Un mio articolo pubblicato recentemente su www.generazione-x.net : Serbia-Albania. A picco il buonismo Uefa (http://www.generazione-x.net/2014/10/serbia-albania-a-picco-il-buonismo-uefa/ ) ha provocato alcune civili ed educate riflessioni da parte di lettori, miei conoscenti e non. Le mie risposte saranno pubbliche.
La prima osserva che «Federazioni di calcio di Stati con vocazione guerrafondaia o portatori di odio congenito verso “qualcuno” come nel caso specifico, andrebbero punite non con un semplice 0-3 ma squalificate per anni e anni dalle competizioni interazionali».
Dice un altro mio lettore, sostenendomi: «1) L’accattone buonista (Uefa) che unisce due rivali storici, lo fa solo per raccogliere la percentuale-introiti della pubblicità che passa sul fatto-notizia-violenza: non gliene importa nulla di sopire gli odi. Anzi, ben vengano: aumentano l’audience! 2) In merito alla dichiarazione di un funzionario Uefa il quale sosterrebbe che le “incompatibilità” devono essere richieste dalle singole federazioni: così né la Serbia né l’Albania avrebbero richiesto di non incontrarsi, mentre Ucraina e Russia, Spagna e Gibilterra, Armenia e Azerbaigian sì; faccio presente che Tirana non chiese il famoso protocollo albanese – di cui si parla nell’articolo – bensì fu la Fifa, responsabilmente, a non far giocare l’Albania contro l’URSS. 3) Platini & Co. avevano altro da pensare, ma no di certo ai poveracci Serbia e Albania, ma tipo come far vincere la Francia ai prossimi Europei… a Parigi ne vedremo delle belle: i recenti favoritismi al Brasile agli scorsi mondiali, a paragone, saranno barzellette per sordi».
In merito, invece, alla frase del primo lettore: «Nazionali di calcio di Stati con vocazione guerrafondaia o portatori di odio congenito verso “qualcuno”», adesso parlo dal punto storico.
Gli Albanesi, allora Illiri, popolo autoctono, con la lingua indoeuropea più antica erano stanziati in tutti i Balcani prima che le invasioni slave dalle steppe dell’Asia centrale, dal sec. VII li riducessero agli attuali confini.
Dopo – e prima ancora della vergogna alla Conferenza degli Ambasciatori (1912-1913) che ridusse la “Shqipëria” etnica in modo tale che oggi l’Albania sia l’unico Stato al mondo che confini con i connazionali in Còssovo, Montenegro, Macedonia e Grecia (fra il 30-40% degli Albanesi lasciati agli Stati confinanti) – io affermo che gli Albanesi non hanno mai aggredito alcuno (la guerra alla Grecia era mossa dall’Italia, di cui l’Albania faceva parte in Unione Personale). Nei secoli essi sono stati prima ristretti nell’angolo sud-ovest della penisola balcanica, poi aggrediti – loro sì – e infine massacrati.
All’osservazione di un altro lettore: «La cronaca nera italiana degli ultimi decenni ha illustrato in modo assai eloquente l’aggressività e la ferocia con cui molti individui provenienti dall’Albania si sono macchiati di delitti efferati. Appunto, individui e non popolo dirà Lei» io replico in successione.
Dice bene il lettore: individui e non popolo: ottimo suggerimento etnografico. Poi individui anche piuttosto dilettanteschi, patetici e disorganizzati, se li confrontiamo con mafiosi, camorristi & Co., frutto delle prime emigrazioni italiane negli Stati Uniti. Individui, dico “quegli” italiani lì, che non hanno inficiato affatto la stima che il Popolo italiano gode nel mondo (in primis in Albania), mentre gl’Italiani in toto sono considerati buffoneschi e delinquenti solo dai Paesi che hanno costituito e costituiscono il nucleo formativo, il nerbo di imperialismo, capitalismo, colonialismo e neo-colonialismo – ossia Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti d’America: chissà perché? Provate a guardare il film di “fantascienza” A trenta milioni di chilometri dalla Terra (Nathan Juran, 1957), avrete anche un assaggio dell’italiano, lombrosianamente di razza inferiore, basso, brutto, che parla in dialetto, con sopracciglia folte e al massimo pescatore o commissario e carabiniere pasticcioni di contro all’amerikano alto, bello, di razza superiore e ovviamente intelligente: cliché ripetutosi sino ad oggi: italiani-pizza-spaghetti-e-mafia.
Se poi volessimo escludere dalle competizioni internazionali i Paesi dotati di una forte e organizzata malavita, mi sa che l’Uefa (e mi limito a codesta insipiente organizzazione internazionale) si ridurrebbe ai Microstati con Malta (come si è visto recentemente) e Cipro “del Sud” a fare la parte dei leoni. Oltre a fingere di non citare alcuni Paesi dotati di un tifo “organizzato” non inferiore ad alcuno, noto per violenza programmata.
Riguardo poi al disprezzo con cui molti mie connazionali hanno se stessi, vi cito un passo da un mio articolo apparso sul N. 3/2013 di «Eurasia»: «Tutto questo degenera non solo in un castrante autorazzismo verso il proprio idioma, ma – per complesso di inferiorità – in uno ulteriore e più forte verso le persone di quei popoli che non siano anglofoni, francofoni, germanofoni e financo ispanofoni. Mi spiego meglio. Quando l’“italiano medio” incontra uno straniero che nella propria lingua gli chiede dove sia la via X, la piazza Y o l’ufficio Z, se costui fa parte delle predette glotto-famiglie L’“itagliano” si vergogna di non capirlo, e soffre per non poter soddisfare il suo padrone militar-moral-culturale. Se la domanda, invece, gliela pone un tizio in albanese, norvegese, russo, serbo (per andare su espressioni extracomunitarie), oppure in ceco, finnico, romeno, svedese (invece per restare in àmbito UE) l’“itagliano” di cui sopra non solo si irrita, ma spesso invita il tizio a imparare la lingua del Paese dove sta, nel senso: “Ma come ti permetti??? Sei forse nato a Londra, Parigi, Berlino o Madrid per darmi ordini nella casa dove vivo???”».
Poi alla replica del lettore di cui sopra: «Insomma, definire costoro dei patetici dilettanti suona come sminuire la gravità di quegli episodi. Soprattutto se torniamo al concetto di “cittadino esemplare”. Poi ovviamente sono d’accordo che le ns. “criminalità organizzate” sono un bubbone ancora peggiore. Ma proprio per la presenza di queste ultime non si sentiva la necessità di importare malfattori». Io di rimando continuo.
Gli episodi sono sì gravi, ma restano un nulla al cospetto dei vari Al Capone, Lucky Luciano, ecc. Non sono “estremista” come il lettore, in quanto io per “le ns.” non intendo le italiane, ma ogni genere di criminalità. Ed un’Uefa composta solo di Andorra, Cipro “del Sud”, Gibilterra, Liechtenstein, Lussemburgo, Malta, Principato di Monaco (non ancora membro), San Marino e Vaticano (n.a.m.), piacerebbe anche a me, almeno non avrebbe i contorni del famoso campionato del mondo organizzato dai leghisti (maggiori assertori dei sottopagati nelle fabbrichètte). Fa comodo ai padroni importare i migranti e tenere in sottosviluppo e guerra i posti di origine: da una parte operai a poco salario (al padrone importa un piffero se assieme a lavoratori giunge anche della feccia), e dall’altra parte faccio seguire un’autocitazione:
«Alla lotta di liberazione nazionale dei popoli, la “sinistra radicale” ha preferito le servitù militari alla Casa Bianca. Innanzitutto non si è mai opposta alle basi statunitensi in Italia, così come aveva fatto orecchie da mercante il piccì post-staliniano che Berlinguer traghettò nell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico. Inoltre la “sinistra radicale” ha sempre votato a favore della trasformazione delle Forze Armate italiane quali caudatarie dell’imperialismo amerikano. I nostri soldati trasformati nei battistrada degli yankee in ogni parte del mondo. Così come i soldati afro-americani erano mandati avanti nel corso della seconda guerra mondiale, i ragazzi del Bel Paese sono stati trasformati nelle truppe ascare statunitensi in Afghanistan, Iraq, Libano, Vicino Oriente, ecc. Alla dittatura del proletariato, la “sinistra radicale” ha accettato, prona ed entusiasta, privatizzazioni e liberalizzazioni; ha accolto le leggi liberticide del diritto al lavoro, e il rafforzamento del potere dei padroni e quindi l’affossamento delle conquiste operaie», per non parlare dell’Art. 18 che – come ha detto Uno “di sinistra” – fa soffrire tanto gl’imprenditori. «All’internazionalismo proletario, la “sinistra radicale” fa a gara con l’imprenditore a chiamare manovalanza straniera. Sia i padroni che gli arcobaleni sanno perfettamente che, così facendo, la forza lavoro accresce la domanda e l’offerta salariale precipita, e col proliferare delle etnie la coscienza di classe si annichilisce di fronte al moltiplicarsi delle nazionalità», la quale erode, al contempo, le conquiste del lavoro e le lotte sindacali. «La lotta di classe, invece, è surrogata dalle “battaglie” per i diritti privilegiati di ceti autoproclamatisi “diversi” o di minoranze non accettanti le regole di comportamento sociale e civile. Sono manifestazioni innocue, rappresentando devianze che sostengono il consumismo, e no di certo provocano pericoli per il capitale» (G. Armillotta, La cosiddetta sinistra, Presentazione di Franco Cardini, Jouvence, Roma 2011, pp. 117-118).
E voi vi stupite che in Italia ci sia la piaga del razzismo? Mettere poveri contro poveri è lo “sport” più antico del mondo.