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Albania 7 aprile ’39, il fascismo come associazione a delinquere

Quando l'Italia invase l'Albania

Zoto Kanina
07 Aprile 2020
in Opinioni

Della presenza dell’Italia fascista in Albania lo storico Enzo Collotti lamenta la mancanza di uno studio di spessore sull’«avvicendamento del personale non solo militare, ma politico e amministrativo […] della corruzione e dell’affarismo di regime» tanto da rendere il terreno albanese «oggetto di mera rapina a vantaggio dei conquistatori».

Un’altra falla riguarda invece la visione dell’albanese, del popolo e della cultura albanese sugli italiani, sulla loro invasione, sulla loro “civiltà” che pretendevano di portare a questo “Oriente sotto casa”. Il giudizio sulla occupazione d’Albania o L’Anschluss Italiano è stata condizionato ovviamente nel dopoguerra dall’approccio delle due storiografie nazionali.

Da una parte la storiografia italiana attenta a valutare i crimini non-commessi dagli italiani, dall’altra quella albanese di regime, attenta ad evidenziare che anche gli italiani erano stati invasori e avevano ucciso, depredato, colonizzato e umiliato un paese indipendente. Le cose non vanno meglio ora, poiché gli esponenti della nuova storiografia da salotto televisivo sono ossessionati dai rapporti diplomatici e dai grandi nomi.

Civiltà fascista o italiana

Finché in Albania c’era stata una penetrazione culturale dell’Italia, soprattutto negli anni ’20-30 (in alcune città come Scutari e Valona molto prima), Italia era, o meglio, poteva essere per gli albanesi, sinonimo di paese “sorella”, un po’ quello che la Russia era per i serbi. Guardare all’Italia – come anche all’Austria – era vedere il futuro, il progresso. L’Italia schierava attraverso le scuole in Albania – anche prima della invasione fascista – la sua armata di umanisti: in primis Dante l’inevitabile, dove in un paese feudale, dei figli di musulmani studiavano, direttamente in italiano, la grandezza di una civiltà medievale cristiana. Poi, però, venne il fascismo che si presentò nella sua splendida veste ammantato di uomini superiori e civilizzatori armati, naturalmente completamente ignari e assolutamente incapaci di comprendere la realtà albanese.

L’errore fondamentale degli italiani non è quello di non aver saputo accontentarsi del controllo totale del paese in un terreno di fratellanza e di reciprocità, ma, all’interno della stessa logica dell’invasione, l’errore di “esportare il fascismo”. Per gli albanesi del periodo, per la classe colta, il fascismo era già – anche quando visto a distanza – una “buffonata”, termine utilizzato dal più grande intellettuale albanese, Fan Noli. Molti albanesi acculturati non avrebbero mai creduto che l’Italia, verso la quale avevano riposto le loro speranze, non fosse altro che il paese del linguaggio brutale, della recita, delle sceneggiate in comizi.

Sì, perché anche per la massa il fascismo innestato in Albania era qualcosa di teatrale. I gerarchi fascisti, in parate militari tenevano discorsi istrionici direttamente in italiano a una massa ignorante e analfabeta riferendosi alla storia romana e ad altre stupidaggini incomprensibili. Si aspettavano, così, di suscitare simpatia, amore o addirittura, con il loro comportamento da dinamismo fascista, fatto di fretta, alzate di mano isteriche, o alzate di voce inutili, pretendevano di ottenere rispetto. Jacomoni, non certo uno dei peggiori, ma sicuramente un servile e corrotto “figlio di suocero” (era genero del general Cavallero), comunque l’incarnazione di quel che gli albanesi usavano già definire come “pipino” o “pepino”, così si esprime a riguardo:

«L’Italiano in genere ha mostrato profondo disprezzo per l’albanese, e peggio ancora gli ha dato l’impressione di sfruttarlo. […] il rispetto individuale è stato fin qui dagli italiani poco meritato; molti sono stati i casi di imbrogli fatti qui da italiani; scandalosa è stata spesso la condotta privata, acre il desiderio di lucro e l’azione reciproca di calunnia di fronte agli albanesi».

Associazione a delinquere:

Quindi, teatralità, ma, in fondo, il fascismo fu soprattutto una associazione a delinquere. Non altro che una organizzazione gerarchica della corruzione, dello sfruttamento per i propri personali interessi, non solo dell’Albania ma anche del proprio Stato e del proprio esercito composto da inermi soldati. Agli occhi degli albanesi si palesò una creatura mostruosa: un intreccio fra la teatrale dimostrazione di forza e la massima forma di corruzione.

Ciano, il feudatario della Albania fascista, si vantava di essere «un esperto nell’arte della corruzione», tanto che persino la sciagurata invasione della Grecia fu concepita dagli italiani, sulla scia della corruzione degli albanesi e attraverso «il sistema delle bustarelle». Un catena di bustarelle elargite da Ciano per gli informatori italiani che passavano agli informatori albanesi, per poi giungere, sensibilmente ridotte, ai greci, che avrebbero dovuto dare informazioni sullo stato del loro esercito. Insomma, una volta ottenuti quei soldi, ognuno di loro riportava al superiore che elargiva il denaro quel che quest’ultimo voleva sentirsi dire.

Tale comportamento, unito alla convinzione di poter ottenere qualsiasi cosa in terra albanese tramite la corruzione, ritenuta primaria e preferenziale in ogni frangente, finì per ritorcersi contro gli italiani, instillando negli gli albanesi l’idea di corruttibilità, mancanza di senso organizzativo, assenza di rispetto e di senso dello Stato. Non che gli albanesi fossero ignari e incapaci di tale arte, anzi, la esercitavano già con una certa maestria, ma tale immagine degli italiani era in netto contrasto con la loro ostentazione nel voler sembrare uomini tutto d’un pezzo e incarnazione di una politica di potenza e ordine.

Tale pratica contribuì a generare «molte considerazioni più astratte» sugli italiani e sulla loro Weltanschauung, non solo nell’identificarli come «corrotti» e corruttori ma – come descrive molto bene Bernd J. Fischer – «per molti albanesi gli italiani erano bugiardi e simulatori» e, nel loro essere attenti soltanto all’apparenza, persino effeminati. Non servì certo il confronto con l’efficienza tedesca a screditare l’Italia fascista agli occhi degli albanesi; bastò l’associazione a delinquere che avevano messo in piedi, naturalmente ingigantita dal supporto di un manipolo di albanesi corrotti che si tirò vicino.

Comunque, c’è da dire che non era soltanto Ciano a incarnare nella sua persona questa “maestria” italiana, ma molti fra i più importanti gerarchi fascisti italiani aiutarono alla istituzionalizzazione della corruzione: Jacomoni stesso, quindi, «questo semplice bullone della macchina fascista» – come scrive la storiografia del regime – «donchisciottesco», ma anche «esponente cosciente» dell’organizzazione criminale, cercò il sostegno della parte peggiore degli albanesi, proprio attraverso la corruzione e le promesse.

L’unica nota positiva su Jacomoni, è il fatto che nel tempo si affezionò agli albanesi e, a differenza degli altri gerarchi, almeno non li considerava inferiori. Ovunque, in verità, accanto alla corruzione sistemica, dominava costantemente l’arroganza e il disprezzo palese verso gli albanesi; l’archetipo di questo tipo di italiano, corrotto, ma anche arrogante, era Giovanni Giro, un fascista zelante, «funzionario italiano inviato per organizzare la gioventù albanese sul modello fascista» e amico personale del Duce.

La nota dolente, è che in questi esponenti della demagogia fascista in Albania, le peggiori qualità fossero coniugate con il sentimento di superiorità, una presunzione tremenda secondo la quale qualsiasi cosa provenisse dall’Italia era e doveva essere superiore, aulica e foriera di civiltà, persino la corruzione. Questa posizione condannò anche la cultura italiana ad un giudizio generalmente negativo,  tanto che il brillante Konica, prima della Invasione fascista vera e propria, nel suo Doktor gjilpëra così scriveva degli italiani in Albania:

«Cos’ha l’Italia che merita d’essere preso? Makaronat e kamorren, nient’altro. Dei maccheroni non abbiamo bisogno perché abbiamo le nostre patate; la camorra l’abbiamo presa già e grazie a Dio l’abbiamo migliorata e ordinata in un sistema più perfetto degli italiani stessi».

Ciò è certamente vero poiché gli albanesi che di fatto il fascismo attirò erano la parte marcia del paese, ad eccezione di alcune anime genuine che credettero – soprattutto agli inizi, spinti dalla necessità di togliere di mezzo il Re e il suo sistema di feudatari – all’Italia amica e potente. Gli italiani in vent’anni, e non soltanto durante gli anni del fascismo, capirono poco o niente degli albanesi e continuarono a vederli filtrati dai mille cliché che gli oscuravano la vista. I soldi della corruzione portarono ricchezza ai corrotti e ai peggiori tra gli albanesi senza alcun beneficio né per il popolo albanese né per il lustro dell’Italia.

Questo era principalmente legato al fatto che – come capita sovente ancora oggi – gli italiani portavano avanti una strategia politica di gestione dell’Albania non tenendo conto minimamente della realtà del paese, né tanto meno potevano sondare l’opinione pubblica albanese, in quanto pochi, per non dire nessuno, anche a distanza di anni, conosceva bene la lingua del posto. Corruzione, presunzione e ignoranza portavano gli italiani a circondarsi di personaggi simili a loro, se non peggiori. Come dice meravigliosamente il grande Fan Noli, «avete mai visto voi un italiano […] che sapesse l’albanese e conoscesse l’Albania?»: «Questo spiega la somaraggine [gomarrësinë] degli italiani in Albania. Non sanno quel che fanno. Gli intermediari vengono incaricati dei lavori e gli intermediari son i bey e i bey portano avanti la loro politica, politica di classe, politica di latifondi, per i loro privilegi medievali [in italiano] sulle spalle del popolo albanese. Ecco perché gli italiani, (al pari dei greci e dei i serbi) in questo modo, non avranno e non potranno mai avere un amico sincero in Albania».

Quindi, se si è trattato di un fascismo dalle mani sporche in Italia, in Albania le mani erano ancor più macchiate.

Le truppe italiane invadono l’Albania

Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente le opinioni di Albania News
Argomenti: Invasione italianaOccupazione italiana dell'Albania

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