Ora che finalmente tutto è concluso, con i dati delle elezioni alla mano – tra l’altro, almeno per chi scrive, assolutamente in linea con le previsioni – si potrebbe iniziare a cercare, col senno di poi, un’interpretazione obiettiva di questi risultati.
Considerando i malanni che affliggono il paese, gli errori macroscopici del governo in carica, l’antipatia, forse per certi versi comprensibile e giustificata, verso il premier in carica, ci si sarebbe potuti aspettare un cambio di bajrak (leggi “bandiera”), ma ciò non è accaduto.
Il primo motivo di questo mancato cambio di rotta (perché di questo si parla più che di un vero cambiamento sostanziale) risiede proprio nel più importante fattore, ovvero l’alternativa proposta. Se una opposizione politica, come quella di oggi in Albania, non è riuscita a strappare un risultato migliore in queste particolari e sicuramente vantaggiose condizioni, dovrebbe fare ammenda e ammettere le proprie colpe come prima responsabile di tutto ciò.
Quello che ha espresso la “Destra” – che poi di destra non ha nulla, a cominciare dai nomi dei partiti – è una penosa campagna elettorale, tenuta in piedi (si fa per dire) da una rappresentanza politica mediocre, da una leadership imbarazzante e del tutto inadeguata rispetto al momento storico attuale.
La stessa mediocrità ovviamente è presente anche nel partito di Governo, quel partito Socialista che dovrebbe essere diretta espressione di valori di Sinistra, ma che invece di Sinistra, al di là del nome e del simbolo con la rosa nel pugno, non ha niente. Ora, in un’atmosfera di diffusa mediocrità umana, morale e politica del contesto, non c’è dubbio che sulla gente abbia fatto più presa il carisma del leader, che in questo caso, chiaramente è dalla parte del ex-Premier. Inoltre, per la stessa motivazione, fra la gente alberga il pensiero sull’impossibilità di un vero cambiamento, considerando che dall’altra parte niente faccia pensare alla prospettiva di un “miglioramento”, non solo sul piano politico ma anche morale. Il popolo che ha votato per terza volta questo stesso partito, probabilmente «turandosi il naso», avrà avuto le proprie ragioni e queste ultime meritano di essere valutate e analizzate in profondità e con distacco. Sfortunatamente, però, molti nuovi “intellettuali” progressisti e d’opposizione non hanno gradito per nulla questo voto del popolo e non hanno resistito alla tentazioni di additare con disprezzo non la melma della politica ma la “povera” gente (che in Albania è veramente povera). Infatti, personalmente ho trovato le loro parole particolarmente sgradevoli perché terribilmente offensive e inopportune, soprattutto se provenienti da supposti “intellettuali” (lo scrivo fra virgolette proprio come distinguo dagli altri appartenenti alla categoria e più meritevoli di tale titolo), ancor di più quando rivolte al proprio popolo, che, secondo loro, avrebbe sbagliato nel votare. Questi signori sono giunti ad alludere persino a qualche esigenza interiore del popolo albanese a un ritorno alla dittatura (per questo “ben gli sta”!), oppure, rincarando la dose, alla considerazione che forse questo popolo sia incapace di pretendere per se stesso una vita migliore oltre a «un panificio e un bagno» (cit.). Probabilmente questi “intellettuali” o “vip-s” sono convinti di poter insegnare, dall’alto della loro “cultura”, quale sia la differenza tra il bene e il male (e non in termini astratti e filosofici, ma concretamente fra schieramenti politici), non considerando il fatto fondamentale che, nel giorno delle elezioni, non ci fosse molto da scegliere, almeno non nei termini di un reale miglioramento ma solo un puerile giro di giostra fra gli scranni del potere. Questi soloni non considerano che essi stessi, per primi, quali “intellettuali” del paese, non hanno fatto nulla per stigmatizzare il vero malgoverno o denunciare le radici del male (ammesso che le abbiano comprese). C’è chi ha scritto indignato – ovviamente di un’ indignazione da tastiera, come accade oggi ai bambocci allenati ad utilizzare frasi ad effetto sui social – che «gli albanesi si comprerebbero con la morale di una prostituta» (citando uno di loro), ovvero che venderebbero il loro voto per meno di quanto chieda una prostituta per vendere il proprio corpo. Fermo restando che le tattiche di “condizionamento” del voto fanno parte del repertorio di entrambi gli schieramenti, attribuire la colpa dell’ accaduto alla condotta morale di un intero popolo invece di imputarla alla classe politica mediocre e clientelare del paese nonché a loro stessi ed al loro patente pensiero debole (in termini eufemistici), è qualcosa di assolutamente vergognoso. Scrivere queste grossolane idiozie è inevitabile quando non si è mai riflettuto sul perché ciò accada, soprattutto poiché, una volta compreso il motivo, non si potrebbe accusare i pochi disgraziati che vendono il voto per «5.000 lekë» (ammesso che sia vero e tanto diffuso si riporta), affrettando con superficialità ad assolvere, invece, chi li ha costretti a farlo.
Mai nella storia alcuna reprimenda verso il proprio popolo, a maggiora ragione per le sue scelte elettorali, è stata mossa da intellettuali degni di tale nome come Gramsci, Pasolini, Orwell, la Arendt ecc, nemmeno da veri statisti come Churchill, De Gaulle e De Gasperi (per citarne alcuni), ma soltanto da mediocri uomini di potere come Hitler e Mussolini e altrettanto mediocri intellettuali di “corte”, perché si potrebbe essere intellettuali di corte anche se di segno contrario.
Naturalmente questi personaggi, che oggi definiscono il proprio popolo, con disprezzo e noncuranza, «pecore» (altra citazione presa dai social), non considerano mai alcuna seria analisi sul ruolo dei poteri forti nel paese, sulla TV spazzatura di cui spesso sono complici, per evitare anche il più piccolo rischio di far emergere i reali problemi che davvero affliggono il paese. Sembra che con queste generalizzazioni banali sul proprio popolo essi vogliano scagionarsi da qualsivoglia coinvolgimento, attivo o passivo, in questo sistema marcio o nascondere la loro evidente incapacità di concepire una visione critica vero la politica e il governo, finendo per scaricare, in modo semplicistico e miope, ogni responsabilità sullo status quo di un paese in condizioni drammatiche, focalizzandosi solo sui sintomi e non sulle cause della malattia.
Sento questi “intellettuali” esprimersi in questo modo nei confronti di un popolo emarginato, dimenticato in primis da loro, mentre non gli ho mai sentiti abbracciare una causa vera e nobile, e tanto meno intraprendere una battaglia per una vera causa nazionale, e ancor meno “popolare”. Anzi, ho sempre avuto il dubbio – confermatomi dal silenzio di questi personaggi e di gran parte dell’entourage dell’intellettualocrazia di Tirana devastatrice di ogni bellezza che non fosse il loro salotto quotidiano –, del loro mediocre ruolo nella pubblica opinione. Li ho visti restare silenziosi e pronti a cogliere in modo opportunistico ogni privilegio che provenga dal gonfiore artificiale di Tirana, dove risiede la vera mafia, la vera corruzione, trascurando del tutto le altre città in generale, (in particolar modo delle città capitali Scutari e Valona che hanno il maggior potenziale di sviluppo, le vere «città politiche» del paese quali reali alternative a Tirana per une vita degna dei cittadini), da sempre lasciate in balia del fato senza nessun investimento concreto e strutturale in loro favore al di là delle briciole elargite per salvare le apparenze. (Infatti, il voto a Scutari e la più bassa affluenza a Valona, dovrebbe far riflettere). A questi “intellettuali” albanesi non viene mai in mente di indagare su quanto accade a qualche chilometro di distanza dal loro caffè preferito, dai loro sterili quartieri. È molto più semplice accusare di prostituzione “l’albanese” che cercare le vere ragioni non solo del risultato di queste elezioni, ma del disastro che ha travolto l’Albania da trent’anni a questa parte – perché sul “prima” di questo trentennio abbiamo definitivamente chiuso il capitolo includendo tutto, nel bene e nel male, nel “comunismo”.