonora ordinò che fosse portato via, come racconta nel documentario Maliq del 1991 dell’A.N.P.I Treviso, anche se oramai aveva capito che per lui era finita. Ricorda come le foglie dei pini cadevano sugli occhi e il Cardinali aveva gli occhi semichiusi, e quindi ordinò alla barella di fermarsi e prese una borraccia d’acqua…
Non sappiamo cosa sia successo esattamente in seguito perché le sue lacrime scendono fino a soffocare le parole. Cardinali morì poco dopo, morì per liberare la terra che doveva invadere ma per liberare anche un’altra terra, quella oltre il mare: la madrepatria.
Il corpo è stato riportato in Italia, ma a Berat c’è comunque una tomba vuota che gli abitanti hanno fortemente voluto per ricordare il suo sacrificio e la sua battaglia per la libertà di tutti i popoli. Succedeva l’8 luglio 1944 a Berat, Albania.