I ministri dei paesi UE hanno deciso di dare il via libera all’apertura dei negoziati per l’adesione dell’Albania all’Unione Europea.
La notizia è stata attesa con enorme soddisfazione dalla stragrande maggioranza degli albanesi, perché si tratta di un sogno ormai centenario: appartenere all’Europa è come se fosse stato scritto nel DNA degli albanesi. Anche i pochi insoddisfatti tra i rappresentanti dell’opposizione e gli opinionisti antieuropei sembrano ormai rassegnarsi. Hanno capito che si tratta di un destino irreversibile.
Dai tempi di Scanderbeg nella lotta contro gli ottomani e dei suoi legami con il papato e diversi altri regni europei, il destino degli albanesi è stato scritto come metafora che non lasciava spazio a nessun fraintendimento: o in Europa o niente!
Da quel tempo fino ad oggi l’Albania ha vissuto periodi di forte travaglio, finché è riuscita a essere indipendente nel 1912. Il più grande mistero antropologico, a mio modo di vedere, resta l’irremovibile senso di appartenenza europea degli albanesi, nonostante cinque secoli di dominio ottomano. Un tempo così lungo non è riuscito a far sentire gli albanesi lontano dall’Europa. Questo significa che il fermento culturale europeo ha superato nei secoli ogni altro vettore culturale estraneo a questo senso di appartenenza.
Anche il periodo post-ottomano non fu dei più rosei per la vocazione europeista dell’Albania. La parte più arretrata della popolazione lottò con le armi contro l’indipendenza dell’Albania, nonostante l’Impero Ottomano si stesse sciogliendo. Anche se i tempi della Prima Guerra Mondiale furono bui per l’Albania, queste frange estremiste e antieuropee vennero sconfitte. Più tardi, negli anni ’20, il Re Zog seguì il consiglio di alcuni intellettuali, che avevano ben compreso lo spirito europeo degli albanesi e per questo intraprese alcune iniziative politiche, volte a dare spazio all’orientamento dell’Albania verso l’Europa.
Il periodo più buio anti europeo dopo l’indipendenza fu sicuramente quello del comunismo. Il dittatore Hoxha, avendo capito che l’appartenenza all’Europea avrebbe significato libertà, decise di trovare altre vie di strategia politica, purché non ci fosse nessun legame con l’Europa. Iniziò cosi l’avventura “orientale” dell’Albania comunista con i sovietici e cinesi per finire all’inizio degli anni ’80 con un isolamento inaudito simile a quello della Corea del Nord.
Queste tendenze politiche del periodo post-ottomano hanno lasciato un’orma culturale, che si manifesta ancora oggi in sentimenti filo orientali e anti europei. A proposito di questi fenomeni culturali mi viene in mente il saggio di Ismail Kadare, “L’anello negli artigli”, nel quale lo scrittore riprende una leggenda, che narra di un’aquila rapita e diventata schiava. Dopo alcuni tentativi l’aquila riesce a liberarsi per tornare a casa sua, però il suo rapitore le aveva messo un anello negli artigli facendola sentire estranea presso il suo habitat famigliare. L’anello simbolizza il pegno della schiavitù, il suo ricordo come l’antipode della libertà.
Allo stesso modo, come un “anello rimasto negli artigli”, alcuni politici albanesi e diversi opinionisti molto presenti nei media hanno iniziato a bollare la decisione del Consiglio dei Ministri d’Europa come una grave azione politica a sostegno, secondo loro, dello “stato criminale albanese” perché non meriterebbe l’apertura dei negoziati di adesione. I loro sforzi contro tale decisione sono talmente forti e ben organizzati da includere pubblicazioni sulla stampa di tutta Europa. È interessante notare che i loro scritti si muovono su due binari: da una parte affermano che l’Albania ha tanti problemi di corruzione e di poco rispetto dei diritti umani; dall’altra dicono che sebbene l’Europa abbia dato il via libera ai negoziati, questo fatto servirà a poco perché l’Europa è ipocrita e ha parecchi problemi di democrazia e libertà al suo interno. Questa duplice strategia indica che i loro intenti non sono mossi da un senso di onestà e responsabilità o per il bene dell’Albania, ma per il solo motivo di impedire la partecipazione del paese all’Europa di oggi.
È vero che l’Albania ha ancora molta strada da fare verso una democrazia autentica, ma in questi sforzi verso uno stato democratico maturo non deve essere lasciata sola! Proprio su questo ruolo storico che avrà l’Europa sostenendo il nostro paese, sta la portata enorme di tale decisione. Il messaggio dell’Europa, oltre che politico, è fortemente morale e può incoraggiare i politici ed il popolo albanese a proseguire verso una democrazia più matura e conforme con il quadro legislativo europeo.
L’Europa, prendendo la decisione di aprire i negoziati di adesione per l’Albania e la Macedonia del Nord, dimostra un forte senso di responsabilità per i Balcani e nello stesso tempo la maturità politica di superare quel sistema che l’antropologo M. Auge chiamava “intra mures”. Ossia quel modo di fare politica che si riferisce ai modelli dei castelli medievali e ai loro muri di recinzione. Le città medievali europee avevano quasi tutte delle mura che ne definivano i confini reali delle loro “civitas”. L’apertura verso i Balcani supera ogni tendenza di fare dell’Europa un centro di gravità politica che esclude gli altri.
Che contributo può portare l’Albania all’Europa?
Penso che il nostro paese possa offrire alla Comunità Europea il suo esempio di “resistenza per la democrazia”, testimoniata dalla sua martoriata storia. Pochi popoli europei hanno sofferto tanto quanto il nostro per proseguire la strada della libertà e mostrare il senso di appartenenza all’Europa.
D’altro canto il nostro paese dispone di enormi risorse economiche che implicano quindi grandi possibilità di investimento. Queste ultime potranno essere realizzate più facilmente dai paesi dell’Unione dal momento che l’adesione dell’Albania sarà completata.