In Albania l’ex carcere di Spac è stato trasformato in un luogo della memoria per ricordare le vittime della dittatura di Enver Hoxha.
Intervista di un ex detenuto, Sokrat Mano: “È un posto scelto per far soffrire la gente. Circondato da cinque montagne, nella parte interna vi era situato il campo. Vedevamo poco sole là…”
L’ex carcere di Spaç dista poco più di 100 km dalle città principali, Durazzo e Tirana. Per arrivarci bisogna viaggiare quasi due ore in auto, inerpicandosi su montagne, oggi quasi disabitate.
Sokrat Mano, 65enne, fu arrestato appena 18enne e tra quelle montagne fu costretto ai lavori forzati in una miniera.
Oggi tra le mura in rovina si leggono ancora i messaggi propagandistici del regime comunista che qui isolava gli oppositori politici.
“La mia famiglia viene da una famiglia, a sua volta anticomunista. Siamo sempre stati perseguitati dai comunisti. Io volevo scappare dall’Albania per andare dai miei cugini in Grecia.
Mi hanno arrestato e condannato a dieci anni. Là siamo arrivati a 1200 persone. In quei palazzi dormivamo in 60-65 persone in una stanza, su tre piani. Lavoravamo in miniera dalla mattina fino alle ore 16-17 del pomeriggio. Ho visto che hanno fatto morire della gente picchiandoli con delle bastonate.
Chi tentava di scappare invece, veniva ammazzato.”Sokrat Mano, ex-prigioniero politico
Il sito era talmente inaccessibile, che nessun muro perimetrale era mai stato progettato per impedire la fuga. Proprio l’isolamento geografico e la mancata riconversione del penitenziario, hanno garantito la conservazione degli edifici.
Una ricostruzione tridimensionale è stata elaborata dal Politecnico di Worcester, negli Stati Uniti e insieme all’organizzazione indipendente World Monument Fund propone il recupero del carcere di Spaç come luogo della memoria collettiva.
Nel frattempo il sito è stato messo in sicurezza dal governo di Tirana e alcuni ex detenuti lo hanno potuto visitare dopo tanti anni. A tornare sulle orme dei vecchi dissidenti, anche la fotografa Angela Krasniqi, 25 anni, in Italia dal 2001 con la famiglia di origine albanese. Oggi vive e lavora tra Trento e Torino.
Dai drammatici racconti della nonna, la curiosità di raggiungere quel posto dimenticato e centinaia di scatti per un nuovo progetto fotografico.
Volevo dare un’immagine a quello che la nonna mi raccontava. L’Albania si sta evolvendo molto, si parla tanto della parte turistica, ma manca quella di storia.
Io sono arrivata a Tirana con mio padre, che mi ha accompagnata. Per arrivarci qui, c’è tutta una parte sterrata, passi sotto un ponte, poi c’è una parte sterrata, che va ancora più su.Il campo è diviso tra queste strutture molto alte con stanze su stanze e la parte credo, quella dell’isolamento. Credo che il mio occhio volesse raccontare le cose per come le vedo io adesso nel 2021.
Il mio scopo è quello di dare voce a chi non ne ha più, come in questo caso oppure a chi voce ne ha, ma non viene ascoltato. Quindi per me è proprio importante che tutti abbiano uno spazio nel mondo…