A gennaio del 2016 gli abitanti del parco nazionale di Valbona vennero a conoscenza del progetto riguardante la costruzione di 14 centrali idroelettriche lungo i 30 km del fiume Valbona, 8 delle quali verranno interamente costruite all’interno del parco.
“La battaglia tra la miseria: sordi per sentire i campanelli d’allarme e ciechi per riconoscere la disfatta.”
La procedura e il contenuto della valutazione dell’impatto ambientale del progetto mostrano un processo decisionale non trasparente, che trascura il benessere della comunità locale e mostra indifferenza verso gli ecosistemi con alti valori da salvaguardare. Inoltre, ignora il fatto che le costruzioni verranno effettuate in un’area protetta.
Se solo uno di questi progetti dovesse terminare danneggerebbe seriamente e permanentemente il fragile ecosistema del parco. Sarebbe un compromesso rischioso per l’area protetta, ovvero di “un’area di conservazione molto preziosa, indispensabile per preservare i grandi processi ecologici, le specie e le caratteristiche degli ecosistemi dell’area, che sono alla base dello sviluppo sostenibile”.
“Per questo motivo, le nostre vite negli ultimi 12 anni sono state dedicate alla lotta contro questi progetti”, scrive Catherine Bohne, presidente dell’Organizzazione No Profit TOKA, che ha depositato accuse presso il tribunale amministrativo contro il ministero dell’energia e delle infrastrutture a Maggio 2017 e contro il National Territorial Council nel Novembre del 2017, mentre ulteriori azioni legali saranno intraprese in futuro.
Queste affermazioni sono un passo importante per far sì che il governo albanese rispetti ed implementi le leggi sull’ambiente per la prima volta. Nel frattempo cortei, proteste e raccolte fondi per aiutare l’intero processo continuano.
L’impatto della nostra battaglia sta aiutando a cambiare la percezione nazionale sulle aree protette e sui parchi nazionali, da aree incredibili e misteriose create dal governo per ridurre i diritti dei residenti ai tesori nazionali che in realtà appartengono a loro.
Purtroppo i nostri sforzi per spingere il governo e le corti ad agire in modo corretto e per interrompere i legami con i potenti oligarchi (ad es. ricchi uomini di affari) sono divenuti stancanti e dolorosi, per non dire abbastanza lenti.
La nostra prima causa è risultata perdente dopo 14 mesi e 5 udienze e dopo che l’organo giudiziario si è opposto a non rispondere a nessuno delle nostre tesi legittime, perché secondo loro “le persone non hanno il diritto di denunciare e il criticare il governo…e che i loro diritti ai sensi della Convenzione di Aarhus non sono validi in questo caso”. (La convenzione include il diritto all’informazione, il coinvolgimento nel processo decisionale e il supporto giudiziario nelle decisioni inerenti l’ambiente).
La loro argomentazione, in breve, fu questa: “Se il governo prende una decisione, allora è di fatto nell’interesse pubblico e di conseguenza le persone non possono andare a giudizio contro i loro interessi.” La prosecuzione dei lavori all’interno di un parco nazionale è chiaramente vietata dalla legge sulle aree protette in vigore da Luglio 2017, che si ritiene essere nell’interesse generale, in ottica di creare lavoro, energia, strade e scuole.
Questo indipendentemente dal fatto che un ristorante a Valbona crea più posti di lavoro per i residenti che l’intera centrale idroelettrica, che secondo le parole del progettista di Dragobia Energy, i progetti ‘non portano benefici, ma sono un regalo per gli abitanti di Valbona’ (dal ministero dell’energia, Luglio 2017) – gli stessi abitanti che non trarranno energia da esse. La costruzione di strade per nulla essenziali all’interno del parco nazionale è illegale e il progetto non porterà assolutamente nuove scuole e tutto questo alla fine non dipende dalla responsabilità delle industrie private.
La nostra battaglia continua
Da fine Gennaio, l’imprenditore di Gener-2 e Dragobia Energy, come società interamente subordinata, ha fatto causa a TOKA e al suo presidente Catherine Bohne Selimaj chiedendo 20 milioni di leke. La motivazione è “il danno d’immagine alla compagnia, evidenziatosi nei media nazionali”.
Il 24 Maggio il fiume Valbona è stato proiettato in piazza Scanderbeg, in tutta la sua lunghezza. Le poche persone giunte ad osservarlo non hanno mostrato alcun segno di protesta, e da lontano ciò poteva sembrare un classico evento video-audio. Lo scorrere forte del fiume in sottofondo, il rumore delle onde sulle pietre – registrato direttamente dal fiume – poteva comunicare meglio di tutti i cittadini. Di tutti noi.
All’entrata della piazza era presente una tabella bianca per proiettare il numero delle firme raccolte dalla petizione contro il progetto, seguite dalla scritta: “Chiediamo al primo ministro Edi Rama di intraprendere la sfida e mobilitare il governo contro la costruzione delle centrali idroelettriche nel parco nazionale di Valbona. Stiamo esortando loro a sostenere la richiesta delle popolazioni del posto di emettere un ordine di divieto e riesaminare la fattibilità del progetto per ottenere una soluzione futura valida”.
C’è molto da perdere in questa zona
49 specie di animali d’acqua dei Balcani finiranno per scomparire o perderanno tra il 50% e il 100% della loro distribuzione, a causa dei progetti delle centrali idroelettriche nell’area.
Allo stesso modo, la diffusione dell’energia idroelettrica deve tener conto anche del clima: l’Europa sudorientale ha vissuto periodi di siccità lo scorso anno che hanno portato a conseguenti crisi energetiche.
Il numero delle piccoli centrali idroelettriche continua a crescere, cieco e sordo alle conseguenze di qualsiasi rischio.
Il progetto in piazza Scanderbeg e l’organizzazione no-profit “TOKA” sono state finanziate in modo da poter continuare la loro battaglia per i tesori del nostro paese. I finanziamenti includono la “Fondazione Guerrilla” di Berlino, Lush UK e molte donazioni dall’Olanda, amministrate dalla Fondazione XminY.
Solo dieci anni fa i villaggi di montagna del parco nazionale aprivano le loro porte al mondo dopo l’isolamento, e oggi il parco nazionale di Valbona è considerato una delle migliori destinazioni dai turisti stranieri d’Europa.
Su circa 3 milioni di abitanti che ha l’Albania, fino ad oggi (5 Giugno) sono state raccolte soltanto 2514 firme.
Il problema ancora più grande della distruzione di uno dei tesori rinnovabili dell’Albania non è lo scarso impegno; è la mancanza di consapevolezza generale sulla questione e la sensazione di incapacità che tutti gli albanesi hanno da tempo superato. Questo può accadere spesso anche nei paesi più sviluppati, soprattutto nei casi di crisi finanziarie.
Ma sembra che abbiamo il tempo di andare di sprofondare sempre più, non nella crisi, ma nella sofferenza permanente. La miseria non conosce le cifre dell’economia. E’ posseditirice e schiava dello spirito della nazione, dell’identità del cittadino e dell’individuo. E noi non avendo il coraggio di guardarla negli occhi, non possiamo combatterla, perché ora la miseria identifica quella parte di noi stessi che siamo abituati a conoscere. Le persone stesse stanno (se non l’hanno già fatto) tornando alla loro miseria.
Questo è facilmente estrapolato da circostanze evidenti, senza la necessità di ricerche approfondite. I campanelli d’allarme, ascoltati così tanto senza aver ricevuto risposta, ci sembrano un’aggiunta comune alla routine giornaliera. “Falli suonare” – si dice “falli suonare…falli smettere. I campanelli sono fatti per quello.” L’ho sentito dire personalmente, dopo che i campanelli hanno risuonato a lungo in piazza Scanderbeg. I presenti certamente sapevano cosa rappresentasse la proiezione del fiume Valbona a Tirana; sapevano cosa sottointendesse il suo scorrere in sottofondo.
Ma da nazione forte che pensiamo di essere e siamo, abbiamo preso anche questa questione alla leggera. Abbiamo superato delle pietre olografiche e abbiamo bagnato i piedi nella luce riflessa della corrente. Forse per molti era la prima volta che guardavano da “così vicino” il fiume Valbona. Per loro (in mancanza di un progetto del genere) sarà anche l’ultima volta.
La miseria inverosimile delle persone, la povertà che loro devono affrontare per tenere vivo lo spirito familiare, non lascia loro la possibilità di pensare a nessun’altra questione; l’egoismo e lo stiramento mentale sono in definitiva il luogo di nascita del decadimento. Quest’ultimo è un processo naturale che deriva da un fallimento parziale o totale. Mentre la morte arriva quando tutti cessano di muoversi.
Dal momento che non possiamo vivere separati dall’ambiente in cui viviamo, negando questo come fatto vitale del nostro benessere, facciamo solo più errori ai suoi danni e di conseguenza a noi stessi. Non c’è nessun altro colpevole della nostra miseria se non noi. Quando il fiume Valbona non potrà più scorrere, decadrà un’altra parte dell’Albania assieme ad un’altra del nostro corpo.
A quanto sembra, anche oggi a metà del 2018 abbiamo bisogno di persone straniere che ci vengano ad insegnare come si vive. E a insegnarci come si muore.
Se non fosse per l’americana Catherine Bohne (adesso sposata e con un cognome albanese, Selimaj) forse non avremmo neanche mai sentito parlare di quello che sta accadendo a Valbona. E anche se fosse stato detto qualcosa, avremmo continuato a non sentire ‘nulla di nuovo’. Alla fine è questa la realtà che conosciamo, la realtà della miseria.
Il cambiamento non avviene in modo naturale. Se stiamo cercando il “cambiamento, il lavoro e il benessere” non dobbiamo andare lontano. Penso che lo sappiamo tutti. Credo che più di molti altri cittadini, gli albanesi sono costretti a diventare più intelligenti e più capaci. A noi ribolle nel sangue la rivolta, la rivolta che ci tiene in vita e ci nutre quando il pane secco non è abbastanza. L’orgoglio ci stimola; quell’orgoglio che da soli guadagnamo lavorando. Ma non bastano. Ci manca il coraggio per guardare la verità negli occhi, e per accettare che abbiamo avuto bisogno e abbiamo ancora bisogno d’aiuto. Non possiamo più vivere isolati, perché la cecità in questo mondo così grande non è sviluppo. Ma noi vediamo ciò che vogliamo, quello che siamo abituati a vedere. La miseria che è suscitata e alimentata quotidianamente.
Ai nostri campanelli d’allarme ormai ‘stanchi’ si è aggiunto anche uno più imporante: quello dell’ONG di Catherine Bohne per il fiume Valbona. Se noi non siamo in grado ancora di vedere attraverso il fumo dell’egoismo e di riconoscere la miseria in cui stiamo scivolando, vi chiedo di non aspettare nessun altro campanello d’allarme. Quest’ultimo potrebbe anche mai risuonare. Ma anche se dovesse farlo, saremmo così profondamente immersi da non sentirlo. Oppure sarà l’apertura della sinfonia della sconfitta, della tragedia di un’intera nazione. Una nazione in esilio. La nostra nazione.
E fino ad allora, non solo Valbona, ma nessun altro torrente di nessuna montagna probabilmente sarà rimasto a mostrare ai nostri figli e nipoti la loro ascendenza. “I bambini svantaggiati, i bambini in esilio” saranno chiamati loro. Che peccato sarà! Che peccato per coloro che hanno combattuto per questa terra, per coloro che hanno versato il sudore e il sangue per proteggerla e liberarla, e che avranno perso.
Nessun rimpianto, la colpa è solamente nostra.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato in lingua albanese dal titolo “Lëngimet e fundit të Valbonës në Sheshin Skënderbej”